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EMILIO SALGARI

 

La Regina dei Caraibi

 

 

 

Capitolo I.

 

IL CORSARO NERO

 

Il Mare dei Caraibiin piena tempestamuggivatremendamentescagliando delle vere montagne d'acqua contro i moli di PuertoLimon e le spiagge del Nicaragua e di Costarica. Il sole non era per ancotramontatoma le tenebre cominciavano di già a scenderecome se fosseroimpazienti di celare la lotta accanita che si combatteva in cielo ed in terra.L'astro diurnorosso come un disco di ramenon proiettava che radi sprazziattraverso gli strappi delle nerissime nuvole che volta a volta loavviluppavano. Ancora non piovevaperò le cateratte del cielo non dovevanotardare ad aprirsi

Solamente alcuni pescatori ed alcuni soldati della piccolaguarnigione spagnuola avevano osato rimanere sulla spiaggiasfidando conostinazione la furia crescente delle onde e le cortine d'acqua che il ventosollevava dal mare per poi spingerle addosso alle case.

Un motivoforse molto graveli aveva ancora trattenutiall'aperto. Da qualche ora una nave era stata scorta sulla linea dell'orizzonteedalla direzione delle sue velepareva avesse l'intenzione di cercare unrifugio entro la piccola baia.

In altra occasione nessuno avrebbe fatto gran caso allapresenza di un velieroma nel 1680epoca in cui comincia la nostra istorialacosa era ben diversa.

Ogni nave che veniva dal largo non mancava di produrre unaviva emozione nelle popolazioni spagnuole delle colonie del Golfo del Messicosia del Yucatandel Guatemaladell'Hondurasdel Nicaraguadi CostaricadiPanama e delle grandi isole Antille.

La paura di veder comparire l'avanguardia di qualche flottadi filibustierigli audacissimi pirati della Tortuemetteva lo scompiglio fraquelle industriose popolazioni. Bastava che si scorgesse qualche cosa disospetto nelle manovre delle navi che venivano segnalateperchè le donne ed ifanciulli corressero a rinchiudersi nelle loro abitazioni e gli uomini adarmarsi precipitosamente. Se la bandiera era spagnuolaveniva salutata constrepitosi evvivaessendo cosa piuttosto rara che fosse sfuggita alla crocieradi quegli intrepidi corsari; se era di diverso coloreil terrore invadevacoloni e soldati ed impallidivano perfino gli ufficiali incanutiti al fumo dellebattaglie.

Le stragi ed i saccheggi commessi da Pierre le GranddaBraccio di Ferroda John Davisda Montbardal Corsaro Nerodai suoi fratelliil Rosso ed il Verde e dall'Oloneseavevano sparso il terrore in tutte lecolonie del golfotanto più che in quell'epoca si credevain buona fedechequei pirati fossero d'origine infernale e perciò invincibili.

Vedendo apparire quella navei pochi abitantiche si eranosoffermati sulla spiaggia a contemplare la furia del mareavevano rinunciatoall'idea di tornarsene alle loro casenon sapendo ancora se avevano da fare conqualche veliero spagnuolo o con qualche ardito filibustiere incrociante lungoquelle costein attesa dei famosi galeoni carichi d'oro. Una viva inquietudinesi rifletteva sui volti di tuttisia dei pescatori che dei soldati.

«Che nostra Signora del Pilar ci protegga» diceva unvecchio marinaiobruno come un meticcio e assai barbuto«ma vi dicoamicimieiche quella nave non è una delle nostre. Chi oserebbecon una similetempestaimpegnare la lotta ad una sì grande distanza dai nostri portise nonfosse montata dai figli del diavoloda quei briganti della Tortue?»

«Siete ben certo che si diriga verso di noi?» chiese unsergenteche stava in mezzo ad un gruppetto di soldati.

«Sicurissimosignor Vasco. Guardate! Ha fatto una bordataverso il Capo Bianco ed ora si prepara a tornare sui suoi passi.»

«È un brikè veroAlonzo?»

«Sìsignor Vasco. Un bel legnoin fede miache lottavantaggiosamente contro le onde e che fra un'ora sarà dinanzi a Puerto Limon.»

«E che cosa v'induce a credere che non sia una nave deinostri?»

«Che cosa? Se quel legno fosse spagnuoloinvece di venire acercare un rifugio nella nostra piccola baia che è poco sicurasarebbe andatoa quella di Chiriqui. Colà le isole fanno argine alla furia delle onde epotrebbe trovare sicuro asilo anche un'intera squadra.»

«Avrete ragioneio però dubito assai che quel legno siamontato dai corsari della Tortue. Puerto Limon non può destare la lorocupidigia.»

«Sapete che cosa penso ioinvecesignor Vasco?» disse ungiovane marinaioche erasi staccato dal gruppo dei pescatori.

«Dite pureDiego.»

«Che quella nave sia la Folgore del Corsaro Nero.»

A quella uscita inattesaun fremito di terrore passò sututti i volti. Anche il sergentequantunque avesse guadagnato i suoi gallonisui campi di battagliaera diventato pallidissimo.

«Il Corsaro Nero qui!» esclamòcon un tremito moltoaccentuato. «Tu sei pazzogiovanotto mio.»

«Ebbenedue giorni or sonomentre io stavo pescando unlamantino presso le isole di Chiriquiho veduto passare una nave a meno d'untiro d'archibuso dal mio piccolo veliero. Sulla poppa fiammeggiavaa lettered'oroun nome: la Folgore.»

«Carramba!» esclamò il sergentecon voceirata. «E tu non ce l'hai detto prima!»

«Non volevo spaventare la popolazione» rispose il giovanemarinaio.

«Se tu ci avessi avvertitisi sarebbe mandato qualcuno achiedere soccorsi a San Juan.»

«Per cosa farne?» chiesero i pescatoricon tono beffardo.

«Per respingere quei figli di Satana» rispose il sergente.

«Uhm!» disse un pescatorealto come un granatiere e fortecome un toro. - Io ho combattuto contro quegli uomini e so cosa valgono. Ero aGibraltar quando comparve la flotta dell'Olonese e del Corsaro Nero. Carrai! Sonomarinai invincibilive lo dico iosignor sergente.

Ciò detto il marinaio girò sui talloni e se ne andò. Ipescatori che si trovavano sulla spiaggia stavano per seguirne l'esempioquandoun uomo assai attempatoche fino allora era rimasto silenziosocon un gesto liarrestò. Aveva allora allora staccato dagli occhi un cannocchialeche avevapuntato verso il mare.

«Rimanete» diss'egli. «Il Corsaro Nero è un uomo che nonfa male a chi non gli resiste.»

«Cosa ne sapete voi?» chiese il sergente.

«Io conosco il Corsaro Nero.»

«E credete che quella nave sia la sua?»

«Sìquella nave è la Folgore.»

A quell'affermazione furono presi dal terrore. Anche ilsergente aveva perduta tutta la sua audacia e si sarebbe detto che le sue gambesi rifiutavanoin quel momentodi funzionare.

Intanto la nave s'appressava sempremalgrado la furiadell'uragano. Sembrava un immenso uccello marinovolteggiante sul maretempestoso. Saliva intrepidamente le creste dei marosilibrandosi ad altezzeche facevano venire i brividipoi strapiombava negli avvallamentiscomparendoquasi tuttaquindi tornava a mostrarsi alla incerta luce del crepuscolo. Lefolgori scoppiavano presso i suoi alberi e la livida luce dei lampi sirifletteva sulle sue vele enormemente gonfie. Le onde l'assalivano da ognipartelambendo le sue murate e slanciandosidi quando in quandoperfino incopertama la nave non cedeva. Aveva perfino rinunciato alle bordate e muovevadiritta verso il piccolo portocome se fosse stata certa di trovarvi un asilosicuro ed amico.

I pescatori ed i soldati vedendo la nave giungeredopoun'ultima scorribandadinanzi al porticinos'erano guardati l'un l'altro inviso.

«Sta per arrivare!» aveva esclamato uno di loro. «A bordopreparano le àncore!»

«Fuggiamo!» gridarono gli altri. «Sono i corsari dellaTortue.»

I pescatorisenza aspettare altropartirono di corsascomparendo in mezzo alle viuzze della piccola città o meglio della borgatapoichè in quell'epoca Puerto Limon era ancora meno popolata di quellad'oggidì. Il sergente ed i suoi soldatidopo una breve esitazioneavevanoseguito l'esempiodirigendosi verso il fortino che si trovava all'oppostaestremità della gettatasulla cima di una rupe dominante la baia. A PuertoLimon si trovava una guarnigione di centocinquanta uominiarmati di due solipezziera quindi impossibile impegnare una lotta contro quella nave che dovevapossedere numerose e potenti artiglierie. Ai difensori della cittadella nonrimaneva altra speranza che quella di rinchiudersi nel fortino e lasciarsiassediare.

La nave intantomalgrado la furia del vento e le ondatetremende che l'assalivanoera entrata audacemente nel porto ed aveva gettate leàncore a centocinquanta metri dalla gettata. Era uno splendido brikdi formesveltedalla carena strettissimadall'alberatura molto altaun vero legno dacorsa. Dieci sabordidai quali uscivano le estremità di altrettanti pezzid'artiglierias'aprivano ai suoi fianchicinque a babordo e cinque a tribordoe sul cassero si vedevano due grossi pezzi da caccia. Sul corno di poppaondeggiava una bandiera neracon in mezzo un grande V doratosormontato da unacorona gentilizia. Sul castello di prorasulla toldasulle murate esull'altissimo casseronumerosi marinai si tenevano schieratimentre a poppaalcuni artiglieri stavano puntando i due pezzi di caccia verso il fortinopronti a scatenare contro le sue mura uragani di ferro.

Imbrigliate le vele e gettate due altre àncoreunascialuppa venne calata in mare dalla parte di sottoventodirigendosi subitoverso la gettata: la montavano quindici uominiarmati di fucilidi pistole edi sciabole corte e larghemolto usate dai filibustieri della Tortue.

Nonostante l'urto incessante delle ondela scialuppaabilmente guidata dal suo timonieresi gettò dietro ad un vecchio vascellospagnuolo che finiva di spezzarsi su di un banco di sabbia e che colla sua moleopponeva una buona barriera all'impeto dei flutti; poifilando lungo alcunepiccole scoglieregiunse felicemente sotto la gettata.

Mentre alcuni filibustieripuntando i remitenevano fermala scialuppaun uomosalito sulla proracon uno slancio straordinariodegnod'una tigreera balzato sulla gettata. Quell'audace che osavada solosbarcare in mezzo ad una città di duemila abitanti pronti a sollevarsi controdi lui ed a trattarlo come una bestia feroceera un bell'uomo sui trentacinqueannidi statura piuttosto alta e dal portamento distintoaristocratico.

I suoi lineamenti erano belliquantunque la sua pelle fossed'un pallore cadaverico. Aveva la fronte spaziosasolcata da una ruga che davaal suo volto un non so che di tristeun bel naso dirittolabbra piccole erosse come il corallo e gli occhi nerissimid'un taglio perfetto e dal lampofierissimo. Se il volto di quell'uomo aveva un non so che di triste e difunebreanche il vestito non era più allegro: infatti era vestito di nero dacapo a piediperò con una eleganza piuttosto sconosciuta fra i ruvidi corsaridella Tortue. La sua casacca era di seta neraadorna di pizzi d'egual colore; icalzonila larga fascia sostenente la spadagli stivali e perfino il cappelloerano pure neri. Anche la grande piuma che gli scendeva fino sulle spalle eranerae del pari lo erano le sue armi.

Quello strano personaggioappena a terrasi fermòguardando attentamente le case della cittaduzzale cui finestre erano chiusepoi si volse verso gli uomini rimasti nella scialuppa e disse:

«CarmauxWan StillerMoko! Seguitemi!»

Mokoun negro di statura gigantescaun vero ercolearmatod'una scure e d'un paio di pistolebalzò a terra; dietro di lui sceseroCarmaux e Wan Stiller due uomini bianchientrambi sulla quarantinapiuttostotarchiaticolla pelle abbronzatai lineamenti angolosiduriresi più arditida folte barbe: erano armati di moschetti e di corte sciabole e vestiti disemplici camicie di lana ed in calzoni corti che mostravano gambe muscolosecoperte di cicatrici.

«Eccocicapitano» disse il negro.

«Seguitemi.»

«E la scialuppa?»

«Che ritorni a bordo.»

«Scusatecapitano» disse uno dei due marinai«mi pareche non sia prudenza l'avventurarci in così pochinel cuore della città!»

«Avresti pauraCarmaux?» chiese il capitano.

«Per l'anima dei miei morti!» esclamò Carmaux. «Voi nonpotete supporre questosignore. Parlavo per voi.»

«Il Corsaro Nero non ha mai avuto pauraCarmaux.»

Si volse verso la scialuppagridando agli uomini che lamontavano:

«Tornate a bordo! Direte a Morgan di tenersi sempre pronto asalpare.»

Quando vide la scialuppa riprendere il largolottando controle onde che si precipitavanomuggendoattraverso la piccola baiasi volseverso i suoi tre compagnidicendo:

«Andiamo a trovare l'amministratore del duca.»

«Mi permettete una parolasignor cavaliere?» chiese coluiche abbiamo udito chiamare Carmaux.

«Parla e spicciati.»

«Noi non sappiamo dove abiti quell'eccellenteamministratorecapitano.»

«E che cosa importa? Lo cercheremo.»

«Non vedo anima viva in questa borgata. Si direbbe che gliabitantiscorgendo la nostra Folgoresiano stati presi dalla tremarellae abbiano lavorato di gambe.»

«Ho veduto laggiù un fortino» rispose il Corsaro Nero.«Se nessuno ci dirà dove potremo trovare l'amministratoreandremo a chiederloalla guarnigione.»

«Per le corna di Belzebù!... Andarlo a chiedere allaguarnigione? Non siamo che in quattrosignore.»

«Ed i dodici cannoni della Folgorenon li conti?Andiamo innanzi a tutto a esplorare queste viuzze. «Non lo credocapitano.»

«Armate i moschetti e seguitemi.

Mentre i suoi marinai ubbidivanoil Corsaro Nero doppiò ilmantello nero che teneva su di un bracciosi calò il feltro sugli occhipoisnudòcon un gesto risolutola spada che pendevagli al fiancodicendo:

«Avantiuomini del mare! Io vi guido!

La notte era calata e l'uraganoanzichè calmarsiparevache aumentasse. Il ventaccio s'ingolfava nelle strette viuzze della borgata conmille ululaticacciando innanzi a sè nembi di polverementre fra le nubinere come l'inchiostroguizzavano lampi abbaglianti seguiti da tremendiscrosci.

La cittadella pareva sempre deserta. Nessun lume brillavanelle vie e nemmeno attraverso le stuoie che coprivano le finestre.

Anche le porte erano tutte chiuse e probabilmente sbarrate.

La notizia che i terribili corsari della Tortue eranosbarcati doveva essersi sparsa fra gli abitanti e tutti si erano affrettati arinchiudersi nelle proprie case.

Il Corsaro Nerodopo una breve esitazionesi cacciò in unavia che pareva la più larga della città.

Di quando in quando delle pietresmosse dal ventoprecipitavano nella viasfracellandosie qualche caminopoco saldorovinavama i quattro uomini non se ne davano pensiero. Erano già giunti a metà dellaviaquando il Corsaro s'arrestò bruscamentegridando:

«Chi vive?»

Una forma umana era comparsa sull'angolo di una viuzza evedendo quei quattro uominisi era gettata prontamente dietro un carro di fienoabbandonato in quel luogo.

«Un'imboscata?» chiese Carmauxavvicinandosi al capitano.

«Od una spia?»disse questi.

«Forse l'avanguardia di qualche drappello di nemici. Iocredocapitanoche abbiate fatto male a cacciarvi in mezzo a queste case incosì scarsa compagnia.»

«Va' a prendere quell'uomo e conducilo qui.»

«M'incarico io della faccenda»disse il negroimpugnandola sua pesantissima scure. Con tre salti attraversò la via e piombò sull'uomoche si era nascosto dietro al carro.

Afferrarlo pel colletto ed alzarlocome se fosse un semplicefantocciofu l'affare d'un solo momento.

«Aiuto!... Mi ammazzano!» urlò il disgraziatodibattendosi disperatamente. Il negrosenza curarsi di quelle gridalo portòdinanzi al Corsarolasciandolo cadere al suolo.

Era un povero borghesealquanto attempatocon un gran nasoed una gobba mostruosa piantata fra le due spalle. Quel disgraziato era lividoper lo spavento e tremava così forte da temere che da un istante all'altrosvenisse.

«Un gobbo!» esclamò Wan Stiller che l'aveva osservato allaluce d'un lampo. «Ci porterà fortuna!»

Il Corsaro Nero aveva posato una mano sulle spalle dellospagnuolochiedendogli:

«Dove andavi?»

«Sono un povero diavolo che non ha mai fatto male adalcuno» piagnucolò il gobbo.

«Ti domando dove andavi» disse il Corsaro.

«Questo granchio di mare correva al forte per farci prenderedalla guarnigione» disse Carmaux.

«Noeccellenza!» gridò il gobbo. «Ve lo giuro!»

«Per centomila rospi!» esclamò Carmaux. «Questo gobbo miprende per qualche governatore!»

«Silenziochiacchierone!» tuonò il Corsaro. «Orsùdoveandavi?»

«In cerca d'un medicosignore» balbettò il gobbo. «Miamoglie è ammalata.»

«Bada che se tu m'inganni ti faccio appiccare al pennonepiù alto della mia nave.»

«Vi giuro...»

«Lascia i giuramenti e rispondimi. Conosci don Pablo deRibeira?»

«Sìsignore.»

«Amministratore del duca Wan Guld?»

«L'ex governatore di Maracaibo?»

«Sì.»

«Conosco personalmente don Pablo.»

«Ebbeneconducimi da lui.»

«Ma... signore...»

«Conducimi da lui!» tuonò il Corsarocon voce minacciosa.«Dove abita?»

«Qui vicinosignoreeccellenza...»

«Silenzio! Avanti se ti preme la pelle.» Mokoprendiquest'uomo e bada che non ti sfugga. -

Il negro afferrò lo spagnuolo fra le robuste braccia emalgrado le sue protestelo portò con sèdicendogli:

«Dove?»

«All'estremità della via.»

«Ti risparmierò la fatica.»

Il piccolo drappello si mise in cammino. Procedeva però concerte precauzioniarrestandosi sovente sugli angoli delle viuzze trasversaliper tema di cadere in qualche imboscata o di ricevere qualche scarica abruciapelo.

Wan Stiller sorvegliava le finestrepronto a scaricare ilsuo moschetto contro la prima persiana che si fosse aperta o contro la primastuoia che si fosse alzata; Carmaux invece non perdeva di vista le porte.

Giunti all'estremità della viail gobbo si volse verso ilCorsaro e additandogli una casa di bell'aspettocostruita in muraturaa piùpiani e sormontata da una torrettagli disse:

«Sta quisignore.»

«Va bene» rispose il Corsaro.

Guardò attentamente la casasi spinse verso i due angoliper accertarsi che nelle due viuzze vicine non si nascondevano dei nemicipoisi avvicinò alla porta ed alzò un pesante battente di bronzolasciandolocadere con impeto.

Il rimbombo prodotto da quell'urto non era ancora cessatoquando si udì aprirsi una persianapoi una voce scese dall'ultimo pianochiedendo:

«Chi siete?»

«Il Corsaro Nero; aprite o daremo fuoco alla casa!» gridòil capitanofacendo scintillare alla livida luce d'un lampo la lama della suaspada.

«Chi cercate?»

«Don Pablo de Ribeiraamministratore del duca Wan Guld!»

Nell'interno della casa si udirono dei passi precipitosidelle grida che parevano di spaventopoi più nulla.

«Carmaux» disse il Corsaro. «Hai la bomba?»

«Sìcapitano.»

«Collocala vicino alla porta. Se non obbedisconodaremofuoco e l'apriremo noi il passaggio.»

Si sedette su di un paracarro che si trovava a breve distanzae attesetormentando la guardia della sua spada.

 

 

Capitolo II.

 

PARLARE O MORIRE

 

Poco dopo si videro degli sprazzi di luce sfuggire attraversole persiane del primo piano e riflettersi sulle pareti della casa che si trovavadi fronte. Una o più persone stavano per scendereanzi si udivano dei passirimbombare al di là della porta massicciaripercossi dall'eco di qualchecorridoio. Il Corsaro si era vivamente alzatostringendo la spada colla destraed una pistola colla sinistra: i suoi uomini si erano collocati ai lati dellaportail negro colla scure alzata ed i due filibustieri coi moschetti in mano.

In quel momento l'uragano raddoppiava la sua furia. Il ventoruggiva tremendamente attraverso le viuzze della borgatafacendo volare in ariale tegole e sbatacchiando con gran fracasso le persianementre lividi lampirompevano le cupe tenebre e fra le nubi rombavacon un fragore assordanteiltuono. Alcuni goccioloni cominciavano già a cadere e con tale violenza da parerchicchi di grandine.

«Qualcuno si avanza» disse Wan Stillerche avevaaccostato un occhio al buco della serratura. «Vedo degli sprazzi di lucebrillar dietro la porta.»

Il Corsaro Neroche cominciava già a perdere la pazienzaalzò il pesante battente e lo lasciò ricadere. Il colpo si ripercosse nelcorridoio interno come lo scoppio d'una folgore.

Una voce tremanterispose subito:

«Vengosignori!»

Si udì un fragore di catenacci e di chiavistellipoi lamassiccia porta si aperse lentamente.

Il Corsaro aveva alzata la spadapronto a colpirementre idue filibustieri avevano puntati i moschetti.

Un uomo attempatoseguito da due paggi di razza indiana cheportavano delle torceera apparso. Era un bel vecchio che doveva aver varcatadi già la sessantinama ancora robustissimo e ritto come un giovanotto. Unalunga barba bianca gli copriva il mento scendendogli fino alla metà del petto ei capellipure canutilunghissimi e ancora assai fittigli cadevano sullespalle. Indossava un vestito di seta oscura adorno di merletti e calzava altistivali di pelle gialla con speroni d'argentometallo che in quell'epoca valevaquasi meno dell'acciaio nelle ricchissime colonie spagnuole del Golfo delMessico.

Gli pendeva dal fianco una spada e nella cintura portava unodi quei pugnali spagnuoli chiamati misericordiearmi terribili in unamano robusta.

«Che cosa volete da me?» chiese il vecchiocon un tremitoassai marcato.

Invece di rispondereil Corsaro Nero fece cenno ai suoiuomini di entrare e di chiudere la porta.

Il gobbodiventato ormai inutileera stato lasciato al difuori.

«Attendo la vostra risposta» disse il vecchio.

«Il cavaliere di Ventimiglia non è abituato a parlare neicorridoi» disse il Corsaro Nerocon voce recisa.

«Seguitemi» disse il vecchiodopo una breve esitazione.

Preceduti dai due paggisalirono una spaziosa scala di legnorosso ed entrarono in un salotto ammobiliato con eleganza e adorno di vecchiarazzi importati dalla Spagna.

Un doppiere d'argentosostenente quattro candeleerasituato su di una tavola intarsiata di madreperla e di laminette d'argento. IlCorsaro Nero con uno sguardo si assicurò se non vi erano altre porte poivolgendosi verso i suoi uominidisse:

«TuMokoti metterai a guardia della scala e porrai labomba presso la porta; voiCarmaux e Wan Stillerrimarrete nel corridoioattiguo.»

Poi guardando fisso il vecchioil quale era diventatopallidissimogli disse:

«Ed ora a noi duesignor Pablo de Ribeiraintendente delduca Wan Guld.»

Prese una sedia e si sedette dinanzi al tavolomettendosi laspadaancora sguainatasulle ginocchia.

Il vecchio era rimasto in piediguardando con terrore edinquietudine il formidabile Corsaro.

«Voi sapete chi sono ioè vero? - chiese il filibustiere.

«Il cavaliere Emilio di Roccabrunasignore di Valpenta e diVentimiglia» disse il vecchio.

«Ho piacere che voi mi conosciate così bene.»

Il vecchio ebbe un pallido sorriso.

«Signor de Ribeira» continuò il Corsaro«sapete perquale motivo io ho osatocolla mia sola naveavventurarmi su queste coste?»

«Lo ignoroma suppongo che debba essere ben grave percommettere una simile imprudenza. Voi non dovete ignorarecavaliereche suqueste coste incrocia la squadra di Vera-Cruz.»

«Lo so» rispose il Corsaro.

«E che qui vi è una guarnigione non molto numerosaèveroperò superiore al vostro equipaggio.»

«Anche questo lo sapevo.»

«Ed avete osato venire quiquasi solo?»

Un sorriso sdegnoso sfiorò le labbra del Corsaro.

«Io non ho paura» disse con fierezza.

«Nessuno può mettere in dubbio il valore del CorsaroNero» disse don Pablo de Ribeira. «Vi ascoltocavaliere.»

Il filibustiere rimase alcuni istanti silenziosopoi dissecon voce alterata:

«M'hanno detto che voi conoscete qualche cosa di HonorataWan Guld.» In quella vocein quel momentovi era qualche cosa di straziante.Pareva che un singhiozzo si fosse spezzato nel petto del fiero uomo di mare.

Il vecchio era rimasto mutoguardando con occhi tetri ilCorsaro. Fra quei due uomini vi furono alcuni istanti di silenzio angoscioso.Pareva che entrambi avessero paura di romperlo.

«Parlate» disse ad un tratto il Corsaro con vocesibilante. «È vero che un pescatore del Mare dei Caraibi vi ha detto d'averveduta una scialuppatrasportata dalle ondemontata da una giovane donna?»

«Sì» rispose il vecchio con una voce così debole cheparve un soffio.

«Dove si trovava quella scialuppa?»

«Molto lontana dalle coste della Venezuela.»

«In quale luogo?»

«Al sud delle coste di Cubaa cinquanta o sessanta migliadalla punta di S. Antonionel canale del Yucatan.»

«Ad una così grande distanza dalla Venezuela!» esclamò ilCorsarobalzando vivamente in piedi. «Quando fu incontrata quella scialuppa?»

«Due giorni dopo la partenza delle navi filibustiere dallespiagge di Maracaibo.»

«E la donna era viva ancora?...»

«Sìcavaliere.»

«E quel miserabile non l'ha raccolta?»

«La tempesta infuriava e la sua nave non era più in gradodi resistere agli assalti delle onde.»

Un grido strozzato era uscito dalle labbra del Corsaro. Eglisi prese il capo fra le mani e per qualche istante il vecchio udì dei sordisinghiozzi.

«Voi l'avete uccisa» disse il signor de Ribeira con vocecupa. «Quale tremenda vendetta avete commessacavaliere. Dio vi punirà.»

Udendo quelle paroleil Corsaro Nero aveva alzata vivamentela testa. Ogni traccia di dolore era scomparsa per lasciare posto ad unaalterazione spaventosa. La sua tinta pallida era diventata lividamentre unlampo terribile animava i suoi occhi. Un flusso di sangue gli montò sul visoarrossando per alcuni istanti quella pelle diafanapoi tornò più livida diprima.

«Dio mi punirà!» esclamò egli con voce stridula. «Iol'ho forse uccisaquella donna che tanto ho amatama di chi la colpa? Voidunque ignorate le infamie commesse dal duca vostro signore?... Dei mieifratelliuno dorme laggiùsulle sponde della Scheldagli altri due riposanonei baratri del Mare dei Caraibi. Sapete chi li ha uccisi? Il padre dellafanciulla che amavo!

Il vecchio era rimasto silenziosoe non staccava i suoisguardi dal Corsaro.

«Io avevo giurato odio eterno contro quell'uomo che avevaspenti i miei fratelli nel fior degli anniche aveva tradita l'amicizialabandiera della sua patria adottivache per dell'oro aveva venduta la sua animae la sua nobiltàche aveva macchiato infamemente il suo blasone ed ho volutomantenere la mia parola.»

«Dannando a morte una fanciulla che non poteva farvi alcunmale.»

«Io avevo giuratola notte in cui abbandonavo alle onde ilcadavere del Corsaro Rossodi sterminare tutta la sua famigliacome egli avevadistrutta la mia e non ho potuto infrangere la parola data. Se io non l'avessifattoi miei fratelli sarebbero saliti dal fondo del mare per maledirmi!... Edil traditore vive ancora!... - riprese egli dopo alcuni istanti con uno scoppiod'ira spaventevole. - L'assassino non è spento e i miei fratelli mi chiedonovendetta: l'avranno!...

«I morti nulla possono chiedere.»

«V'ingannate!... Quando il mare scintillaio vedo ilCorsaro Rosso ed il Verde risalire dagli abissi del mare e fuggire dinanzi laprora della mia Folgore e quando il vento fischia fra le corde della mianave odo la voce di mio fratello spento sulle terre della Fiandra. Mi capitevoi?»

«Follie!»

«No!» gridò il Corsaro. «Anche i miei uominiper moltenottihanno veduto apparirefra un fiotto di spumagli scheletri del CorsaroRosso e del Verde. Essi mi chiedono ancora vendetta. La morte della fanciullache io amavo non è stata sufficiente a calmarli e la loro anima tormentata nonsi quieterà finchè non avrò punito il loro assassino. Ditemidov'è WanGuld?

«Voi pensate ancora a lui?» chiese l'intendente. «Non vibastava la figlia?»

«No! Vi ho detto che i fratelli miei non si sono ancoraplacati.»

«Il duca è lontano.»

«Fosse anche all'infernoil Corsaro Nero andrà atrovarlo.»

«Andate a cercarlo adunque.»

«Dove?»

«Io non so dove precisamente si trovi. Si dice però che sianel Messico.»

«Si... dice? Voiche siete il suo intendentel'amministratore dei suoi benilo ignorate? Non sarò certamente io che locrederò.»

«Eppure io non so dove si trovi.»

«Voi me lo direte» gridò il Corsaro con accentoterribile. «La vita di quell'uomo mi è necessaria. Egli mi è sfuggito aMaracaibo ed a Gibraltarma ora sono risoluto a scovarlodovessi affrontarecolla mia sola naveanche l'intera squadra del vicerè del Messico.»

A un tratto cessò di parlaresi alzò e si accostòrapidamente ad una finestra.

«Cosa avete?» chiese don Pablocon stupore.

Il cavaliere non rispose. Curvo verso la finestraascoltavaattentamente. La tempesta infuriava al di fuori. Tuoni assordanti rombavano incielo ed il vento ululava per le viuzze facendo strage di tegole e di camini.L'acqua cadeva a torrenti e scrosciava contro i muri della casa e sullastricatoscorrendo fragorosamente per le vieormai convertite in torrenti.

«Avete udito?» chiese ad un tratto il Corsaro con vocealterata.

«Nullasignore» rispose il vecchio con accento inquieto.

«Si direbbe che questo vento ha portato fino qui le gridadei miei fratelli!...»

«Quali sinistre folliecavaliere!...»

«Nofollie!... Le onde del Mare dei Caraibi trastullano aquest'ora le salme del Corsaro Rosso e del Verdele vittime del vostrosignore.»

Il vecchioinvolontariamenterabbrividì e guardò ilCorsaro con spavento. Era coraggioso ma come quasi tutti gli uomini diquell'epoca era anche superstizioso e perciò cominciava a credere alle stranefantasie del funebre filibustiere.

«Avete finitocavaliere?» chiesescuotendosi. «Voifinirete col farmi vedere dei morti.»

Il Corsaro si sedette nuovamente dinanzi al tavolo. Parevache non avesse nemmeno udite le parole dello spagnuolo.

«Eravamo quattro fratelli» cominciò egli con voce lenta etriste. «Ben pochi erano valorosi come i signori di RoccabrunaValpenta eVentimiglia e pochi erano così devoti ai duchi di Savoia come lo eravamo noi.Terribile era scoppiata la guerra nelle Fiandre. In Francia e nella Savoiacombattevamo con estremo furore contro il sanguinario duca d'Albaper lalibertà dei generosi fiamminghi.

Il duca di Wan Guldvostro signoretagliato fuori dalgrosso delle truppe franco-savoiardesi era trincerato in una rocca situatapresso una delle bocche della Schelda. Noi eravamo con lui guardiani fedelidella gloriosa bandiera dell'eroico duca Amedeo II. Tremila spagnuoliconpoderose artiglierieavevano stretta la rocca d'assediodecisi ad espugnarla.Assalti disperatiminebombardamentiscalate notturnetutto avevano tentatoe sempre invano. Lo stendardo di Savoia non era stato mai ammainato. I signoridi Roccabruna difendevano la fortezza e si sarebbero fatti uccidere sui loropezzianzichè cederla.

Una notteun traditorecomperato dall'oro spagnuoloaprela postierla al nemico. Il primogenito dei signori di Roccabruna si slancia percontrastare il passo agli invasori e cadeassassinato da un colpo di pistolasparatogli a tradimento. Sapete come si chiama l'uomo che aveva tradito le suetruppe e ucciso vilmente mio fratello?... Era il duca di Wan Guldil vostrosignore!

«Cavaliere!» esclamò il vecchio.

«Tacete ed ascoltatemi» proseguì il Corsaro con vocefunebre. «Al traditore fu datain compenso della sua infamiauna colonia delGolfo del Messicoquella di Venezuelama si era dimenticato che sopravvivevanoancora tre altri cavalieri di Roccabruna e che questi avevano solennementegiuratosulla croce di Diodi vendicare il fratello ed il tradimento.

Equipaggiati tre vascellierano salpati pel grande golfo:uno si chiamava il Corsaro Verdel'altro il Rossoil terzo il Nero.

«Conosco la storia dei tre corsari» disse il signor deRibeira. «Il Rosso ed il Verdecaduti nelle mani del mio signorevenneroimpiccati come volgari malfattori...»

«Ed ebbero da me onorevole sepolturanegli abissi del maredei Caraibi» disse il Corsaro Nero. «Ora ditemi: quale pena meriterebbequell'uomo che ha tradito la sua bandiera e che mi ha ucciso tre fratelli?...Parlate!»

«Voi gli avete uccisa la figliacavaliere.»

«Taceteper Iddio!» gridò il Corsaro. «Non risvegliateil dolore che mi morde ancora il cuore. Orsùbasta: dove si trovaquell'uomo?»

«Al sicuro dai vostri attacchi.»

«Lo vedremo: ditemi il luogo.»

Il vecchio esitò. Il Corsaro aveva alzata la spada. Un lampoterribile si sprigionava dai suoi occhi. Un ritardo di alcuni secondi e la puntascintillante dell'arma scompariva forse nel petto dell'intendente.

«A Vera-Cruz» disse il vecchioche si vedeva ormaiperduto.

«Ah!...» gridò il Corsaro.

Si era alzato di scatto per dirigersi verso la portaquandovide irrompere nella stanza Carmaux.

Il filibustiere aveva il volto molto oscuro ed i suoi sguarditradivano una viva inquietudine.

«PartiamoCarmaux» gli disse il Corsaro. «So quantodesideravo sapere.»

«Un momentocapitano.»

«Che vuoi?»

«La casa è circondata.

«Chi ci ha traditi?» chiese il Corsaro guardandominacciosamente don Pablo.

«Chi?... Quel gobbo maledetto che lasciammo in libertà»disse Carmaux. «Abbiamo commessa un'imprudenza che forse pagheremo caracapitano.»

«Sei certo che la via sia occupata dagli spagnuoli?»

«Ho veduto iocon questi occhidue uomini nascondersi nelportone che sta di fronte a questa casa.»

«Bella forza contro di noi!» disse il Corsaro condisprezzo.

«Ve ne possono essere altri in agguato nelle viuzze vicinesignore» disse Carmaux.

Il Corsaro stette un momento pensieroso poi volgendosi versodon Pablogli disse:

«Non v'è in questa casa qualche uscita segreta?»

«Sìsignor cavaliere» disse il vecchiomentre un lampogli balenava negli sguardi.

«Voi ci farete fuggire.»

«Ad una condizione però.»

«Quale?»

«Di abbandonare i vostri progetti di vendetta contro il miosignore.»

«Volete scherzaresignor de Ribeira?» chiese il Corsarocon tono beffardo.

«Nocavaliere.»

«Il signor di Roccabruna non accetterà mai talicondizioni.»

«Vi sono centocinquanta soldati in Puerto Limon.»

«Non mi fanno paura. Io ho a bordo del mio legno centoventilupi di mare capaci di affrontare un reggimento intero.»

«La vostra Folgore non è ancorata dinanzi a questacasacavaliere.»

«La raggiungeremo egualmentesignor mio.»

«Voi non conoscete il passaggio segreto.»

«Lo sapete bene voi.»

«Non ve lo indicherò se prima non mi avrete giurato dilasciare in pace il duca di Wan Guld.»

«Ebbenevediamo- disse il Corsaro con voce stridula.

Armò rapidamente una pistola e puntandola sul vecchiogridò:

«O tu ci guidi al passaggio segreto od io ti uccido:scegli!»

 

 

Capitolo III

 

IL TRADIMENTO DELL'INTENDENTE

 

Don Pablo de Ribeiradinanzi a quella minacciaeradiventato pallidissimo. Istintivamente la sua destra era corsa all'impugnaturadella spadaessendo stato in altri tempi un valorosissimo uomo di guerramavedendo Carmaux avanzarsi purecredette inutile opporre qualsiasi resistenza.

D'altro canto era certo di lasciare la vitaanche se avesseavuto di fronte il Corsaro solonon ignorando con quale formidabile spadaccinoavrebbe avuto da fare.

«Cavaliere» disse«sono nelle vostre mani.»

«Mi condurrete al passaggio segreto?»

«Cedo alla violenza.»

«Precedeteci.»

Il vecchio prese un doppiere che stava su di un cassettonelo accesepoi fece cenno al Corsaro di seguirlo.

Carmaux aveva già chiamati i suoi due compagni.

«Dove si va?» chiese Wan Stiller.

«Pare che si fugga» rispose Carmaux.

Intanto don Pablo era uscito dalla stanza e si era inoltratoin un lungo corridoio sulle cui pareti si vedevano dei grandi quadrirappresentanti degli episodi della sanguinosa campagna di Fiandra e dei ritrattiche dovevano forse raffigurare degli antenati del duca Wan Guld.

Il Corsaro lo aveva seguito tenendo la spada sguainata e lasinistra appoggiata al calcio d'una delle sue due pistole. Diffidava già delvecchio.

Giunti all'estremità della galleriadon Pablo si arrestòdinanzi ad un quadro più grande degli altripoi appoggiò un dito sullacornicee per qualche istantelo fece scorrere lungo una scanalatura.

Ad un tratto il quadro si staccòabbassandosi fino alsuololasciando vedere un'apertura tenebrosacapace di lasciar passare duepersone insieme. Un buffo di vento umido uscìfacendo vacillare le candele deldoppiere.

«Ecco il passaggio» disse il vecchio.

«Dove conduce?» chiese il Corsaro con tono diffidente.

«Gira intorno alla casa e finisce in un giardino.»

«Lontano?»

«Cinque o seicento passi.»

«Passate.»

Il vecchio esitò.

«Perchè devo seguirvi ancora?» chiese. «Non vi basta chevi abbia condotti fino qui?»

«Chi ci assicura che voi ci avete messi sulla buona via?»

Il vecchio corrugò la fronteguardando sospettosamente ilCorsaropoi si cacciò nel tenebroso passaggio. I quattro filibustieri loseguirono in silenziosenza abbandonare le loro armi. Una scala che scendevatortuosamentesi trovava al di là del passaggio. Era strettissima e pareva chefosse stata costruita nello spessore d'una muraglia.

Il vecchio scese lentamentetenendo una mano sulle candeleonde il vento che saliva non le spegnessepoi s'arrestò dinanzi ad unagalleria sotterranea.

«Siamo a livello della strada» disse. «Non avete da farealtro che camminare sempre dritti.»

«Sarà vero quello che voi ditema noi non vi lasceremo.Siete pregato di andare innanzi» disse il Corsaro.

«Il vecchio trama qualche cosa» mormorò Carmaux. «Ègià la terza volta che cerca di piantarci.»

Il signor de Ribeiraquantunque di malavogliasi erainoltrato in un sotterraneo basso e stretto.

L'umidità era copiosissima. Dalle vôlte cadevano deigoccioloni e le pareti erano tutte bagnate. Si sarebbe detto che sopra scorrevaqualche torrente o qualche fiumicello; buffi d'aria giungevano dall'oscuritàminacciando ad ogni istante di spegnere le candele.

Don Pablo si avanzò per circa cinquanta passipois'arrestò bruscamentemandando un grido. Quasi nell'istesso momento le candelesi spensero e l'oscurità piombò nella galleria.

«Il Corsaro si era slanciato per impedire a don Pablo diallontanarsi. Con suo grande stupore non trovò nessuno dinanzi a sè.

«Dove siete?» gridò. «Rispondete o faccio fuoco!»

Un colpo sordo che pareva fosse stato prodotto da una portamassiccia che si chiudevarimbombò a pochi passi.

«Tradimento!» gridò Carmaux.

Il Corsaro aveva puntata una pistola. Un lampo ruppe letenebreseguito da uno sparo.

«Il vecchio è scomparso!» gridò il signor di Ventimiglia.«Questo tradimento dovevo aspettarmelo.»

Alla luce della polvere accesaaveva veduto a pochi passiuna porta la quale sbarrava la galleria. L'intendente del ducaapprofittandodell'oscuritàdoveva averla chiusa dopo averla varcata.

 

«Accendete un lumeuna micciaun pezzo d'escaqualchecosa insomma.» disse il Corsaro.

«Ho trovato una candelapadrone» disse il negro. «Deveessere caduta dal doppiere.»

Wan Stiller estrasse l'acciarino ed un pezzo d'esca ed accesela candela.

«Vediamo» disse il Corsaro.

S'accostò alla porta e la esaminò attentamente. S'avvidesubito che da quella parte non v'era alcuna speranza d'uscita. Era massicciacoperta da grosse lastre di bronzouna vera porta corazzata. Per sfondarla cisarebbe voluto un pezzo d'artiglieria.

«Il vecchio ci ha rinchiusi nel sotterraneo- disseCarmaux. - Nemmeno la scure di compare sacco di carbone potrebbe sfondarla.

«La ritirata non c'è forse ancora stata tagliata- disseil Corsaro. - Affrettiamoci a ritornare nella casa del traditore.

Rifecero la via percorsasalirono la scala a chiocciola egiunsero all'uscita del passaggio segreto. Colà però li attendeva una bruttasorpresa.

Il quadro era stato ricollocato a posto ed avendolo ilCorsaro percosso colla lama della spadaaveva dato un suono metallico.

«Una parete di ferro anche qui!» mormorò egli. «Lafaccenda comincia a diventare inquietante.»

Stava per volgersi verso Moko onde dargli il comando diassalire il quadro a colpi di scurequando udì delle voci.

Alcune persone parlavano dietro il quadro.

«I soldati?» chiese Carmaux. «Per le corna di Belzebù!»

«Taci» disse il Corsaro.

Due voci si udivano: una pareva d'una giovane donnal'altraquella d'un uomo.

«Chi sono costoro?» si chiese il Corsaro.

Accostò un orecchio alla parete metallica e si pose inascolto.

«Ti dico che il padrone ha rinchiuso qui dentro ilgentiluomo» diceva una voce di donna.

«È un gentiluomo terribileYara» rispose la vocedell'uomo. «Esso si chiama il Corsaro Nero.»

«Non lo lasceremo perire.»

«Se noi aprissimoil padrone sarebbe capace d'ucciderci.»

«Non sai che i soldati sono giunti?»

«So che occupano le viuzze vicine.»

«Lasceremo noi assassinare quel bel gentiluomo?...»

«Vi ho detto che è un filibustiere della Tortue.»

«Io non voglio che muoiaColima.»

«Quale capriccio!...»

«Yara così vuole.»

«Pensate al padrone.»

«Io non l'ho mai temuto. ObbedisciColima.»

«Chi sono costoro?» si chiese il Corsaro che non avevaperduta una sillaba di quella conversazione. «Pare che vi sia qualcuno ches'interessa di me e...»

Non proseguì. La molla esterna era scattata con un stridìoprolungato e la piastra metallica che corazzava il quadro era discesalasciandolibero il passaggio.

Il Corsaro si era spinto innanzi colla spada tesapronto aferirema subito si trattenne facendo un gesto di stupore.

Dinanzi a lui stava una bellissima fanciulla indianaed ungiovane negro il quale reggeva un pesante candeliere d'argento.

Quella giovanetta poteva avere sedici anni e come si disseera bellissimaquantunque la sua pelle avesse una tinta leggermente ramigna.

La sua corporatura era elegantissimacon una vitina cosìstretta che due mani sarebbero bastate a stringerla. Aveva due occhi splendidi eneri come carbonchiombreggiati da due ciglia foltissime e lunghe; il nasinodirittoquasi grecole labbra piccinevermiglieche mostravano dei dentipiù brillanti delle perle; dei capelli lunghissimineri come le ali dei corvigli scendevanoin pittoresco disordinesulle spalleformando come un mantellodi velluto.

Anche il costume che indossava era graziosissimo. La suagonnellina di stoffa rossa era ricamata con pagliuzze d'argento e adorna dipiccole perle; la sua camiciaassai attillata ed abbellita da pizziera purecosparsa di pagliuzze d'oro e alla cintura aveva una grande sciarpa a smaglianticoloriterminante in una quantità di fiocchetti di seta. I suoi piedipiccoliforse come quelli delle cinesisparivano entro delle graziose babbucce di pellegialla pure ricamate in oroe agli orecchi portava due grandi anelli di metalloed al collo numerosi monili di grande valore.

Il suo compagno inveceun negro di diciotto o vent'anniaveva le labbra molto tumidegli occhi grandissimi che parevano di porcellana euna capigliatura assai cresputa.

Con una mano reggeva il candelierecoll'altra inveceimpugnava una specie di coltellaccio ricurvoarma usata dai piantatori.

Vedendo il Corsaro in quell'attitudine minacciosala giovaneindiana aveva fatto due passi indietromandando un grido di sorpresa ed insiemedi gioia.

«Il bel gentiluomo!» aveva esclamato.

«Chi siete voi?» chiese il Corsaro balzando a terra.

«Yara» rispose la giovane indiana con un tono di voceargentino.

«Non ne so più di prima; d'altronde non mi preme averemaggiori spiegazioni. Ditemi invece se la casa è assediata.»

«Sìsignore.»

«E don Pablo de Ribeiradov'è?»

«Non l'abbiamo più veduto.»

Il Corsaro si volse verso i suoi uominidicendo:

«Non abbiamo un istante da perdere. Forse siamo ancora intempo.

Senza nemmeno occuparsi del negro e dell'indiana avevainfilato il corridoio per giungere alla scalaquando si sentì prenderedolcemente per la falda dell'abito.

Si volse e vide l'indiana. Il bel volto della giovane tradivaun'angoscia così profondache ne fu stupito.

«Che cosa desideri?» le chiese.

«Non voglio che vi uccidanosignore» rispose Yara convoce tremante.

«Cosa importa a te?» chiese il Corsarocon accento menoduro.»

«Gli uomini che sono in agguato nelle vie vicinenon virisparmierebbero.»

«E nemmeno noi risparmieremo loro.»

«Sono moltimio signore.»

«Pure bisogna che esca da qui. La mia nave m'aspetta allabocca del porto.»

«Invece di andare incontro a quei soldatifuggite.»

«Sarei ben lieto di poter andarmene senza impegnarebattagliama vedo che non vi è che questa scala. Il sotterraneo è statochiuso da don Pablo.»

«Vi è un solaio; potete nascondervi.»

«Ioil Corsaro Nero!... Oh!... Maimia fanciulla. Tuttaviagrazie del tuo consiglio; ti sarò sempre riconoscente. Ti chiami?»

«Yaravi ho detto.»

«Non scorderò questo nome.»

Le fece un gesto d'addio e scese le scale preceduto da Moko eseguito da Carmaux e da Wan Stiller.

Giunti nel corridoiosi arrestarono un momento per armare imoschetti e le pistolepoi Moko aprì risolutamente la porta.

«Che Dio vi proteggamio signore!» gridò Yara che si erafermata sul pianerottolo.

«Graziebuona fanciulla» rispose il Corsaroslanciandosinella via.

«Adagiocapitano» disse Carmauxarrestandolo. «Vedodelle ombre presso l'angolo di quella casa.»

Il Corsaro si era fermato. L'oscurità era tale da nonpotersi distinguere una persona alla distanza di trenta passi e per di piùpioveva a dirotto. I lampi erano cessatinon così il ventaccioil qualecontinuava a ululare entro le strette viuzze e sugli abbaini. Tuttavia ilCorsaro aveva scorte le ombre indicate da Carmaux. Era impossibile sapere quantefosseropoche però non dovevano essere.

«Ci aspettavo» mormorò il Corsaro. «Il gobbo non haperduto il suo tempo. Uomini del mare!... Noi daremo battaglia!»

Si era gettato il grande mantello sul braccio sinistro ecolla destra impugnava la spadaun'arma terribile in mano sua. Non volendotuttavia affrontare subito il nemicoignorando ancora con quante persone dovevamisurarsiinvece di muovere verso quelle ombre che stavano in agguatosi tennecontro il muro.

Aveva percorso dieci passiquando si vide piombare addossodue uomini armati di spada e pistola. Si erano tenuti nascosti sotto un portonee vedendo apparire il formidabile Corsarosi erano scagliati decisamente controdi luicolla speranza forse di sorprenderlo.

Il cavaliere non era però uomo da lasciarsi cogliereall'improvviso. Con un balzo da tigre evitò le due stoccatepoi a sua voltacaricò facendo fischiare la sua lama.

«A voiprendete! - gridò.

Con un colpo ben aggiustato mandò uno dei due assalitori aterrapoi saltando via il feritosi precipitò addosso al secondo. Questivedendosi solovolse le spalle e fuggì a rompicollo.

Mentre il Corsaro si sbarazzava di quei dueCarmauxWanStiller e Moko si erano scagliati contro un gruppo di personeche era sbucatoda una viuzza vicina.

«Lasciateli andare! - gridò il Corsaro.

Era troppo tardi per trattenere lo slancio dei filibustieri.Resi furiosi dall'imminenza del pericoloerano piombati addosso ai nemici contale impetoda sgominarli con pochi colpi di spada.

Invece di fermarsisi erano slanciati dietro ai fuggiaschiurlando a squarciagola:

«Ammazza!... Ammazza!

In quel momento un drappello sbucava da un'altra viuzza. Eracomposto di cinque uominitre armati di spada e due di moschetto.

Vedendo il Corsaro Nero solomandarono un urlo di gioia egli si avventarono controgridando: «Arrenditi o sei morto!»

Il signor di Ventimiglia si guardò intorno e non potètrattenere una sorda imprecazione.

Si appoggiò al muro per non venire circondato e impugnò unadelle due pistole che portava alla cinturagridando con quanta voce aveva:

«A mefilibustieri!»

La sua voce fu soffocata da uno sparo. Uno dei cinque uominiaveva fatto fuocomentre gli altri sguainavano le spade. La palla si schiacciòcontro il muroa pochi pollici dalla testa del cavaliere.

Questi puntò la pistola e fece fuoco a sua volta. Uno deidue moschettiericolpito in pieno pettocadde fulminatosenza mandare ungrido.

Ripose l'arma scarica ed impugnò la secondama la polverenon s'accese.

«Maledizione!» esclamò.

«Arrendetevi!» gridarono i quattro spagnuoli.

«Eccovi la risposta!» urlò il Corsaro.

Si staccò dal muro e con un salto fulmineo piombò addosso aloromenando stoccate a destra ed a manca.

Il secondo moschettiere cadde. Gli altri però si gettaronodinanzi al Corsaro chiudendogli nuovamente il passo.

«A me filibustieri!» gridò ancora il cavaliere.

Gli risposero invece alcuni spari. Pareva che all'estremitàdella viuzza i suoi uomini avessero impegnato un disperato combattimentopoichè si udivano urlabestemmiegemiti e uno scrosciare di ferri. Potendovenire circondatosi mise a retrocedere a passi lestiper appoggiarsinuovamente al muro. I tre spadaccini lo incalzavano vivamente vibrandoglistoccate su stoccatepremurosi di finirla prima del ritorno dei filibustieri.

Dopo quindici passiil cavaliere sentì dietro di sè unostacolo. Allungando la sinistra si accorse di trovarsi dinanzi ad una porta.

In quel momento udì in alto un grido di donna.

«Colima!... Lo uccidono!...»

«La fanciulla indiana!» esclamò il Corsarocontinuando adifendersi. «Benissimo! Posso sperare in qualche aiuto!»

Abilissimo spadaccinoparava le botte con prontezzafulmineae ne vibrava altrettante. Tuttavia aveva molto da fare a far fronte aquelle tre spade che cercavano di giungergli al cuoreanzi due puntate loavevano già raggiunto stracciandogli il giustacuore e toccandogli le carni.

Ad un tratto ricevette una stoccata sotto il fianco destroin direzione del cuore. La parò in parte col braccio sinistroma non potèimpedire alla lama di penetrargli nelle carni.

«Ah!... Cane!... - urlò scartando bruscamente a sinistra.

Prima che il suo feritore avesse potuto liberare la puntadella spada imbrogliatasi fra le pieghe del mantellovibrò un colpo disperato.La lama colpì l'avversario in mezzo alla golatroncandogli la carotide.

«E tre!» gridò il Corsaroparando una nuova stoccata.

«Prendi allora questa!» disse uno dei due spadaccini.

Il Corsaro aveva fatto un salto indietro mandando un grido didolore.

«Toccato» disse.

«AddossoJuan!» gridò il feritorevolgendosi verso ilcompagno. «Una nuova stoccata e lo finiremo!»

«Non ancora!» urlò il Corsaroscagliandosi impetuosamentesui due assalitori. «Prendete queste.»

Con due terribili stoccate rovesciòun dietro l'altroidue spadaccinima quasi subito si sentì mancare le forze mentre dinanzi agliocchi gli si stendeva come un velo sanguigno.

«Carmaux!... Wan Stiller!... Aiuto!...» mormorò con vocesemispenta.

Si portò una mano al petto e la ritrasse bagnata di sangue.

Retrocesse fino alla porta contro la quale si appoggiò. Latesta gli girava e sentiva negli orecchi un sordo ronzìo.

«Carmaux!...» mormorò un'ultima volta.

Gli parve di udire dei passi precipitatipoi le voci deisuoi fedeli corsariquindi una porta aprirsi. Vide confusamente un'ombradinanzi a sè e gli parve che due braccia lo stringesseropoi non seppe piùnulla.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. .

Quando tornò in sènon si trovava più nella strada oveaveva sostenuto quel sanguinosissimo combattimento. Era invece adagiato su di uncomodo lettoadorno di cortine di seta azzurrafrangiate in orocon deiguanciali candidissimi abbelliti da trine di valore.

Un visino grazioso stava curvo su di luispiandoansiosamente i suoi più piccoli movimenti. Lo riconobbe subito.

«Yara!» disse.

La giovane indiana si era alzata precipitosamente. I grandie dolci occhi di quella creatura erano ancora umidi come se avessero pianto.

«Cosa fai quifanciulla?» le chiese il Corsaro. «Chi miha portato in questa stanza? Ed i miei uomini dove sono?»

«Non muovetevisignore» disse la giovane.

«Dimmi dove sono i miei uomini» ripetè il Corsaro. «Odoun fragor d'armi giù nella via.»

«I vostri uomini sono quima...»

«Continua» disse il Corsaro vedendola esitante.»

«Guardano la scalasignore.»

«Perchè?»

«Avete dimenticato gli spagnuoli?»

«Ah!... Stordito!... Sono qui gli spagnuoli?»

«Hanno circondato la casasignore» rispose la giovane convoce angosciata.

«Mille tuoni!... Ed io sono a letto!»

Il Corsaro fece atto di gettarsi giù; un dolore acuto lotrattenne.

«Sono ferito» esclamò. «Ah!... Ora mi ricordo tutto!»

Solo in quel momento si accorse di avere il petto fasciato daun lino candidissimo e d'aver le mani lorde di sangue.

Non ostante il suo coraggioimpallidì.

«Sarei forse impossibilitato a difendermi?» si chiese conansietà. «Io ferito e gli spagnuoli che ci assediano e che forse minaccianoanche la mia Folgore! Yarafanciulla miacos'è accaduto dopo che iosmarrii i sensi?»

«Vi ho fatto portare qui dai due paggi del mio padrone e daColima» rispose la giovane indiana. «Io avevo supplicato il negro diaccorrere in vostro aiutoma egli non aveva osato uscire finchè vi erano deglispagnuoli sulla via.»

«Chi mi ha fasciato?»

«Io ed uno dei vostri uomini.»

«Sono tornati tutti?

«Sìsignore. Uno di loro aveva numerose scalfitture edanche il negro perdeva sangue da un braccio.»

«E perchè non sono qui?»

«I due bianchi vegliano sulla scalail negro si è posto aguardia del passaggio segreto.»

«Vi son molti nemici nei dintorni?»

«Lo ignoromio signore. Colima ed i due valletti sonofuggiti prima che i soldati giungessero ed io non ho lasciato un solo istante ilvostro letto.»

«Grazie della tua affezione e delle tue curemia bravafanciulla» disse il Corsaroposando una mano sul capo della giovane indiana.«Il Corsaro Nero non ti scorderà.»

«Allora mi vendicherà!» esclamò l'indiana mentre un cupolampo balenava nei suoi grandi occhi neri.

«Cosa vuoi dire?»

In quell'istante si udì al di fuori rimbombare un colpo dimoschettopoi la voce di Carmaux a tuonare:

«Badate!... Vi è una bomba dietro alla porta!...»

Il Corsaro Nero vedendo la sua spada appoggiata ad una sediavicinal'afferrò e fece nuovamente atto di gettarsi giù. La giovane indianalo trattennecingendolo con ambe le braccia.

«Nomio signore» gridò ella«vi ucciderete!...»

«Lasciami andare!»

«Nocapitanovoi non lascerete il letto» disse Carmauxentrando. «Gli spagnuoli non ci tengono ancora.»

«Ah! Sei tumio bravo?» disse il Corsaro. «Siete tuttivalorosilo soeppure troppo pochi per difendervi da un assalto generale. Nonvoglio mancare al momento opportuno.»

«E le vostre ferite?»

«Mi sembra di potermi ancora reggereCarmaux. Le haiesaminate?»

«Sìcapitano. V'hanno dato una stoccata superba un po'sotto al cuore. Se la lama non avesse incontrata una costola vi avrebbeattraversato il corpo.»

«Non è grave però.»

«Questo è verosignore- rispose Carmaux. - Io credo chein una dozzina di giorni potrete ricominciare a dare stoccate.»

«Dodici giorni! Sei pazzoCarmaux?»

«Vi sono due buche da turare. Un po' più sotto vi hannofatto un secondo occhiellomolto meno profondo del primo forseperò piùdoloroso. Quelle due stoccate le avete pagate con usura perchè ho veduto giùpresso il portonetre morti e due feriti.

«E voi ne avete date? - chiese il Corsaro.

«Abbiamo gettato a terra una mezza dozzina d'uomininonricevendo in cambio che poche graffiature. Noi eravamo convinti che voi ciaveste seguitiper ciò avevamo continuata la carica per sbarazzarvi la via.Quando ci accorgemmo che voi invece eravate rimasto indietrocercammo ditornare sui nostri passi. Gli spagnuoliche avevano fatto il loro piano perisolarvici diedero addosso per impedirci di accorrere in vostro aiuto.»

«Come avete saputo che io mi trovavo qui?»

«Fu questa brava fanciulla ad avvertirci.»

«Ed ora?»

«Siamo assediaticapitano.»

«Sono molti i nemici?»

«L'oscurità non mi ha permesso ancora di valutare il loronumero» disse Carmaux. «Sono convinto che siano in molti.»

«Sicchè la nostra situazione è grave.»

«Non lo negotanto più che dobbiamo difenderci anche entrola casa. Gli spagnuoli possono entrare servendosi del passaggio segreto.»

«Il pericolo maggiore sta precisamente in quel passaggio»disse la giovane indiana. «Don Pablo ha la chiave della porta di ferro.»

«Mille balene!» esclamò Carmaux. «Se i nemici ciassalgono d'ambo le parti non so se potremo resistere a lungo.»

«Ci basterebbe peròpoter resistere otto o dieci ore. Ilsignor Morgannon vedendoci tornare a bordos'immaginerà che qualche cosa digrave è avvenuto e manderà a terra un forte drappello per venirci a cercare.

«Potrete resistere fino all'alba? Gli spagnuoli possonoscalare le finestre e forzare contemporaneamente il passaggio segreto.»

«Signore» disse la giovane indiana che non aveva perdutauna sola sillaba di quella conversazione. «Vi è un luogo dove potresteresistere a lungo.»

«Qualche cantina?» chiese Carmaux.

«Nonella torricella.»

«Mille balene! Vi è una torricella in questa casa? Alloranoi siamo salvi! Se è molto alta noi potremo fare dei segnali all'equipaggiodella Folgore.»

 

 

Capitolo IV.

 

ASSEDIATI NELLA TORRICELLA

 

Cinque minuti dopo il Corsaro Neroportato a braccia daisuoi fidi marinaisi trovava nella torricella della casa del signor de Ribeira.Anche la giovane indiana aveva voluto seguirlonon ostante i consigli diCarmauxa cui spiaceva molto esporre quella brava giovane ai pericoli d'unassedio. Quella torricella era una piccola costruzionenon molto alta e nonmolto resistentedivisa in due stanzette circolari e comunicantiper mezzod'una scala di legnocoi solai della casa. Quantunque non si elevasse moltodalle finestre del piano superiore si dominava non solo tutta la cittadellabensì anche il portoin mezzo al quale si trovava ancorata la Folgore.

Carmauxfatto adagiare il suo capitano su di un vecchioletto fuori d'usosi era affrettato ad affacciarsi alla finestrina che guardavaverso il porto. Vedendo i fanali della Folgorenon potè trattenere ungrido di gioia.

«Per centomila balene!» esclamò. «Da questa fortezza noipotremo scambiare dei segnali colla nostra nave. Ah! miei cari signorispagnuolinoi vi daremo ancora molto filo da torcere.»

«L'hai veduta la mia nave?» gli chiese il Corsarononsenza una certa commozione.

«Sìcapitano» rispose Carmaux che era rientrato.

«Allora bisogna cercare di resistere fino all'arrivo deirinforzi che ci manderà Morgan.»

«Questa piccola fortezza non mi pare in cattivo stato.»

«Occupatevi della scala.

«Compare sacco di carbone e Wan Stiller stanno giàspezzandola. Anzi ho raccomandato loro di portar qui i rottami.

«Cosa vuoi farne Carmaux?»

«Ci servirà per accendere un bel fuoco sulla torricella. Ilsignor Morgan comprenderà il segnalespero.»

«Basterà accenderlo tre volte con un intervallo di cinqueminuti» disse il Corsaro. «Morgan saprà subito che noi siamo in pericolo eche abbiamo bisogno di aiuti.»

In quel momento udironogiù nella viaun fracassoindemoniato. Pareva che delle persone cercassero di sfondare qualche porta oqualche finestra.

«Sono i nostri uomini che demoliscono la scala?» chiese ilCorsaro.

«Nocapitano» rispose Carmaux che si era affacciato allafinestrina della torre. «Sono gli spagnuoli.»

«Forzano l'entrata?

«Sfondano la porta servendosi d'una trave.»

«Allora fra poco saranno qui.»

«Troveranno un osso duro da rompere» rispose Carmaux.«Andiamo a barricare il passaggio della torricella. Mille balene!»

«Che hai? - chiese il Corsaro.

«Un assediato senza viveri è un uomo morto. Prima dibarricarci pensiamo a procurarci qualche cosa da porre sotto i denti.»

«Non preoccupatevi» disse la giovane indiana. «Ci pensoio a procurarvi dei viveri.»

«La piccina ha del fegato- disse Carmaux vedendolascendere tranquilla come se dovesse compiere una cosa semplicissima.

«Seguila» gli disse il Corsaro. «Se gli spagnuoli lasorprendono a portarci dei viveripotrebbero ucciderla.»

Carmaux snudò la sciabola e scese dietro alla giovanedeciso a proteggerla a qualsiasi costo. Wan Stiller e Mokoarmati di scurestavano per tagliare la scala onde impedire agli spagnuoli di salire al pianosuperiorenel caso che fossero riusciti a sfondare la porta della torretta.

«Un momentoamici» disse loro Carmaux. «Prima i viveripoi la scala.»

«Aspettiamo i tuoi ordini» rispose Wan Stiller.

«Intanto vieni con me. Cercheremo di provvederci di buonebottiglie. Don Pablo deve averne di quelle molto vecchie che faranno bene alnostro capitano.»

«Vi è qui una cesta che sembra fatta appositamente percontenerle» disse l'amburgheseimpadronendosi d'un grande paniere che sitrovava in un angolo della stanzetta.

Lasciarono il loro rifugio ridiscendendo negli appartamentidi don Pablo. La giovane indiana era già entrata in una stanza dove siconservavano le provviste della casa eriempito un paniere di ogni specie divivandetornava frettolosamente nella torretta.

Carmaux e Wan Stiller vedendo molte bottiglie polveroseallineate su d'uno scaffales'affrettarono ad impadronirsene. Tuttavia ebberoanche il buon senso di prendere due secchi ripieni d'acqua.

Stavano per slanciarsi fuoriquando nel corridoio inferioreudirono dei passi affrettati.

«Vengono! - esclamò Carmauximpadronendosi rapidamente delpaniere.

Infilarono il corridoio che conduceva nella torricellaaffrettando la corsa. Stavano per entrare nella porticinadietro la quale liattendeva compare sacco di carbonequando all'estremità opposta viderocomparire un soldato.

«Ehi!... Alt o faccio fuoco!» gridò lo spagnuolo.

«Appiccati!» rispose.

Uno sparo rintronò e la palla andò a forare precisamenteuno dei due secchi che portava l'amburghese. L'acqua zampillò attraverso ilforo.

Carmaux chiuse in fretta la porta mentre delle urla di rabbiaecheggiavano nel corridoio.

«Barrichiamoci! - gridò al negro.

In quella stanza vi erano parecchi mobili fuori d'uso; deitavoliuna credenza monumentaledei canterani e parecchie sedie molto pesanti.

In pochi minuti accumularono quei mobili dinanzi alla portaformando una barricata così massicciada sfidare le palle dei moschetti.

«Devo tagliare la scala?» chiese Moko.

«Non ancora» rispose Carmaux. «Ne avremo sempre iltempo.»

«Assaliranno la porta.»

«E noi risponderemoCompare sacco di carbone. Bisognacercare di resistere più che si può. D'altronde le munizioni non ci fannodifetto.»

«Io ho cento cariche.»

«Ed io e Wan Stiller ne abbiamo altrettantesenza contarele pistole del capitano.»

In quel momento gli spagnuoli giungevano dietro alla porta.

«Aprite o vi uccideremo tutti!» gridò una voce imperiosamartellando le tavole col calcio d'un moschetto.

«Adagiosignor mio» rispose Carmaux. «Non bisogna averetanta frettache diavolo! Un po' di pazienzamio bel soldato.»

«Sono un ufficiale e non un soldato.»

«Ho molto piacere di saperlo» disse Carmaux con voceironica.

«V'intimo la resa.»

«Oh!»

«E subito.»

«Uh! che furia!»

«Non abbiamo tempo da perdere noi.»

«Noi invece ne abbiamo molto» disse Carmaux.

«Non scherzate; potreste pentirvi.»

«Parlo seriamente. Vi pare che questo sia il momento discherzare?»

«Il comandante della città vi promette salva la vita.»

«Purchè ce ne andiamo? Ma se non desideriamo altro!»

«Ad una condizione però.»

«Ah! Vi sono delle condizioni?»

«Che cediate a noi la vostra navearmi e munizionicomprese» disse l'ufficiale.

«Mio caro signorevoi avete dimenticato tre cose.»

«E quali?»

«Che noi abbiamo le nostre case alla Tortue; che la nostraisola è lontana e finalmente che noi non sappiamo camminare sull'acqua come S.Pietro.»

«Vi si darà una barcaccia onde voi possiate andarvene.»

«Uhm! Le barcacce sono incomodemio signore. Io preferiscotornarmene alla Tortue colla Folgore

«Allora vi appiccheremo» gridò l'ufficiale che solamenteallora erasi accorto dell'ironia del filibustiere.

«Sia purebadate però ai dodici cannoni della Folgore. Lancianocerti confetti da buttar giù le vostre catapecchie e da radere al suolo ancheil vostro forte.»

«La vedremo. Ohe! Buttate giù quella porta!»

«Compare sacco di carbonetagliamo la scala» - disseCarmauxvolgendosi verso il negro.

Salirono entrambi al piano superiore e con pochi colpi discure spezzarono la scalaritirando i rottami. Ciò fatto chiusero la botolamettendovi sopra una vecchia e pesante cassa.

«Ecco fatto» disse Carmaux. «Ora salite se ne sietecapaci.»

«Sono già entrati gli spagnuoli?» chiese il Corsaro Nero.

«Non ancoracapitano» disse Carmaux. «La porta è solidae ben barricata e avranno molto da fare per forzarla.»

«Sono in molti?»

«Lo credo capitano.»

Il Corsaro stette un momento silenziosopoi chiese:»

«Che ora abbiamo?»

«Sono le sei.»

«Dobbiamo resistere fino alle otto di questa sera prima difare il segnale a Morgan.»

«Resisteremosignore.»

«Non perdete tempomiei bravi. Quattordici ore sono lunghe.

«Andiamocompare sacco di carbone» disse Carmauxprendendo l'archibugio.

«Sarò anch'io della partita» disse l'amburghese. «Franoi tre faremo prodigi e impediremo agli spagnuoli l'entrataalmeno fino aquesta sera.»

I tre valorosi riaprirono la botola e appoggiata un'astadella scala si lasciarono scivolare nel piano inferioredecisi a farsi ucciderepiuttosto che arrendersi.

Gli spagnuoli intanto avevano cominciato ad assalire laportapercuotendo le tavole coi calci dei loro moschettiperò fino a quelmomento non avevano ottenuto alcun successo. Ci volevano delle scuri ed unacatapulta per aprire una breccia in quella barricata massiccia.

«Appostiamoci dietro a questa credenza e appena vediamo unafessurafacciamo fuoco» disse Carmaux.

«Siamo pronti» risposero il negro e l'amburghese.

Dopo un quarto d'orasi udì al di fuori una voce a gridare:

«Largo!»

«Qualche nuovo rinforzo?» chiese il negroaggrottando lafronte.

«Temo qualche cosa di peggio» rispose Carmauxcon accentoinquieto.

«Cosa vuoi direcompare bianco?»

«Odi!»

Un colpo tremendoaccompagnato da uno scricchiolìoprolungatosi fece udire.

«Adoperano la scure» disse l'amburghese.

«Si vede che hanno fretta di prenderci» disse il negro.

«Oh! La vedremo» rispose Carmauxarmando l'archibugio.«Spero che noi terremo loro testa finchè le tenebre ci permetteranno di fareil segnale a Morgan.»

Gli spagnuoli continuavano a percuotere con maggioraccanimento. Oltre la scure facevano anche uso dei calci dei moschetti e deglispadonicercando di schiodare le tavole della porta.

I tre filibustierinon potendo pel momento respingerequell'attaccolasciavano fare. Si erano inginocchiati dietro la credenzatenendo pronti gli archibugi e anche le loro corte sciabole.

«Che furia!» disse ad un tratto Carmaux. «Mi pare cheabbiano già aperta una fessura.»

«Io vedo un buco» disse Mokoallungando rapidamentel'archibugio.

Stava per far partire il colpoquando una detonazionerintronò. Una palladopo d'aver smussato un angolo della credenzaandò afrantumare un vecchio candeliere che si trovava in un angolo della stanza.

«Ah! Cominciano!» gridò Carmauxfacendo un saltoindietro.

«Per bacco! Bisogna che facciamo anche noi qualche cosa.»S'avvicinò all'angolo della credenza che era stato smussato dalla palla eguardò con precauzioneonde non ricevere una palla nel cranio.

Gli spagnuoli erano riusciti ad aprire uno squarcio nellaporta ed avevano introdotto un altro moschettone.

«Benissimo» mormorò Carmaux. «Aspettiamo che faccianofuoco.»

Con una mano afferrò l'archibugio e cercò di spingerlo dauna parte. Il soldato che lo aveva puntatosentendo quell'urtolasciò partireil colpopoi ritirò sollecitamente l'arma per lasciare il posto ad un altro.

Carmauxpronto come il lampoavanzò l'archibugio e lopuntò attraverso lo squarcio.

Si udì una detonazione seguita da un grido.

«Toccato!» disse Carmaux.

«E prendi questa!» urlò una voce.

Un altro sparo rimbombò al di fuori e la pallapassandopochi pollici sopra il capo del filibustierespaccò di colpo la cornicesuperiore della credenza.

Contemporaneamente alcuni colpi di scurebene appioppatistaccavano una tavola della porta. Quattro o cinque archibugi ed alcune spadefurono introdotte.

«Badate» gridò Carmaux ai compagni.

«Stanno per entrare?» chiese Wan Stillerche avevaimpugnato l'archibugio per la cannaonde servirsene come d'una mazza.

«C'è tempo» rispose Carmaux.

In quel momento una voce gridò:

«Vi arrendete sì o no?

«Per farci fucilare? Nosignor mionon ne ho nessundesiderio pel momento.»

«Sfonderemo anche questo mobile che c'impedisce dientrare!» urlò lo spagnuolo.

«Fate puremio caro signore. Vi avverto però che dietro lacredenza vi sono anche dei tavolie dietro ai tavoli degli archibugi e degliuomini decisi a tutto.»

«Vi appiccheremo tutti!...»

«Avete almeno portato con voi la corda?»

«Abbiamo le cinghie delle nostre spadecanaglia!...»

«Ci serviranno per strigliarvi per bene!...» disse Carmaux.

«Compagni!... Fuoco su questi furfanti!...

Quattro o cinque spari rimbombarono: le palle andarono aconficcarsi nella credenzasenza riuscire ad attraversare le massicce tavole.»

«Che concerto clamoroso» disse Wan Stiller. «Possiamointuonare anche noi qualche pezzo rumoroso?»

«Siete liberi» rispose Carmaux.

«Allora cercheremo di fare qualche cosa.»

Wan Stiller strisciò lungo la credenza e raggiunse l'angoloopposto nel momento in cui gli spagnuolicredendo di fugare gli avversariifacevano una nuova e più rumorosa scarica.

«Ci siamo» disse. «Uno lo faccio partire di certo perl'altro mondo.»

Un soldato aveva introdotto attraverso lo squarcio il suospadone tentando di far saltare una tavola della credenza. Certo di non venireimportunato dagli assediatinon si era nemmeno presa la briga di tenersinascosto dietro la porta.

Wan Stiller che lo aveva vedutoallungò rapidamentel'archibugio e lasciò partire il colpo.

Lo spagnuolocolpito in pieno pettolasciò cadere lospadoneallargò le braccia e cadde addosso ai compagni che gli stavano dietro.La palla lo aveva fulminato.

Gli assalitorispaventati da quell'inaspettata fucilataretrocessero mandando urla di furore.

Nell'istesso momento in lontananza si udì a rombarecupamente il cannone.

Carmaux aveva mandato un grido:

«È un cannone da caccia della Folgore!...»

«Tuoni d'Amburgo!...» esclamò Wan Stillerdiventandopallido come un cencio lavato. «Cosa succede a bordo del nostro legno?»

«Che sia un segnale?» chiese Moko.

«O che stiano per assalire la nostra nave?» si chieseCarmauxcon angoscia.

«Andiamo a vedere!...» gridò Wan Stiller.

Stavano per slanciarsi verso la scalaquando nel corridoios'udì una voce a tuonare.

«Addossocamerati!... Il cannone tuona nella baia!... Nonmostriamoci da meno dei soldati del forte!...»

«Per centomila squali!...» urlò Carmaux. «Non ci lascianoun minuto di pace!... Attenti all'attacco!...»

«Siamo pronti a riceverli» risposero Moko e Wan Stiller.

Un secondo colpo di cannone rimbombò verso la costaseguitoda una nutrita scarica di fucileria.

Quasi nell'istesso momento i soldati del corridoiocome seavessero attinto novello coraggio in quelle scarichesi precipitarono addossoalla portamartellandola furiosamente coi calci dei moschetti e cogli spadoni.

«Attenti» gridò Carmaux ai suoi compagni. «Qui si giuocala pelle o la libertà!»

 

 

Capitolo V

 

L'assalto alla Folgore

 

Udendo quel primo colpo di cannoneil Corsaro Neroche daqualche minutovinto dall'estrema debolezza causatagli dalla perdita delsangueaveva chiuso gli occhierasi prontamente ridestatoalzandosi a sedere.

La giovane indianache fino allora era rimasta accoccolatapresso il lettosenza mai staccare gli occhi dal volto del feritoera purebalzata in piediindovinando già da qual parte veniva quella rumorosadetonazione.

«È il cannoneè veroYara?» le chiese il Corsaro.

«Sìmio signore» rispose la giovane indiana.»

«E tuona dalla parte del mare?»

«Sìverso la costa.»

«Guarda cosa succede nella baia.»

«Temo che quella cannonata sia partita dalla vostra nave.»

«Morte dell'inferno!» esclamò il Corsaro. «Dalla mianave!... Guarda Yaraguarda!»

La giovane indiana si slanciò verso la finestra e guardò indirezione della baia.

La Folgore stava ancorata nel medesimo postoperòaveva messa la prora verso la spiaggiain modo da dominare coi suoi sabordi ditribordo il fortino della città. Sul suo pontelungo le murate e sul casserosi vedevano numerosi uomini a muoversimentre altri salivano rapidamente legriselle per prendere forse posizione sulle coffe. Otto o dieci scialuppecariche di soldatis'erano allora staccate dalla spiaggia e si dirigevano versola navemantenendo fra di loro una notevole distanza.

Non era necessario essere pratici di cose guerreschepercomprendere che nella baia stava per avvenire un combattimento. Quelle scialuppecorrevano rapide addosso alla navecoll'intenzione di abbordarla epossibilmente di espugnarla.

«Signore» disse la giovane indiana con voce alterata. «Siminaccia il vostro vascello.»

«La mia Folgore?» gridò il Corsarofacendoatto di gettarsi giù dal letto.

«Cosa fatemio signore?» chiese Yaracorrendo presso dilui.

«Aiutamifanciulla» disse il Corsaro.

«Non dovete muovervimio signore.»

«Io sono fortefanciulla mia.»

«Le vostre ferite si riapriranno.»

«Si rimargineranno più tardi odi!»

«Un altro colpo di cannone!...»

Senza attendere altro s'era avvolto in un ferraiuolo nero econ un potente sforzo di suprema volontà era disceso dal lettomantenendosiritto senza alcun appoggio.

Yara si era precipitata verso di luiricevendolo fra lebraccia. Il Corsaro aveva fatto troppa fidanza sulle sue proprie forze e questead un tratto gli erano venute meno.

«Maledizione!...» esclamòmordendosi le labbra a sangue.«Essere impotente proprio in questo momentoquando la mia nave corre forse ungrave pericolo!... Ah!... Quel sinistro vecchio finirà col portare sventura atutti quelli della mia famiglia!... Yarafanciulla mialascia che mi appoggialle tue spalle.»

Stava per spingersi verso la finestraquando vide comparireCarmaux. Il bravo filibustiere aveva il viso molto oscuro e lo sguardo inquieto.

«Capitano!» esclamòcorrendo verso di lui e stringendolocon ambe le bracciaonde meglio sorreggerlo.

«Si combatte in mare?»

«SìCarmaux.»

«Mille squali!... E noi siamo quiassediatiimpotenti aportare aiuto alla nostra nave e con voi ferito.»

«Morgan saprà difenderlamio bravo. Vi sono dei valorosi abordo e dei buoni cannoni.»

«Ma qui la nostra posizione è insostenibilecapitano.»

«Togliete la scala e salvatevi quassù.»

«È quello che faremo fra poco.»

«Alla finestraamico. Si combatte fieramente nella baia.»

Un terzopoi un quarto colpo di cannone erano rimbombati sulmare e si udivano pure frequenti scariche di moschetteria.

Carmaux e Yara portaronoquasi di pesoil Corsarofacendolo sedere dinanzi alla piccola finestra della torricella. Da quel luogoelevato lo sguardo spaziava liberamente su tutta la città e dominavainteramente la baia ed anche un immenso tratto di mare.

La battaglia fra la Folgore e le scialuppe montatedalla guarnigione del fortinoera di già stata impegnata con molto slanciod'ambe le parti.

La naveche non voleva abbandonare la baia senza aver primaimbarcato il suo capitanos'era fortemente ancorata a trecento metri dallaspiaggiapresentando agli assalitori il suo tribordo mentre i suoi uominis'erano sdraiati dietro alle muratepronti a tempestare il nemico coi lorolunghi fucili.

I due cannoni da caccia della coperta avevano già tuonatoripetutamente contro i nemici ed i loro colpi non erano andati perduti. Unascialuppacolpita in pieno da una pallaera stata già sommersa e si vedeva ilsuo equipaggio a nuotare verso la spiaggia.

Il Corsaro Nero con un solo sguardo si era subito reso contodella situazione.

«La mia Folgore darà molto da fare agliassalitori» disse. «Fra un quarto d'ora ben poche scialuppe rimarranno agalla.»

«Temo peròmio capitanoche vi sia sotto qualche cosa dipeggio» disse Carmaux. «Non mi sembra naturale che quelle poche scialuppemuovano all'abbordaggio d'una nave così formidabilmente armata.»

«Anch'io ho questo sospettoCarmaux. Vedi nulla al largo?»

«Nomio capitano. Come però vedetela costa è molto altae quelle scogliere possono nascondere qualche nave.»

«Tu credi?» chiese il Corsarocon una certa ansietà.

«Che gli spagnuoli attendano qualche aiuto dalla parte delmare.»

«La mia Folgore presa fra due fuochi!...»

«Il signor Morgan è uomo da tenere testa a due avversarisignore.»

«Va' a soccorrere i tuoi compagniCarmaux. A me bastaYara.»

«Credo che abbiano bisogno di me» disse il filibustierecaricando precipitosamente il fucile.

Mentre Carmaux correva in soccorso dell'amburghese e delnegroi quali cominciavano a trovarsi a mal partito in causa dei furiosi ereplicati attacchi degli spagnuolinella piccola baia la battaglia prendevaproporzioni tremende.

Le scialuppenon ostante le terribili scariche della navefilibustierae le gravi perdite che subivanocorrevano animosamenteall'abbordaggio sostenendosi con un nutrito fuoco di fucileria edincoraggiandosi con urla assordanti. Già tre scialuppesfondate dalle palledella filibustieraerano andate a piccopure le altre non si erano arrestate.Si erano disposte in forma di semicerchio per abbordare la nave da diverse partie facevano forza di remi per giungere sotto i fianchi del legno e mettersi cosìal riparo dai due cannoni da caccia della coperta che le danneggiavanogravemente con incessanti scariche di mitraglia.

Anche il fortinoche dominava la parte meridionale dellapiccola baianon era rimasto inoperoso. Quantunque la sua guarnigione nonpossedesse che piccoli pezzi di artiglieriatuonava furiosamentemandandoparecchie palle sul ponte della nave. Non ostante quel doppio attaccola navefilibustiera pareva se ne ridesse dei suoi avversarii. Sempre ferma sulle sueàncoreavvampava come un vulcanocoprendosi di fumo e di fiamme e facendocoraggiosamente fronte al fortino ed alle scialuppe. I suoi uominipoiaiutavano gli artiglieritirando con matematica precisione sugli equipaggidelle scialuppe e particolarmente sui rematori. Il Corsaro Neroappoggiato aldavanzale della finestraseguiva attentamente i diversi episodii dellabattaglia. Pareva che non provasse più alcun dolore e talvolta si animavaminacciando col pugno ora il fortino ed ora le scialuppe.

«Animouomini del mare! - gridava. - Giù una buona scaricasu quella scialuppa che sta per abbordarvi! Làcosì va bene!... Non sono chenove! Fuoco sul fortino! Smantellate i suoi bastioni e fate saltare le sueartiglierie!... Viva la filibusteria!»

«Mio signorenon animatevi così- gli diceva Yaratentandoma invanodi farlo sedere. - Pensate che siete ferito.

Incoraggiava i suoi valorosi marinaiadditava loro ipericoli ed ammoniva ora gli uni ed ora gli altri come si trovasse anche lui sulponte della nave e come se potessero udire la sua voce. Si era perfinodimenticato di Carmauxdi Wan Stiller e del negro che battagliavano ferocementecontro gli spagnuoli del corridoio.

Ad un tratto un grido terribile gli sfuggì.

«Maledizione!»

Tre scialuppenon ostante le tremende scariche deifilibustierierano giunte sotto la navemettendosi al riparo dalleartiglieriementre dietro la lunga penisola che si estendeva dinanzi alla baiaerano improvvisamente comparse le altissime alberature di due navi.

«Signore!» gridò Yara che aveva pure scorto quei legni.«La vostra Folgore sta per venire presa fra due fuochi!»

Il Corsaro stava per risponderequando si videro irromperenella stanza CarmauxMoko e l'amburghese. Erano ansantitrafelati e lordi dipolvere da sparo. L'ultimo aveva anche il volto insanguinatoaveva ricevuto unapuntata in mezzo alla fronte.

«Capitano!» gridò Carmauxmentre Moko ritiravaprecipitosamente la scala e l'amburghese lasciava cadere la botola. «Labarricata non tiene più!...»

«Sono già entrati gli spagnuoli?» chiese il Corsaro.

«Fra qualche minuto saranno sotto di noi.

«Morte dell'inferno! E la Folgore sta per venirepresa fra due fuochi!

«Cosa ditesignore?» chiese l'amburghesecon spavento.

«Guardate!»

I due filibustieri e Moko s'erano precipitati verso lafinestra.

Le due navipoco prima segnalate dal Corsaroerano comparsedinanzi alla baia chiudendo completamente il passo alla Folgore.

Non erano due semplici velieribensì due navi d'alto bordopoderosamente armate e montate da numerosissimi equipaggidue vere navi dicombattimento insommacapaci di misurarsi vantaggiosamente contro una piccolasquadra.

I filibustieri della Folgoreguidati da Morgannonsi erano però perduti d'animonè si erano lasciati sorprendere. Con unacelerità prodigiosa avevano issate le àncore e spiegato il trinchettolamaestra e la gabbia nonchè alcuni fiocchimettendosi subito al vento.

Il Corsaro Nero ed i suoi compagni avevano dapprima credutoche Morgan avesse presa l'eroica risoluzione di scagliare la Folgore controle due navi prima che si disponessero pel combattimento e tentarecon unattacco fulmineodi guadagnare l'alto mare per sottrarsi all'impari lottamas'erano subito accorti che tale non era l'intenzione dell'astuto luogotenente.

La Folgoreapprofittando d'un colpo di ventosi eradapprima sottratta abilmente all'abbordaggio delle prime scialuppe che l'avevanodi già raggiuntapoi con una bordata erasi spinta entro il piccolo portoriparandosi dietro un isolotto che s'inalzava fra la costa e la penisolaformando una specie di diga.

«Ah! Bravo Morgan!» esclamò il signor di Ventimigliacheaveva ormai capita l'ardita manovra della Folgore. «Egli salva la mianave!»

«I due vascelli andranno però a scovarlo anche dietrol'isolotto» disse Carmaux.

«T'inganniamico» rispose il signor di Ventimiglia. «Nonvi è acqua sufficiente per navi di quella portata.»

«Più tardi impediranno l'uscita a noisignore.»

«Questo lo si vedràCarmaux.»

Poi si chinò verso terra e parve che ascoltasse con profondaattenzione.

«Mi pare che gli spagnuoli abbiano già sfondata labarricata e che siano entrati.

«Bisogna impedire loro di entrare qui prima d'aver fatto ilsegnale» disse il Corsaro. «È già mezzogiorno.»

«Per otto o nove ore possiamo tenerli lontani- risposeCarmaux. - Animoamici! Barrichiamo la botola e apriamo qualche buco perpassare le canne dei nostri archibugi.

Mentre Carmaux ed i suoi compagni facevano i loro preparatividi difesale due navi d'alto bordo avevano gettato le àncore proprio dinanzialla baiatenendosi ad una distanza di duecento metri l'una dall'altra epresentando i tribordi verso la costaonde scaricare delle intere bordatecontro la Folgorenel caso che questa avesse cercato di forzare ilblocco.

Morgan però non aveva alcuna intenzione di dare battaglia aquei grossi avversari. Quantunque avesse sotto di sè un equipaggio incanutitofra il fumo delle artiglierie e deciso a tuttonon si sentiva tanto forte dagettarsi sotto ai quaranta e più cannoni delle fregatetanto più che ilcapitano era ancora a terra.

Respintecon alcune scariche bene aggiustatele scialuppeche avevano tentato di abbordare la Folgore e ridotto al silenzio i pochicannoni del fortinoaveva fatto calare le àncore dietro all'isolottotenendoperò le vele basse sciolteonde poter approfittare di qualsiasi avvenimentoper forzare il passaggio o per assalire l'una o l'altra delle due fregatese sifosse presentata l'occasione propizia.

Le due navi nemichedopo alcune cannonate inefficaciavevano messe in acqua alcune imbarcazioni le quali si erano dirette verso ilfortino. Probabilmente i loro comandanti andavano ad accordarsi collaguarnigione per un nuovo attacco contro la Folgore.

«La faccenda comincia a diventare seria» mormorò ilCorsaroche le aveva seguite cogli sguardi. «Se riesco a liberarmi di questisoldati che ci tengono prigionieripreparerò alle due fregate una ben bruttasorpresa. Vedo una grossa barca ancorata presso l'isolotto. Quella serviràmagnificamente ai miei progetti. Yarafanciulla miaaiutami a tornare aletto.»

«Siete stancomio signore?» chiese premurosamente lagiovane indiana.

«Sì» rispose il Corsaro. «Più che le feritel'emozionemi ha sfinito.»

Si staccò da sè dalla finestra e appoggiandosi con una manoad una spalla della fanciullatornò a coricarsimettendosi però dinanzi lepistole e la spada snudata.

«Ebbenemiei bravicome va?» chiese a Carmaux ed ai suoidue compagni che erano occupati ad aprire dei buchi nella botola.

«Malecapitano- rispose Carmaux. - Pare che questidannati spagnuoli abbiano molta fretta di prenderci.

«Li vedi?»

«Sìcapitano.»

«Sono molti?»

«Una ventina per lo meno.»

In quel momento si udì un colpo così violento che la botolaparve si spezzasse.

Carmauxche stava coricato al suolospiando gli spagnuolida una piccola fessura che aveva aperta nel tavolatofu pronto ad alzarsi perafferrare l'archibugio.

Nella stanza inferiore si udì una voce imperiosa a gridare:

«Dunquevolete arrendervi sì o no?

Carmaux guardò il Corsaro ridendo.

«Rispondi» gli disse questi.

«E per quale motivo volete che noi cediamo le armi?»

«Non vedete che siete già presi?»

«Veramente non ce ne siamo ancora accorti» risposeCarmaux.

«Possiamo farvi saltare in aria.»

«E noi gettarvi addosso il pavimento e schiacciarvi tutti.»

«Vi avverto che vi prenderemo egualmente!» urlò lospagnuolo.

«E noi vi aspettiamo.»

«E che la vostra Folgore è bloccata.»

«Ha dei cannoni che non sono carichi di bombe dicioccolata.»

«Cameratisfondiamo la botola!» gridò lo spagnuolo.

«Amiciprepariamoci a buttare il pavimento sulla testa diquei signori» gridò Carmaux. «Faremo di loro una superba marmellata!»

 

 

Capitolo VI.

 

L'ARRIVO DEI FILIBUSTIERI

 

Dopo quello scambio di frasi ironiche e minacciose chedimostravano il buon umore degli assediati e la rabbia impotente degliassediantivi fu un breve silenzio che nulla di buono pronosticava. Si capivache gli spagnuoli si preparavano ad un nuovo e più formidabile attacco percostringere quegli indemoniati filibustieri alla resa. Carmaux ed i suoicompagnidopo essersi brevemente consigliati col loro capitanosi eranocollocati intorno alla botola coi fucili armatipronti a fare una buona scaricacontro gli assalitori. Yara intantoche s'era affacciata alla finestraavevarecata la buona nuova che tutto era tranquillo nella piccola Baia di PuertoLimon e che le due fregate non avevano abbandonati i loro ancoraggi per tentaredi dare addosso alla Folgore.

«Speriamo» aveva detto il Corsaro. «Se possiamoresistere ancora cinque oreforse verremo liberati dagli uomini di Morgan.»

Era appena trascorso un minutoquando un secondo e piùviolento colpo risuonò sotto la botolafacendo trabalzare le casse che vierano state accumulate sopra.

Certo gli assedianti avevano adoperata qualche grossa traveservendosene come d'un ariete.

«Mille squali!» esclamò Carmaux. «Se la continuano cosìmanderanno in aria tutto il pavimento. C'è il pericolo di cadere sulla testadegli assedianti.»

Un terzo colpoche scosse perfino il letto su cui trovavasiil Corsarorimbombò rovesciando parte delle casse e facendo saltare una tavoladella botola.

«Fuoco là dentro!» gridò il Corsaroche aveva impugnatole pistole.

CarmauxWan Stiller e Moko puntarono i fucili attraverso losquarcio e fecero una scarica.

Al di sotto si udirono urla di rabbia e di dolorepoi deipassi precipitosi che si allontanavano.

Appena dispersosi il fumoCarmaux guardò attraverso laspaccatura e vide disteso al suolocolle gambe e le braccia rattrappiteungiovane soldato. Presso di lui si vedevano altre macchie di sangueindiziocerto che quella scarica aveva fatto qualche altra vittima e ferite altrepersone.

Gli assedianti si erano affrettati a sgombrare la stanzarifugiandosi nel corridoio: però non dovevano essere molto lontani poichè siudivano a chiacchierare.

«Eh!... non fidiamoci troppo» disse Carmaux.

Stava per levarsiquando una detonazione rimbombò dietro laporta che metteva nel corridoio. Il berretto del filibustiere fu portato vianetto.

«Mille diavoli!» esclamò Carmauxalzandosisollecitamente. «Pochi centimetri più in basso e quel proiettile miscoperchiava il cranio.»

«Non sei stato toccato?» gli chiese premurosamente ilCorsaroche aveva udito il sibilo della palla.

«Nocapitano» rispose Carmaux. «Pare che il demonio nonvoglia cessare dal proteggermi.»

Gli spagnuolicredendo di aver ucciso quel terribileavversariosi erano affacciati alla portatenendosi nascosti dietro i rottamidella credenza. Vedendo Wan Stiller ed il negro coi fucili puntatieranoretrocessinon ignorando l'esattezza di tiro di quei fieri scorridori del mare.

«Alzate quelle casse e disponetele in modo da coprirvi dallescariche degli spagnuoli. Non mancheranno di far fuoco attraverso lo squarcio.»disse il Corsaro.

«L'idea è buona» disse Wan Stiller.

«Costruiremo una barricata intorno alla botola.»

Manovrando con prudenzaonde evitare di ricevere qualchepalla nel cranioi tre filibustieri disposero le casse in modo da formare unaspecie di parapetto tutto intorno all'aperturapoi si sdraiarono al suolononperdendo di vista la porta del corridoio.

Gli spagnuoli si erano accampati nel corridoiocerti di farcapitolare presto o tardi gli assediati. Forse ignoravano che Yara avevaapprovvigionati i suoi amici.

Per tre ore nella torricella regnò una calma completa oquasinon essendo stata interrotta che da qualche rado colpo di fucile sparatoora dagli assediati ed ora dagli assediantiperò verso le sei gli spagnuolicominciarono a mostrarsi in buon numero presso la porta del corridoiodecisiaquanto sembravaa riprendere le ostilità.

Carmaux ed i suoi compagnidai loro ripari avevano subitoriaperto il fuocoper tentare di ricacciarli nel corridoio; tuttavia dopoalcune scariche gli spagnuolipur perdendo qualche uomoerano riusciticonuna rapida irruzionea riconquistare la stanzacelandosi dietro i rottamidella credenza e delle tavole.

I filibustieriimpotenti a far fronte alle nutritissimescariche degli avversariierano stati costretti ad abbandonare i ripaririservandosi di tentare un supremo sforzo nel momento dell'assalto.

«La va male» disse Carmaux. «E non ci manca che un'ora altramonto!...»

«Prepariamo intanto il falò» disse il Corsaro. «Èpiatta la torricellaYara?»

«Sìmio signore» rispose la giovane indiana che si erarifugiata dietro al letto del capitano.

«Mi sembra però che non si possa raggiungere la cima.»

«Per questo non preoccupatevicapitano» disse Carmaux.«Moko è più agile d'una scimmia.»

«Che si deve fare?» chiese il negro. «Io sono pronto atutto.»

«Devi rischiare la pellecompare sacco di carbone» disseCarmaux. «Intanto fa' a pezzi la scala.»

Mentre i due filibustieri sparavano qualche fucilata controgli spagnuoli per ritardare l'assaltoil negro con pochi e poderosi colpi discure ruppe la scalaaccumulando i rottami presso la finestra.

«È fatto» disse.

«Ora si tratta di salire sulla torre per fare il segnale»disse il Corsaro Nero.»

«La cosa non mi sembra difficilecapitano.»

«Bada di non cadere. Siamo a trentacinque metri dal suolo.»

«Non abbiate timore.»

Salì sul davanzale della finestra e allungò le mani versol'orlo del tettoprovando dapprima la resistenza delle travi superiori.

L'impresa era quanto mai pericolosanon essendovi punti diappoggioperò il negro era dotato d'una forza prodigiosa e di tale agilità dasfidare le scimmie. Guardò in alto per evitare l'attrazione pericolosa delvuotopoi con una spinta si issò sul margine della piattaforma superiorefacendo forza di braccia.

«Ci seicompare?» chiese Carmauxche per un momento avevaabbandonato la barricata.

«Sìcompare bianco» rispose Mokocon un certo tremolìonella voce.

«Si può accendere il fuoco lassù?»

«Sìpassami la legna.»

«Lo sapevo io che il compare valeva meglio di una scimmia»mormorò Carmaux. «Ecco però una manovra da far venire la febbre anche ad unprimo gabbiere.»

Si arrampicò sul davanzale e passò al negro i rottami dellascala.

«Fra poco accenderai il falò» gli disse. «Un fuoco ognidue minuti.»

«Benissimocompare.»

«Io torno al mio posto.»

Gli assedianti raddoppiavano in quel momento gli sforzi perespugnare la stanza superiore. Già avevano appoggiate per ben due volte dellescale all'orlo della botolatentando di spingersi fino al parapetto formatodalle casse. Wan Stillerquantunque solofino allora era riuscito arespingerlitempestando i primi comparsi con tremende sciabolate.

«Vengoamico!» gridò Carmauxslanciandosi verso lecasse.

«E vengo anch'io» urlò il Corsarocon voce tuonante.

Impotente a frenarsisi era gettato giù dal lettoimpugnando le due pistole e tenendo fra le labbra la sua terribile spada. Parevache in quel momento supremo avesse riacquistato il suo vigore straordinario.

Gli spagnuoli erano già arrivati al margine della botola esparavano fucilate all'impazzata e vibravano furiose stoccate per allontanare idifensori. Un momento di ritardo e anche l'ultimo rifugio dei filibustierisarebbe caduto nelle loro mani.

«Avantiuomini del mare! - urlò il Corsaroche parevafosse diventato un leone.

Scaricò le sue due pistole in mezzo agli assediantipoicon alcuni colpi di spada bene aggiustatirovesciò due soldati nella stanzainferiore. Quel colpo audace epiù di tuttol'improvvisa comparsa delformidabile uomosalvò gli assediati.

Gli spagnuoliimpotenti a far fronte alle archibugiate chesparavano Wan Stiller e Carmauxbalzarono precipitosamente giù dalle scalesalvandosiper la terza voltanel corridoio.

«Mokoda' fuoco alla legna! - gridò il Corsaro.

«E noi buttiamo giù le scale! - disse Carmaux a WanStiller. - Credo che per ora quei bricconi ne abbiano abbastanza.

Il Corsaro si era rialzatopallido come un cencio lavato.Quello sforzo supremo pareva che lo avesse esaurito.

«Yara!» esclamò.

La giovane indiana aveva avuto appena il tempo di riceverlofra le sue braccia. Il Corsaro vi si era abbandonato mezzo svenuto.

«Mio signore!» esclamò la giovanecon accento spaventato.«Soccorsosignor Carmaux!»

«Mille squali!» gridò il filibustiere accorrendo.

Lo prese fra le braccia e lo portò sul lettomormorando:

«Fortunatamente gli spagnuoli sono stati respinti a tempo.»

Appena adagiatoil Corsaro Nero aveva subito riaperti gliocchi.

«Morte dell'inferno!» esclamòfacendo un gesto dicollera.

Intanto Carmaux si era slanciato verso la finestra.

Un vivo bagliore si espandeva al di sopra della torricellarompendo le tenebre già calatecon quella rapidità che è propria delleregioni intertropicali.

Carmaux guardò verso la piccola baiadove si vedevanoscintillare i grandi fanali rossi e verdi delle due fregate.

Un razzo azzurro s'alzava in quel momento dietro l'isolottoche celava la Folgore. Salì molto in altofendendo le tenebre confantastica rapidità e scoppiò proprio in mezzo alla baialanciandoall'intorno una pioggia di scintille d'oro.

«La Folgore risponde!» gridò Carmauxcon vocegioconda. «Mokorispondi ancora al segnale.»

«Sìcompare bianco» rispose il negrodall'alto dellatorricella.

«Carmaux!» gridò il Corsaro. «Di che colore era ilrazzo?»

«Azzurrosignore.»

«Con pioggia d'oroè vero?»

«Sìcapitano.»

«Guarda ancora.»

«Un altro razzocapitano.»

«Verde?»

«Sì.»

«Allora Morgan sta per venire in nostro aiuto. Ordina a Mokodi scendere. Mi pare che gli spagnuoli tornino alla carica.»

«Ora non li temo più» rispose il bravo filibustiere.«Ehicomparelascia il tuo osservatorio e vieni in nostro aiuto.»

Il negro gettò sul fuoco tutta la legna che gli rimanevaonde la fiamma servisse di guida agli uomini di Morganpoi aggrappandosi alletravi del marginesi calò con precauzione sul davanzale della finestra.Carmaux fu pronto a dargli una manoaiutandolo a scendere.

Gli spagnuoli erano tornati nella stanza inferiorefacendouna scarica tremenda contro le casse che formavano il parapetto della botola.Carmaux ed i suoi amici avevano avuto appena il tempo di gettarsi al suolo. Lepallefischiando sopra le loro testeandarono a scrostare le paretifacendocadere molto calcinaccio perfino sul letto del Corsaro. Subito dopo quellascarica avevano appoggiate due scaleslanciandosi intrepidamente all'assalto.

«Giù le casse!» urlò Carmaux.

Le cinque casse che formavano il parapetto furono rovesciateentro la botolapiombando addosso agli spagnuoli che stavano salendo le duescale.

Un urlo terribile seguì quella caduta. Uomini e scaleandarono sottosopracon un fracasso assordante.

Subito dopo si udirono a breve distanza delle detonazioni edelle grida.

«Avantiuomini del mare!» aveva gridato una voce. «Ilcapitano è qui!»

Carmaux e Wan Stiller si erano precipitati verso la finestra.

Nella viauna banda di uomini munita di torce a ventos'avanzava a passo di carica verso la casa di don Ribeirasparando fucilate intutte le direzioniforse coll'idea di terrorizzare la popolazione e dicostringerla a starsene tranquilla nelle proprie abitazioni.

Carmaux aveva subito riconosciuto l'uomo che guidava quellabanda.

«Il signor Morgan! Capitanosiamo salvi!»

«Lui!» esclamò il Corsarofacendo uno sforzo persollevarsi.

Poi aggrottando la frontemormorò:

«Quale imprudenza!»

Gli spagnuoli udendo però rimbombare degli spari nelle viesospettarono di venire assaliti alle spalle e tutto d'un tratto volsero in fugaprecipitosasalvandosi pel passaggio segreto.

I marinai della Folgore avevano intanto sfondato ilportone e salivano le scale di corsagridando:

«Capitano! Capitano!»

Carmaux e Wan Stiller si erano lasciati cadere nella stanzainferiore e dopo d'aver appoggiata una scala s'erano slanciati nel corridoio.

Morganil luogotenente della Folgores'avanzava allatesta di quaranta uominiscelti fra i più audaci ed i più vigorosi marinaidella nave filibustiera.

«Dov'è il capitano?» chiese il luogotenenteche teneva laspada in pugnocredendo di aver dinanzi degli spagnuoli da respingere.

«È sopranella torricellasignore» rispose Carmaux.

«Vivo ancora?»

«Ferito però.»

«Gravemente?»

«Nosignorema non può reggersi in piedi da solo.»

«Rimanete a guardia della galleria voi» gridò illuogotenentevolgendosi verso i suoi uomini. «Venti scendano sulla strada econtinuino il fuoco contro le case.»

Poiseguito da Carmaux e da Wan Stillersalì nella stanzasuperiore della torricella.

Il Corsaro Neroaiutato da Moko e da Yarasi era alzato.Vedendo comparire Morgangli tese la destradicendogli:

«Grazie Morganperò non posso fare a meno di farvi unrimprovero. Il vostro posto non era qui.

«È verocapitano» rispose il luogotenente. «Il mioposto era a bordo della Folgoretuttavia l'impresa richiedeva un uomorisoluto dovendo condurre i miei uomini attraverso una città pullulante dinemici. Spero che mi perdonerete questa imprudenza.»

«Tutto si perdona ai valorosi.»

«Allora partiamo subitomio capitano. Gli spagnuoli possonoessersi accorti della scarsità della mia banda e piombarci addosso da tutte leparti. Mokoprendi questo materassoservirà per adagiare il cavaliere.»

«Lasciate a me quest'incarico» disse Carmaux. «Mokocheè il più robustoporterà il capitano.»

Il negro aveva già sollevato fra le robuste braccia ilCorsaroquando questi si rammentò di Yara.

La giovane indianaaccoccolata in un angolopiangeva insilenzio.

«Fanciullanon ci segui?» le chiese.

«Ah! mio signore!» esclamò Yaraalzandosi di scatto.

«Credevi che io mi dimenticassi di te?»

«Sìmio signore.»

«Nomia valorosa fanciulla. Tu mi seguirai sulla mia navese nulla ti trattiene a Puerto Limon.»

«Sono vostramio signore» rispose Yarabaciandogli lemani.

«Vieniadunque. Sei dei nostri!»

Lasciarono frettolosamente la torretta e scesero nelcorridoio. I marinaiscorgendo il loro capitano che avevano già creduto mortoo preso dagli spagnuoliproruppero in un grido immenso:

«Viva il Corsaro Nero!»

«A bordomiei bravi!» gridò il signor di Ventimiglia.«Vengo con voi a dare battaglia alle due fregate!

«Prestopartiamo!» comandò il luogotenente.

Quattro uomini deposero il Corsaro sul materasso eformatauna specie di barella coi loro moschettiscesero nella viapreceduti e seguitidagli altri.

 

 

Capitolo VII.

 

IL BRULOTTO

 

I venti uominiche erano stati mandati dinanzi alla casa pertenere sgombra la viaavevano impegnata la lotta contro gli abitanti dellacittà e contro i soldati che avevano cercato rifugio nelle case.

Dalle finestre partivano archibugiate in buon numero evenivano precipitate sedievasi di fiorimobili e anche dei mastelli di acquapiù o meno purama i filibustieri non avevano cercato di dare indietro finoalla casa di don Ribeira.

Con scariche nutrite e anche ben aggiustateavevanocostretti gli abitanti a ritirarsi dalle finestrepoi avevano mandati innanzialcuni drappelli di tiratori sceltiper tenere sgombre le vie laterali edimpedire delle sorprese.

Quando comparve il Corsaro Neroun lungo tratto di via eracaduto nelle mani delle avanguardie ed altri drappelli si erano slanciati piùinnanzi continuando a sparare contro tutte le finestre che vedevano ancoraaperte od illuminate.

«Avanti altri dieci uomini!» comandò Morgan. «Altri diecialla retroguardia e fuoco su tutta la linea!

«Badate alle vie laterali!» urlò Carmauxche avevaassunto il comando della retroguardia.

La bandasempre sparando e urlando a piena gola per spargeremaggior terrore e per farsi credere in numero doppiopartì a passo di corsadirigendosi verso il porto.

Già non distava dalla piccola baia più di tre oquattrocento metriquando verso il centro della cittàsi udirono alcunescariche. Poco dopo si videro gli uomini della retroguardia raddoppiare lacorsarasentando le pareti delle case.

«Siamo assaliti alle spalle?» chiese il Corsaro Nero cheveniva trasportato in una corsa rapidissima.

«Gli spagnuoli si sono radunati e ci danno addossocapitano!» gridò Carmaux che lo aveva raggiuntoseguito da Moko e da WanStiller.

In quel momento verso la baia si udirono a rimbombare alcunecannonate.

«Buono!» esclamò Carmaux. «Anche le fregate voglionoprendere parte alla festa!»

«Morgan!» gridò il signor di Ventimigliavedendoricomparire il suo luogotenente. «Cosa succede nella baia?»

«Nulla di gravesignore» rispose il comandante inseconda. «Sono le fregate che sparano contro la spiaggia credendo forse che noistiamo per abbordarle.»

Mentre la retroguardiarinforzata da altri venti uominiarrestava gli spagnuoli nella loro corsal'avanguardia affrettando il passogiungeva incolume sulla spiaggia e precisamente di fronte al luogo ove trovavasila Folgore.

L'equipaggioaccortosi già della battaglia impegnatasiaveva messe in acqua numerose scialuppe per raccogliere i cameratimentrealcuni artiglieriper nascondere l'imbarcoscaricavano i pezzi da caccia indirezione delle fregate e contro il fortino.

«Imbarcate!» comandò Morgan.

Il Corsaro Nero fu collocato in una baleniera assieme a Yaraa Carmaux e ad alcuni feriti e trasportato sollecitamente a bordo.

Quando egli si vide ancora sul ponte della sua valorosa naverespirò a lungodicendo:

«Ora non mi prendete piùmiei cari. La mia Folgore valeuna squadra!»

Intanto gli uomini rimasti sulla spiaggia avevano fattofronte al nemico che sbucava da tutte le vie e da tutti i viottoliingrossandodi minuto in minuto.

Il Corsaro Nero peròche non aveva voluto lasciare ilpontes'avvide del pericolo che correvano i suoi uomini e voltosi agliartiglieri dei due pezzi da cacciagridò loro:

«Mitragliate quei nemici!... Giù una buona scarica.»

I due pezzi d'artiglieria furono volti verso la stradaprincipale della cittàdove si affollavano gli spagnuoli e fecero grandinaresu di essa un nembo di mitraglia.

Quelle due scariche bastarono per disperderealmenomomentaneamentegli avversari. I filibustieri che erano rimasti a terra neapprofittarono per gettarsi confusamente nelle scialuppe.

Quando gli spagnuoli tornarono a mostrarsigli ultimimarinai stavano salendo a bordo.

«Troppo tardimiei cari!» gridò Carmauxfacendo ainemici un gesto ironico. «Vi avverto d'altronde che la mitraglia non ci fadifetto.»

Il Corsaro Nerovisto che tutti i suoi uomini erano a bordocompresi i feritisi era finalmente lasciato trasportare nella sua cabina. Quelluogo era quanto si può immaginare di più ricco e di più comodo. Non era unadelle solite stanzette che formano il così detto quadro degli ufficialibensìun salotto ampio assaibene arieggiatocon due finestre sorrette da colonninecorinzieriparate da tende di seta azzurra. Nel mezzo si vedeva un comodolettopure sorretto da colonnine di metallo dorato; negli angoli v'eranoscaffali di stile antichissimo e dei divanie alle pareti brillavano dei grandispecchi di Venezia con cornice di cristallo e panoplie d'armi d'ogni specie. Unagrande lampadad'argento doratocon globi di vetro rosaspandeva all'intornouna luce stranache rassomigliava a quella proiettata dall'aurora durante lebelle mattinate estive.

Il Corsaro si lasciò portare sul letto senza quasi fare unmoto. Pareva che le lunghe emozioni provate e gli sforzi poderosi avesserofinalmente fiaccato l'anima del formidabile scorridore del mare. Era stato presodallo svenimento.

Morgan era pure sceso nella cabina seguito dal medico dibordoda Yara e da Carmauxl'aiutante di campo del filibustiere.

«Cosa ne dite?» chiese Morgan all'uomo di scienzail qualeaveva allora esaminato il ferito.

«Nulla di grave» rispose il medico. «Sono ferite piùdolorose che pericolosequantunque una sia molto profonda. Tra quindici giorniil cavaliere sarà ristabilito.»

«Fate rinvenire il capitano» disse Morgan. «Devoparlargli subito.»

Il dottore aprì una cassetta contenente una piccolafarmaciasturò una fiala e la fece fiutare al capitano. Un istante dopo ilsignor di Ventimiglia riapriva gli occhiguardando ora Morgan ed ora il medicoche stavano curvi su di lui.

«Morte dell'inferno!» esclamò. «Credevo di aver sognato!È vero che sono a bordo della mia nave?»

«Sìcavaliere» disse Morganridendo.

«Ero svenuto?»

«Sìcapitano.»

«Maledette ferite!» esclamò il Corsaro con rabbia. «È laseconda volta che mi giuocano questo brutto tiro!... Devono essere state duebelle stoccate!...»

«Guarirete prestosignore- disse il medico.

«Grazie dell'augurio. EbbeneMorgancome stiamo?»

«La baia è sempre bloccata.»

«E la guarnigione del forte?»

«Pel momento si accontenta di guardarci.»

«Credete che si possa forzare il blocco?»

«Questa notte?»

«Sìluogotenente. Domani sarebbe forse troppo tardi.»

«Le due fregate devono tenersi in guardiacapitano.»

«Oh!... Di questo non ne dubito.»

«E sono poderosamente armate. Una possiede diciotto cannonie l'altra quattordici!»

«Venti più di noi!»

Stette alcuni minuti silenziosoin preda ad una vivapreoccupazionepoi disse improvvisamente:

«Usciremo egualmente in mare. È necessario andarcene questanotte onde non correre il pericolo di venire abbordati dalle forze di mare e diterra.»

«Usciremo!» esclamò Morgancon stupore. «Pensate che contre o quattro bordate ben aggiustate possono demattare la nostra nave esfondarci i fianchi.»

«Possiamo evitare queste bordate.»

«In quale modosignore?»

«Preparando un brulotto. Non vi è alcuna nave in porto?»

«Sìvi è una barcaccia ancorata presso l'isolotto. Glispagnuoli l'hanno abbandonata subito dopo che noi abbiamo gettato l'ancora.»

«È armata?»

«Con due cannoni e porta due alberi.»

«È carica?»

«Nocapitano.»

«Abbiamo delle materie infiammabili a bordoè vero?»

«Non manchiamo nè di zolfonè di pecenè di granate.»

«Allora date ordine che si prepari un buon brulotto. Se ilcolpo ci riescevedremo qualche fregata in fiamme. Intanto lasciatemi riposaresino alle due»

MorganCarmaux ed il medico uscironomentre il Corsarotornava a coricarsi. Prima di chiudere gli occhi cercò la giovane indiana e lavide rannicchiata in un angolo della cabina.

«Cosa faifanciulla mia?» le chiese con voce dolce.

«Veglio su di temio signore.»

«Coricati su di uno di quei sofà e cerca di riposare. Fraalcune ore qui pioveranno palle e granate e le fiamme dei cannoni faranno troppochiaro pei tuoi occhi. Dormibuona fanciulla e sogna la tua vendetta.»

«Me la daraimio signore?» chiese la giovanettaalzandosidi scattocogli sguardi sfavillanti.

«Te lo promettoYara.»

«Graziemio signore: la mia anima ed il mio sangue tiappartengono.»

Il Corsaro le sorrise e si rovesciò sui guancialichiudendogli occhi.

Mentre il ferito riposavaMorgan era salito sul ponte perpreparare il terribile colpo di testa che doveva dare ai filibustieri o lalibertà o la morte.

Quell'uomoche godeva l'intiera fiducia del fiero scorridoredel mareera uno dei più valenti lupi di mare che contasse allora lafilibusteriaun uomo che doveva più tardi diventare il più celebre fra tuttii filibustiericolla famosa spedizione di Panama e con quellenon meno audacidi Maracaibo e di Porto Cabello. Era meno alto del Corsaroanzi si poteva direche era al disotto della statura mediama in cambio era membruto e dotato diuna forza eccezionale e d'un colpo d'occhio di aquila.

Aveva già date molte prove di valore sotto il comando difilibustieri celebriquali Montbarnominato lo SterminatoreMichele ilBascol'Olonese ed il Corsaro Verdefratello del Neroe godeva perciò unafiducia immensa anche fra i marinai della Folgoreche l'avevano giàpotuto apprezzare in numerosi abbordaggi.

Appena salito in copertaaveva ordinato ad un drappello dimarinai di prendere a rimorchio la barcaccia designata a servire di brulotto edi condurla presso la Folgore.

Non si trattava veramente d'una barcacciabensì d'unacaravella destinata al piccolo cabotaggiogià molto vecchia e quasi impotentea sostenere l'urto delle poderose ondate del Golfo del Messico. Come tutte lenavi di quella specieportava due altissimi alberi a vele quadre ed aveva ilcastello di prora ed il cassero assai elevatisicchè di notte si potevabenissimo scambiarla per una grossa nave e fors'anche per la Folgore istessa.Il suo proprietario già l'aveva fatta scaricare al primo apparire deifilibustieriper tema che il contenuto cadesse nelle mani di quei rapaciscorridori del mareperò a bordo era rimasta ancora una notevole quantità ditronchi di campeggiolegno adoperato per fare certe tinture molto pregiateanche in quell'epoca.

«Questo legname ci servirà a meraviglia» aveva dettoMorganil quale si era subito recato a bordo della caravella.

Chiamò Carmaux ed il mastro d'equipaggio e diede loro alcuniordiniaggiungendo:

«Sopratutto fate presto e bene. L'illusione deve essereperfetta.»

«Lasciate fare a noi» aveva risposto Carmaux. «Nonmancheranno nemmeno i cannoni.»

Un momento dopo trenta marinai si calavano sul ponte dellacaravellagià stata ormeggiata a tribordo della Folgore.

Sotto la direzione di Carmaux e del mastro si misero subitoal lavoro.

Innanzi a tutto coi tronchi di campeggio inalzarono presso iltimone una robusta barricata per coprire il pilotapoi cogli altrisegati acerte lunghezzeimprovvisarono dei fantocci che collocarono lungo le muratecome uomini pronti a slanciarsi all'abbordaggio e dei cannoni che misero sulcastello di prora e sul cassero. Si capisce che quei pezzi d'artiglieria nondovevano servire che di spauracchiocomponendosi puramente di tronchi d'alberoappoggiati alle murate.

Ciò fattoi marinai ammucchiarono sul boccaporto maestroalcuni barili di polveredella pecedel catramedello zolfo e una cinquantinadi granate disperdendone anche a prora ed a poppaquindi bagnarono con resina espirito le murate affinchè prendessero fuoco più facilmente.

«Per bacco!» esclamò Carmauxstropicciandosi le mani.«Questo brulotto arderà come un ceppo di pino.»

«È una vera polveriera galleggiante» disse Wan Stillerche non aveva lasciato l'amico un solo momento.

«Ora piantiamo delle torce sui bordi e accendiamo i grandifanali del cassero» disse Carmaux.

«E spiegheremo a poppa il grande stendardo dei signori diVentimiglia e di Valpenta.

«Quello è necessarioamico Stiller.»

«Credi tu che le fregate cadranno nel laccio?»

«Ne sono certissimo» rispose Carmaux. «Vedrai checercheranno di abbordarci.»

«Chi guiderà il brulotto?»

«Noi con tre o quattro camerati.»

«Avete finito?» chiese in quel momento Morgancurvandosisopra il bordo della Folgore.

«Tutto è prontosignore» rispose Carmaux.

«Sono già le tre.»

«Fate imbarcare i nostri uominiluogotenente.»

«E tu?»

«Reclamo l'onore di guidare il brulotto. Lasciatemi WanStillerMoko e altri quattro uomini.»

«Tenetevi pronti a bracciare le vele. Il vento soffia daterra e vi spingerà subito addosso alle fregate.»

«Non attendo che i vostri ordini per tagliare gli ormeggi.»

Quando Morgan salì sul ponte di comando della FolgoreilCorsaro Nero si era di nuovo coricato su due grandi cuscini di seta che eranostati stesi sopra un tappeto persiano. Yarala giovane indiananon ostante ildivieto del Corsaroaveva pure lasciata la cabinadecisa a sfidare la morte afianco del suo signore.

«Tutto è prontocapitano» disse Morgan.

Il Corsaro Nero si alzò a sedere e guardò verso l'uscitadella baia.

La notte non era tanto oscuraquantunque la luna fossetramontata da qualche oraperchè si potevano discernere distintamente le duefregate. Sotto i tropici e sotto l'equatorele notti hanno una trasparenzastraordinaria. La luce proiettata dagli astri basta per scorgere un oggettoqualsiasianche minutoad una distanza notevolequasi incredibile.

Le due grosse navi non avevano lasciati i loro ancoraggi e leloro masse spiccavano distintamente sulla linea dell'orizzonte. Il flusso peròle aveva un po' ravvicinatelasciando a babordo ed a tribordo uno spaziosufficiente perchè una nave potesse manovrare liberamente.

«Passeremo senza troppo soffrire il fuoco di quei trentaduecannoni» disse il Corsaro. «Tutti gli uomini a posto di combattimento.»

«Ci sono di giàsignore.»

«Un uomo di fiducia al comando del brulotto.»

«Vi è Carmaux.»

«Un valoroso: sta bene» rispose il Corsaro. «Direte a luiche appena dato fuoco alla caravella imbarchi i suoi uomini sulla scialuppa eche venga subito a bordo colla maggior celerità possibile.

Un ritardo di pochi minuti può essere fatale. Ah!...»

«Cosa avetesignore?»

«Vedo dei lumi presso la spiaggia.»

Morgan si volseaggrottando la fronte.

«Che gli uomini del presidio cerchino di sorprenderci?» sichiese.

«Giungeranno troppo tardi» disse il Corsaro. «Fatesalpare le àncore e orientate le vele.»

E volgendosi verso la giovane indianale disse:

«Ritirati nel quadroYara.»

«Nomio signore.»

«Qui fra poco grandineranno palle e granate.»

«Non le temo.»

«La morte può sorprenderti.»

«Morrò al tuo fiancomio signore. La figlia del cacico delDarien non ha mai temuto il fuoco degli spagnuoli.»

«Tu allora hai anche combattuto?»

«Sìa fianco di mio padre e dei miei fratelli.»

«Giacchè sei una valorosarimani presso di me. Forse tu miporterai fortuna.»

Con uno sforzo s'alzò sulle ginocchia e impugnando la spadache teneva sguainata presso di sègridò con voce tuonante:

«Uomini del mare! A posto di combattimento! Rammentatevi delCorsaro Verde e del Corsaro Rosso!»

«Al largo il brulottoCarmaux!» gridò Morgan.

La caravella era già stata liberata dagli ormeggi.

Carmaux si era posto al timone e la guidava verso le duefregatementre i suoi compagni accendevano le due grandi lanterne del cassero ele torce che erano state legate lungo i bastingaggi onde gli spagnuoli potesserovedere il grande stendardo dei signori di Ventimiglia che ondeggiava sulcoronamento di poppa.

Un urlo terribile s'alzò a bordo del brulotto e della Folgoreperdendosi lontano lontano sul mare:

«Viva la filibusteria!... Hurrà pel CorsaroNero!...»

I tamburi rullavano fragorosamente e le trombe che davano ilsegnale dell'abbordaggio echeggiavano acutissime. Il brulotto con una bordataaveva superato la punta estrema dell'isolotto e muoveva intrepidamente verso ledue fregatecome se volesse investirle ed abbordarle.

La Folgore lo seguiva a trecento passi di distanza.Tutti i suoi uomini erano a posto di combattimento: gli artiglieri dietro ailoro pezzi colle micce accesei fucilieri dietro alle murate e sulle coffeigabbieri sui pennoni e sulle crocette.

D'un tratto un lampopoi duepoi quattro illuminano lanotte e la possente voce delle artiglierie si mescola agli hurrà degliequipaggi e alle grida di guerra della guarnigione della cittadella accorsa inmassa sulla spiaggia.

«Ecco la musica!» tuona Carmaux.

 

 

Capitolo VIII.

 

UN TERRIBILE COMBATTIMENTO

 

Le due fregatevedendo avanzarsi quella nave a vele spiegatee tutta illuminataavevano creduto che corresse addosso a loro per darel'abbordaggio all'una o all'altrae perciò si erano prontamente accostatefinchè lo permettevano le catene delle àncoreper soccorrersi a vicenda.

Ad un comando dei capitanii cannoni da caccia della copertaerano stati puntati sul brulotto ed una prima scarica aveva destato gli abitantidi Puerto Limon e fatta accorrere sulla spiaggia l'intera guarnigione delfortino.

Quelle palle non erano andate perduteavendo colpito inpieno il brulotto. Una parte dell'alto castello di prora era subito diroccatosotto lo scoppio d'una granatae due pennonispaccati da un proiettileeranoprecipitati in coperta a soli pochi passi dalla barricata di poppa.

«Lasciamoli sfogarsi a loro capriccio» aveva dettoCarmaux. «Già questa povera caravella è destinata a saltare in aria.»

Si volse verso l'isolotto e vide la Folgore avanzarsia meno di duecento metricercando di girare l'estrema punta del promontorio.

«Ohe!... Badate!... Si farà fuoco di bordata!» aggiunsepoi.

Non aveva ancora finite quelle parole che le due fregateavvamparono simultaneamentecon un rimbombo spaventevole. Dalle batteriesfuggivano lingue di fuoco e sopra i ponti turbinavano nubi di fumo densissimoattraversate da lampi.

Artiglieri e fucilieri avevano aperto un fuoco infernalecontro la povera caravellacolla speranza di mandarla sott'acqua rotta efracassata prima che potesse giungere all'abbordaggio. L'effetto di quellascarica fu tremendo. Le murate ed il castello di prora del brulotto volarono infrantumi e l'albero provierospaccato alla baserovinò in coperta con unoscroscio orrendo sfondandocol proprio pesoparte della tolda.

«Mille pesci cani! - urlò Carmauxche si era prontamenteabbassato dietro la barricata. - Un'altra scarica come questa e noi andremo apicco!

S'alzò e guardò al disopra della barricatamalgrado inembi di mitraglia che spazzavano la coperta con mille sibili.

La prima fregata non era che a quindici metri ed il brulottoche aveva ancora il suo albero maestro in piedi ed i fiocchi del bompressoancora spiegatile correva addosso spinto dal vento che soffiava da terra.

Carmaux strappò a Wan Stiller la miccia che teneva in manoancora accesa e curvandosi verso il cannone che stava puntato sul casserovidiede fuocopoi gridò con voce tuonante:

«Un uomo sul ponte!... Accendete!

Un filibustiero balzò sopra la barricatatenendo in manouna torcia accesae non ostante le incessanti scariche delle due fregate sislanciò verso l'ammasso di pece e di zolfo che si trovava alla base dell'alberomaestro.

Una palla di cannone lo prende in mezzo al petto e lo spezzain due come se fosse stato troncato da una immane scimitarra.

«Fulmini!» tuonò il filibustiere. «Un altro uomo sulponte!»

Un secondo marinaioper nulla atterrito dalla orrenda finedel suo cameratasalta via la barricata e si scaglia innanzi urlando: «Viva lafilibust...»

Non potè terminare la frase. Una seconda palla di cannone louccide. In quel momento un urto tremendo avviene a prora. La caravella avevainvestito la fregata cacciando il suo bompresso fra le sartie ed i paterazzidell'albero maestro.

Carmaux e Wan Stiller afferrano i ganci d'abbordaggio e liscagliano fino ai pennoni ed ai bracci di manovra della navepoi staccano letorce ed i fanali del quadro e li gettano in mezzo alla tolda.

La resina che scorre ancora pel tavolato prende fuoco in unistante e si comunica allo zolfo ed alla pece radunata sul ponte.

Dieciquindici lingue di fuoco serpeggiano per la toldainvestono le muratebruciano le tavole e s'alzano verso le vele. Un chiaroreimprovviso si diffonde fra le tenebre.

I marinai della fregatacredendo che la caravella l'avesseabbordata sul seriosi precipitano verso le murate scaricando i loro archibugimentre i cannoni da caccia lanciano una bordata di mitraglia sul castello diprora ed in mezzo ai rottami dell'albero di trinchetto già caduto.

Un grido rimbomba a poppa della caravella:

«Camerati! In ritirata!»

Carmaux abbandona il timonesorpassa con un solo slancio ilcoronamento e si lascia scivolare lungo la gomena. Sotto sta la scialuppa.

«Moko! Wan Stiller! Presto!» gridò. «La Folgore staper passare.»

L'amburgheseil negro e gli altri due filibustieri loseguonomentre la caravella avvampa come un vulcano. Lo zolfo ed il bitumeardono con rapidità incredibilelanciando sulla fregata nembi di scintille enubi di fumo puzzolente. I barili di polvere stanno forse per iscoppiare emandare all'aria il brulotto.

«Ci siete tutti?» gridò Carmaux.

«Tutti» risponde l'amburghesedopo d'aver lanciatoall'ingiro un rapido sguardo.

«Al largo!»

Tenendosi riparati dietro la caravellafilano al largomanovrando i remi con sovrumana energia.

Intanto il fuoco si dilata con rapidità fulminea. Le muratei cordamile velel'albero maestro stesso della caravella bruciano spandendoall'intorno una luce sinistra.

Gli spagnuoliatterriticercano di tagliare i grappinid'abbordaggio per allontanare il brulottoma oramai è troppo tardi.

L'incendio si propaga a bordo della fregata con rapiditàincredibile. Le pompe nulla possono contro le fiammeche guadagnano le vele el'alberatura.

Carmaux ed i suoi compagnicon pochi colpi di remoattraversano la baia e giungono sotto il bordo della Folgorela quale siera già messa in pannaper aspettarli.

«Presto!» tuona Morgan.

I cinque marinai s'aggrappano alle bancazzesi slanciano suipaterazzi e le sartie e saltano a bordo della loro nave.

«Eccocisignore!» dice Carmauxcorrendo sotto il ponte dicomando dove si trovano il Corsaro Nero e Morgan.

«Manca nessuno?» grida il luogotenente.

«Ci siamo tuttimeno due che sono morti a bordo dellacaravella» risponde Carmaux.

«Ognuno a posto di combattimento!» comanda il Corsaro.«Pronti pel fuoco di bordata!»

La Folgore si slancia innanzifilando a duecentopassi dalla fregata incendiata.

S'avanza rapidamentein silenziotutta nerasenza alcunlume a bordo. I suoi uomini però sono tutti ai loro posti.

La seconda fregataaccortasi finalmente dell'ardita manovradel filibustierescarica con orrendo rimbombo le sue artiglieriesperando diarrestare al volo la Folgorema tale scarica va a colpire le rocce cheformano il prolungamento della penisola.

La seconda fregata non può rispondere in modo alcuno. Ormaile fiamme la investono e avvampa come un vulcano.

Una luce intensa si spande per la baiatingendo le acque dicolor rosso e riflettendosi perfino sulle vele della nave filibustiera. I suoitre alberi fiammeggianomentre il brulottoancora appiccicato ai suoi fianchicrepita e sibila lanciando in aria continui nembi di scintille.

D'improvviso una fiamma immensa squarcia la caravella. Ilponteil quadroil castello di proral'albero maestro saltano sotto loscoppio dei barili di polverelanciando a destra ed a manca un nuvolo dirottami ardenti. La fregatache è sempre legata al brulottosi piega su di unfianco. L'esplosione l'ha squarciata sul tribordo e l'acqua si precipitaconsordi muggitiattraverso l'immane apertura.

Fra le urla del suo equipaggio ed i gemiti dei feriti e deimoribondisi alza una voce tuonante.

«Fuoco di bordata!» grida il Corsaro Nero.

I sei cannoni di tribordo ed i due pezzi da caccia delcassero tuonano con un accordo ammirabileformando una detonazione sola. Lepalle e la mitraglia spazzano i ponti delle due fregate accrescendo l'orrore ela confusione. Un albero tentenna e poi cade in coperta assieme con le vele econ le manovre fisse e correnti.

La Folgore si avanza semprementre le scialuppe dellaseconda fregata accorrono in aiuto di quella che arde e che sta per affondare.

Il fuoco degli spagnuoli è sospesoma non quello della navefilibustiera. Le artiglierie tuonano senza posatempestando le manovre dei duelegni e lanciando sui ponti bordate di mitragliale quali fanno strage fra gliequipaggi.

«Fuoco! fuoco!» tuona sempre il Corsaro Nero. «Spezzate leloro alberaturerasate i pontidemolitedistruggete!»

Con un'ultima bordatala Folgore giunse alla boccadel porto. Passando quasi accanto alle due fregatescaricad'un solo colpotutte le sue artiglieriepoi fila dinanzi alla diga ed esce trionfante in mare.Un'ultima bordata della fregata rimasta incolumela raggiunge ancoraspezzandole l'antenna di gabbiaforandole parecchie vele e uccidendole quattrouominima ormai la Folgore poteva considerarsi salva.

Il Corsaro Neroaiutato da Yara e da Morgans'era alzato.

Laggiùin direzione della baiala fregataquasi sommersabruciava ancora. Immense lingue di fuoco s'alzavano verso il cielomentre deinembi di scintilletrasportate dal ventocorrevano fra le tenebre come miriadidi stelle.

Qualche colpo di cannone rombava ancoraconfondendo ladetonazione al fragore dei flutti.

«Ebbenecosa ne dite di tutto ciò?» chiese eglicon vocetranquillaa Morgan.

«Io dicocavaliereche mai fortuna maggiore ha sorriso aifilibustieri della Tortue» rispose il luogotenente.

«Infattiamico Morgannon avrei mai sperato tanto.»

«Un giorno avrò anch'io una navesignor cavaliereeallora mi ricorderò delle audacie incredibili del mio capitanodei suoivalorosi e pur disgraziati fratelli e dell'Olonese.»

«Voi avete la stoffa d'un grande condottierosignor Morgane ve lo dice il Corsaro Nero. Voi farete grandi coselo vedrete.»

«E perchè no insieme?» chiese il luogotenente.

«Chissà se allora il Corsaro Nero sarà vivo» disse ilsignor di Ventimigliamentre un pallido sorriso gli sfiorava le labbra.»

«Voi siete giovanesignoreed invincibile.»

«Anche i miei fratelliil Corsaro Rosso ed il Verdeeranogiovani e arditieppurevoi lo sapetedormono il sonno eterno nei baratriumidi del mare dei Caraibi.»

Stette un momento silenziosoguardando il mare chescintillava dietro la poppa della nave come se vi fosse un principio difosforescenzapoi riprese con voce malinconica:

«Chissà quale destino mi serberà l'avvenire. Potessialmenoprima di morirevendicarmi del mio mortale nemico e sapere ove èandata a finire la fanciulla che ho tanto amato!...»

«Honorata?» chiese Morgan.

«Sono passati quattro anni» continuò il Corsarosenzafar attenzione alla domanda del luogotenente«eppure la vedo sempre vagare sulmar tempestoso dei Caraibialla luce dei lampifra i muggiti delle ondeincalzanti. Notte fatale!... Non la dimenticherò maimai!... Il giuramento cheho pronunziato la sera in cui il cadavere del Corsaro Rosso scendeva in fondoalle acquemi ha spezzata l'esistenza. Orsùdimentichiamo!»

Si era alzato a sedere e i suoi sguardi tetri scrutavanoattentamente il mareil qualea poco a pococominciava a diventare luminoso.

Delle pagliuzze d'oro scorrevano a miriadi sotto le ondesalendo dagli abissi immensi del grande golfo. Si diffondevano lentamentetuttoinvadendopoi si disperdevano per tornare a radunarsi.

Talvolta pareva che delle vere fiammate o dei getti di zolfoliquefatto o di bronzo fuso si amalgamassero alle ondefacendo scintillare laspuma. Delle meduse rotolavano fra i cavallonisplendide come globi di luceelettrica.

Il Corsaro Nero guardava sempre. Il suo visodiventatopallidissimoesprimeva in quel momento un'angoscia profonda e ne' suoi sguardisi leggeva un terrore ignoto.

Morgan e Yararitti dietro a luinon parlavano. I marinaidispersi per la toldaparevano pure invasi da un superstizioso terrore eguardavanoanch'essi mutile onde che diventavano sempre più luminose.

Carmaux s'era avvicinato lentamente a Wan Stillerurtandolocol gomito.

«Tutte le notti che vi sono dei morti a bordolafosforescenza compare. Lo hai notato camerata?»

«Sì» rispose l'amburghese con un tremito nella voce.«Queste notti mi ricordano sempre il Corsaro Rosso ed il Verde.»

«O quella in cui il capitano abbandonò sul marein pienouraganoHonorata di Wan Guld.»

«SìCarmaux.»

«Guarda il Corsaro!... Lo vedi come osserva il mare?»

«Lo vedo.»

«Si direbbe che aspetta la comparsa dei suoi fratelli. Tusai che quando il mare scintilla cosìlasciano le profondità del golfo perrisalire a galla.»

«TaciCarmaux!... Tu mi fai paura!...»

«Hai udito?...»

«Che cosaCarmaux?»

«Si direbbe che fra l'alberatura della Folgore folleggianole anime dei due corsari. Odi?... Pare che lassù qualcuno si lamenti.»

«È il vento che scherza fra i cordami della Folgore.»

«E questi sospiri?...»

«È l'onda che si rompe sui fianchi della nave.»

«Tu lo crediamburghese?»

«Sì.»

«Ed io niente affatto. Vedraipresto noi vedremo emergeredai flutti i due cadaveri del Corsaro Rosso e del Verde.»

Il signor di Ventimiglia intanto continuava a scrutare ilmare con ansietà crescente. Di tratto in tratto un profondo sospiro sisprigionava dal suo petto. Pareva che i suoi occhi cercassero discernere qualchecosa che si celava dietro la fosca linea dell'orizzonte.

«Cavaliere» disse Morgan. «Cosa cercate?»

«Io non lo so» rispose il Corsaro con voce cupa. «Qualchecosa però sta per apparire.»

«I vostri fratelli?»

Invece di rispondere il Corsaro chiese:

«Sono rinchiusi nelle loro amache gli uomini uccisi dallabordata della fregata?»

«Sìcavaliere. I nostri marinai non attendono che ilvostro comando per gettarli in mare.»

«Aspettate ancora.»

Si spinse innanzi aggrappandosi alla balaustrata del ponte dicomando e parve che ascoltasse con profondo raccoglimento.

Sulla nave regnava allora un silenzio assolutorottosolamente dai gorgoglii dell'acqua e dai gemiti del vento soffiante fra i millecordami dell'attrezzatura.

I marinaivinti da un superstizioso terroreparevanopietrificati. Più nessuno aveva osato parlare dopo Carmaux e Wan Stiller.

D'improvviso un grido attraversò lo spazio. Pareva chevenisse dalle profondità del mare.

Era stato mandato da qualche cetaceo nuotante a fior d'acquao da qualche essere misterioso? Nessuno avrebbe saputo dirlo.

«Avete udito?...» chiese il Corsarovolgendosi versoMorgan.

Il luogotenente non aveva rispostoperò si era slanciatoinnanzi come se avesse cercato di distinguerefra quelle onde luminosel'essere che aveva mandato quel grido.

«È il Corsaro Rosso che rimonta a galla» riprese ilcavaliere. «Sìegli aspetta ancora la vendetta!»

Ad un trattolontano lontanopresso l'oscura lineadell'orizzontesi vide apparire come una massa nera la quale solcavarapidamente i flutti. Cos'era? Poteva essere una barca come poteva pure esserequalche focenaqualche grosso lamantino o qualche balenottera. Comunque fosseil Corsaro Neromalgrado le sue feriteera balzato in piedi senza l'aiuto dinessunoaggrappandosi fortemente alla balaustrata del ponte di comando.

«Ella passa laggiù!...» aveva gridato. «È la sua animache erra ancora sul mare od è ancora viva?... Honorata!... Perdono!...»

«Cavaliere!» aveva esclamato Morgan. «Siete in preda aduna allucinazione!...

«Noio la vedo!...» gridò il Corsaro Nero in esaltazione.«Guardatela tuttiuomini di mare!... Ella ci guarda e ci tende le braccia!...Làlà!... Il vento solleva i suoi capelli!... Le onde montano attorno allasua scialuppa!... Ella mi chiama!... Non udite la sua voce?... Presto una lanciain mare prima che ella scompaia ancora!...»

Poi esausto di forze si lasciò cadere fra le braccia diMorganmentre i marinai mormoravanocon voce tremante:

«La visione!...»

«Mio signore!» aveva gridato Yaracurvandosi verso ilcavaliere che non dava quasi più segno di vita.»

«È svenuto» disse Morgan. «Ha voluto abusare troppodelle sue forze. Non sarà nulla.»

«Ma quell'apparizione?» chiese Yara.

«Follie» disse Morgan a voce bassa. «Portiamolo nellacabina.»

Ad un suo cenno Carmaux e Moko salirono sul ponte di comandopresero delicatamente il Corsarosempre svenutoe lo trasportarono nel quadro.Yara ed il medico di bordo li avevano seguiti.

«In acqua i cadaveri!» gridò poi Morgan.

Le salme dei quattro marinai uccisi dalla bordata furonoissati sulla murata di babordopoi lasciati cadere negli abissi del grandegolfo. Morgan si era curvato sul ponte di comando. Vide le quattro amachepiombare in acqua sollevando un gran sprazzo scintillantepoi scomparirecondelle leggere ondulazioni sotto le onde luminose.

«Dormite in pacenel gran cimitero umidoa fianco delCorsaro Rosso e del Verdee dite loro che noi presto li vendicheremoentrambi» disse. «Ed oraandiamo a Vera-Cruz e che Dio ci guidi!...

 

 

Capitolo IX.

 

L'ODIO DI YARA

 

Quando l'alba sorse ed ebbe la certezza che nessuna navespagnuola incrociava al largo delle coste del NicaraguaMorgan lasciò il pontedi comando per scendere nella cabina del capitano.

Non dubitava che il Corsaro non sarebbe rimasto a lungo inquello statosapendo per prova l'eccezionale fortezza d'animo di quell'uomonondimeno aveva provato dapprima dei seri timori per le ferite che avevaricevute. Quando entrò nella graziosa cabinail Corsaro riposava tranquillosotto la guardia della giovane indiana e di Carmaux. La respirazione del feritoera calma e regolareperò di quando in quando un trasalimento nervoso scuotevaquel corpo e dalle labbra socchiusesfuggiva ad intervalliun nome:

«Honorata!...»

«Sogna» disse Carmauxvolgendosi verso Morgan che s'eraappressato al letto senza far rumore.

«Sìcrede di veder passare ancora la scialuppa» disse illuogotenente. «Certamente questa notte delirava.»

«Non avete creduto all'apparizionesignor luogotenente?»chiese Carmaux.

«E tu?» domandò Morgancon una punta d'ironia.

«A me parve pure d'aver veduta una scialuppa vagare fra iflutti fiammeggianti.»

«Follieillusioni prodotte da un terrore superstizioso.»

«Eppure signoreio giurerei d'aver veduta perfino una formaumana entro quella scialuppa» disse Carmauxcon incrollabile convinzione.

«Tu ed i tuoi camerati avete scambiato qualche cetaceo peruna scialuppa.»

«Ed il capitano?»

«Tu sai che dopo quella notte terribile crede di vedersovente la fanciulla fiamminga errare sulle acque del gran golfo. Suvvialasciamo i morti ed occupiamoci dei vivi.»

«Anche voi credete che sia mortasignore?»

«Chi ne ha più udito parlare in questi quattro anni?»

«Eppure pare che la fanciulla non sia mortaperchè io houdito narrare delle cose strane.»

Si curvò poi sul letto e aprì la camicia trinatadifinissima battistache il Corsaro indossava. Sotto vide due fasciature ancoramacchiate di sangue vivissimo.

«Si sono riaperte le ferite?» chiese.

«Sìluogotenente» rispose Carmaux.

«Bisogna che siano completamente rimarginate prima delnostro arrivo a Vera-Cruz.»

«Fra dieci giorni il capitano sarà in piedicosì ha dettoil medico.»

«Sarei lietissimo se Wan HornLaurent e Grammont lorivedessero guarito prima dell'incontro.»

«Dove andremo ad attendere la squadra della Tortuese èlecito saperlo?» chiese Carmaux.

«Nella Baia dell'Assunzione» rispose Morgan.

In quel momento il Corsaro aprì gli occhichiedendo convoce un po' fioca:

«Chi parla della Baia dell'Assunzione?»

«Sono iocavaliere» rispose Morgan.

«Ah! Voi?»

Si alzò lentamenterespingendo Carmaux che voleva aiutarloe girò all'intorno uno sguardo quasi stupito.

Un raggio di soleripercosso dall'acquaentrava pel largofinestrone aperto a popparifrangendosi nei grandi specchi di Venezia cheadornavano le pareti e sulla lampada d'argento dorato.

Il Corsaro lo seguì collo sguardo per alcuni istantimormorando:

«Era tempo che le tenebre se ne fuggissero.»

Aspirò a pieni polmoni l'aria marinasatura di salsedineche entrava per le finestre apertepoi volgendosi verso Morgan gli chiese:

«Dove siamo?»

«Fra poche ore saremo di fronte a San Juansignore.»

«Montiamo verso le coste del Nicaragua?»

«Come state ora?»

«Bah! Fra qualche settimana guiderò la mia nave.»

«Sicchè troveremo il duca a Vera-Cruz?»

«Sì» rispose il Corsaro Neromentre un lampo terribilegli balenava negli occhi.

«Ne avete la certezza?»

«Me lo ha confessato don Pablo de Ribeira.»

«Questa volta non ci sfuggirà.»

«Oh! Novivaddio!» esclamò il Corsaro con accento feroce.«Noi prenderemo le nostre precauzioni onde non ripeta il brutto tiro giocatocia Gibraltar. D'altronde non abbiamo l'intenzione di assaltare Vera-Cruzbensìdi entrarvi per sorpresa. Ci siamo già intesi su ciò con Wan HornLaurent eGrammont.»

«Faremo dei guadagni enormicavaliere. Vera-Cruz devecontenere ricchezze straordinarieessendo il porto più importante delMessico.»

«Di là che partono i più numerosi galeoni carichi d'oro edi argento» disse il Corsaro. «A me però basterà la vendetta e lascerò avoi ed al mio equipaggio la parte che mi spetterà nel saccheggio.»

«Voi possedete in Italia abbastanza terre e castella perfarne a meno» disse Morgan sorridendo. «Voi ed i vostri fratelli non sietemai stati ladri di mare come l'OloneseMichele il Bascolo Sterminatoree tutti gli altri capi della filibusteria.»

«Noi siamo venuti in America per uccidere il duca e non persete di ricchezze.»

«Lo socavaliere. Avete da darmi nessun ordine?»

«Tenetevi al largo dalle coste di Nicaragua eappenaavvistato il capo Gracias de Diostagliate diritto verso la Baiadell'Assunzioneevitando possibilmente il Golfo d'Honduras. Preferisco chenessuna nave spagnuola ci veda.»

«Sta benesignore» rispose Morganlasciando la cabina erisalendo in coperta.

Partito il luogotenenteil Corsaro Nero era rimasto peralcuni istanti silenziosocome se fosse immerso in profondi pensieri. Ad untratto però si scosse ed i suoi sguardi si fissarono sulla giovane indianalaquale durante quel colloquioera rimasta accoccolata su un tappetoa brevedistanza dal lettosenza mai staccare gli occhi dal Corsaro e senza averpronunciata una sola parola. Da quando però aveva udito parlare del ducailsuo viso così bello e ordinariamente così dolce aveva assunto un aspetto cosìselvaggiocosì feroce da far paura. I suoi grandi occhi limpidi eranodiventati tetri e vi si vedeva balenare dentro una cupa fiammamentre la suafronte si era burrascosamente increspata.

Il Corsaro Neroavvedutosi finalmente di quel bruscocambiamentoaveva guardato Yara con un misto di sorpresa e d'inquietudine.

«Cos'haifanciulla?» le chiese quando fu uscito ancheCarmaux. «Il tuo bel viso in questo momento ha una terribile espressione.

«A cosa pensi?»

«A mio padre ed ai miei fratelli.»

Il Corsaro Nero si battè la fronte colla palma della destra.

«Ah!... Sì... mi ricordo» disse. «Tu un giorno mi haidetto: Mi vendicheraimio signore?».

«E voi mi avete risposto: Ti vendicherò».

«Te lo promisi infatti.»

«Io speravo di potervi incontrare in qualche angolo delGolfo del Messicocavalieree non sono vissuta che per questa speranza.

Il Corsaro Nero la guardò con stupore.

«Tu mi attendevi?» le chiese.

«Sìmio signore»

«Mi avevi veduto in qualche luogo prima che io sbarcassi aPuerto Limon?»

«Noavevo solamente udito parlare di voi molte volte aMaracaiboa Vera-Cruz ed a Puerto Limon e non ignoravo lo scopo delle vostrescorrerie attraverso il Golfo del Messico.»

«Tu!...»

«Sìmio signore. Io sapevo che non era la sete dell'oroche vi aveva fatto venire in America dai lontani paesi ove sorge il solebensìla vendetta.»

«Da chi lo avevi saputo?»

«Dal mio padrone.»

«Da don Pablo de Ribeira?»

«Nodal suo signore.»

«Dal duca di Wan Guld!» esclamò il Corsaroal colmo dellostupore.

«Sìcavaliere» rispose la giovane indianamentre le suedita si stringevano attorno alla sua sottanina come se avesse voluto lacerarla.

«Tu dunque sai?»

«Che il duca ha assassinato nelle Fiandre vostro fratellomaggiore e che poi ha appiccato i due vostri fratelli minoriil Corsaro Rossoed il Verde. So pure che voisenza saperlovi eravate innamorato della figliadell'uccisore dei vostri fratelli.»

«TaciYara- mormorò il Corsaromentre si portava ambele mani al petto come se avesse voluto calmare i palpiti precipitati del cuore.

«E so ancora» proseguì Yara«che dopo l'espugnazione diGibraltarda voi eseguita per vendicare i vostri fratelliquando tornaste abordo della vostra nave ed apprendesteda un prigioniero spagnuoloche ladonna da voi amata non era una principessa fiammingabensì la figliadell'uccisore dei vostri fratelliinvece di cacciarle nel cuore la vostraspadacome ne avevate il dirittol'abbandonaste sul mare tempestosoin unascialupparaccomandandola alla misericordia di Dio.»

«Tu sai dunque tutto?»

«Tuttocavaliere.»

«È viva Honorata? Dimmelo Yaraè ancora viva?» gridò ilCorsaro.

«Ah! Voi l'amate ancora!...» esclamò la giovane indianacon un singhiozzo.

«Sì» disse il Corsaro. «Il primo amore non muore mai eHonorata Wan Guld è stata la prima donna che io ho amata sulla terra.»

Yara si era lasciata cadere su di una sedia tenendo il voltonascosto fra le mani. Attraverso le dita si vedevano scorrere delle lagrimeedil seno le si sollevava sotto i singhiozzi.

«Anch'io t'amavo prima ancora di vedertimio signore» lasi udì a mormorare con voce rotta.

Pareva che il Corsaro non avesse nemmeno udita quellaconfessione inaspettata. I suoi sguardi si erano fissati sul mare che siscorgeva attraverso l'ampia finestra aperta sulla poppa. Si sarebbe detto cheegli cercava ancora di discerneresull'azzurra linea dell'orizzontelascialuppa che credeva aver veduta durante la notte.

Ad un tratto udì i singhiozzi della giovane indiana.

«Tu piangi» disse. «Pensi ancora a tuo padre ed ai tuoifratelliè vero? Forse tu sospiri le grandi selve del tuo paese.»

Yara si terse con gesto nervoso le lagrime che le solcavanole gotepoi disse come parlando fra sè:

«Che importa?... La vendetta ci unisce.»

«Anche tu sogni delle vendette» disse il Corsaro. «Quantiodii si sono accumulati sulle teste di questi conquistatori dell'America!...»

«La mia è pari alla vostracavaliere.»

«Così spietata?»

«Sìmio signore.»

«Chi ti hanno ucciso?»

«Mio padre ed i miei fratelli.»

«E sono stati gli spagnuoli?»

«Nol'uomo che ha pure distrutto i vostri fratelli.»

Il Corsaro Nero aveva alzato vivamente la testaguardando lagiovane indiana con incredulità.

«L'istesso uomo!» esclamò poi.

«Sìmio signore.»

«Il duca?»

«Luicavaliere.»

«Morte dell'inferno!... Che quell'uomo sia stato fatale atutti?...»

«È un essere mostruosomio signore.

«Ma io l'ucciderò!» gridò il Corsaro. «Oggi egli èpossenteha uomini e navi a sua disposizionegode la protezione della Corte diSpagnaeppure un giorno quell'uomo cadrà sotto la punta della mia spada.»

«Me lo giuri?»

«Eravamo tre fratelliricchi e potenti nel nostro paeseeppure abbiamo dato un addio alle nostre terrealle nostre castellaai nostrivassallialla nostra patria per venire in questi mari ed in questi paesi a noisconosciuti a raggiungere quell'uomo fatale. Ed ora parla. Cosa ha fatto a tequell'uomo?

Yara accostò la sedia al letto del Corsaro eappoggiando igomiti sulle coltridisse con voce grave:

«I nostri padri non avevano ancora conosciuti gli uominibianchi giunti dai lontani paesi d'oltremarea bordo delle loro casegalleggianti. Il vento del nord aveva solamente portatofino alle selve delDarienl'eco lontana di stragi tremendecommesse dagli uomini bianchi nelpaese degli Aztechima nessuno dei miei antenati aveva mirato in viso quegliesseri straordinari.»

«Sìle stragi commesse da Cortez» mormorò il Corsarocome parlando fra sè.

«Un impero possentegovernato da un uomo che si chiamavaMontezumaera stato distrutto da un pugno di quegli uomini crudeliedegl'indianivenuti dai paesi del settentrioneavevano recato ai miei antenatila stupefacente novella. Nessuno aveva prestato fede alle parole di quei lontanicompatriottipoichè nessuna di quelle grandi case galleggianti era maicomparsa sulle sponde del Darien. L'incredulità dei nostri padri doveva esserefatale ad un intero popolo.

La mia tribù era numerosa come le foglie degli alberi d'unaintera foresta e viveva felice in mezzo ai grandi boschi che costeggiano l'ampioGolfo del Darien.

La pescala caccia e le frutta delle selve bastavano a tuttie la guerra era quasi sconosciutaperchè l'uomo bianco non era ancoracomparso. Mio padre era il cacico della tribù ed era amato e stimato edi miei quattro fratelli non lo erano meno. Un triste giorno quella felicità chedurava da secoli fu bruscamente spezzata e per sempre. Era comparso l'uomobianco.»

«E quell'uomo si chiamava?»

«Era il duca Wan Guld» disse Yara. «Una di quelle grandicase galleggiantispinta da una tremenda buferas'era spezzata sulle nostrespiagge. Tutti coloro che la montavano erano stati ingoiati dalle onde del maretempestosouno solo eccettuato. Quel superstite era stato accolto da mio padrecome se fosse un fratelloquantunque la sua pelle fosse bianca e l'eco dellestragi commesse dagli spagnuoli nei paesi degli Aztechi non si fosse ancoraspenta. Ah! sarebbe stato meglio che l'avesse ricacciato fra le onde o che gliavesse spezzato il cranio con un tremendo colpo di scure. Egli aveva raccolto unrettile immondo che doveva più tardi mordergli il cuore.»

Yara si era nuovamente interrotta. Delle lagrime brucianti lescendevano sulle gotementre dei sordi singhiozzi le laceravano il petto.

«ProseguifanciullaLe donne della tua razza sono forti.»

«È veromio signorema certe immani sciagure spezzano ilcuore.

Il duca era stato ricevutocome vi dissipari ad unfratello. Mio padreche giammai aveva veduto uomini dalla pelle biancaavevacreduto quel naufrago un essere superiorecome una specie di divinità delmaretanto più che i nostri stregoni avevano predetto che un giornodailontani paesi ove il sole si levasarebbero venuti degli uomini cari al GrandeSpirito.

Ah! La triste profezia doveva purtroppo avverarsima quegliuominianzichè protetti dal Grande Spiritoerano figli del regno delletenebre e creati dal cattivo geniodallo Spirito del male.

L'uomo biancogettato dal mare sulle nostre spiaggeebbeonori e favori e divenne l'amico di mio padredegli stregoni e dei piùcelebrati guerrieri del mio paese e guadagnò così bene la loro fiducia dastrappare a quegli ingenui il segreto dell'oro.»

«Il tuo paese era ricco d'oro?» chiese il Corsaro.

«Sì aveva delle miniere ricchissime che da secoli venivanolavorate dai nostri schiavi per pagare il tributo annuale al Re del Darien.Tesori immensi erano stati accumulati in certe caverne nascoste fra le montagnee che i soli cacichi conoscevano.

Un giorno mio padreche non diffidava dell'uomo biancolocondusse in quelle caverne e gli mostrò quelle ricchezze favolose equell'infamedimenticando i favori ricevutida quel giorno non sognò che ditradire il nostro popolo per impadronirsi di quelle montagne d'oro.

Si finse ammalato ed esternò il desiderio di ritornare perqualche tempo al suo paese.

Egli aveva detto a mio padre che sarebbe morto se non avesserivedutosia pure per breve tempogli uomini della sua razza. Fu creduto ed unmattino partì in una delle nostre canoeaccompagnato da quattro indianipromettendo di tornare presto.

Egli mantenne la parola. Due mesi dopo una grande casagalleggiante approdava alle nostre spiagge e ne discendeva l'uomo bianco assiemea parecchi marinai carichi di barili.

"Prendi"disse a mio padreadditandogli i barili."Questo è il regalo che faccio al tuo popolo."

Fece sfondare quei recipienti e chiamò a raccolta la tribùoffrendo a tutti da bere. Non era vino quello che aveva recato bensì l'acquadi fuoco.()

I nostri sudditi mai avevano assaggiato un simile liquoreprima dell'arrivo degli spagnuoli. Come puoi immaginartimio signoresigettarono avidamente su quei recipienti che davano loro l'ebbrezza.

L'acqua di fuoco non scemava. Dalla casa galleggiante negiungeva semprecon una prodigalità folle ed il popoloignaro dell'orribiletradimentobeveva ancorabeveva sempre. Soli mio padre ed i miei fratelliinsospettitinon avevano voluto assaggiarne non ostante le insistenze dell'uomobianco.

Quando giunse la sera tutta la mia tribù era ebbra.Guerrieridonne e fanciulli danzavano all'impazzata o cadevano al suolo comefulminati e l'uomo bianco ed i suoi marinai ridevanoridevanomentre mio padrepiangeva.

A un tratto verso il mare udimmo delle detonazioni tremende.Erano i cannoni della nave che tuonavano contro il villaggiospargendo dovunqueil terrore e la morte.

Mi pare di vedere ancora gli uomini bianchi avanzarsi dicorsa attraverso le capannemacellando quel popolo incapace di difendersi.

Ah!... l'orrenda notte!... Vivessi mille anni non lascorderò maimaimio signore!...»

«Miserabili!» esclamò il Corsaropallido d'ira.«ContinuaYara.»

«Mio padre si era trincerato fra le capanne di suaproprietà assieme ai miei tre fratelli e ad alcuni guerrieri che non s'eranolasciati adescare dall'acqua di fuoco degli uomini bianchi. Quei pochiprodi avevano cercato di opporre resistenza al nemicodifendendosi col furoreche infonde la disperazione.

Alle intimazioni di resa del ducaessi rispondevano connuvoli di frecce ed a colpi di lancia e di mazza. Gli spagnuoli per vincerliavevano incendiate le capanne circostanti.

Vedo ancora le lingue di fuoco volteggiare in altolasciandocadere sulle abitazioni di mio padre nembi di scintille.

Ad un tratto anche le nostre case fiammeggiavano. Le travicadono e le pareti ardono fra turbini di fumoma mio padre ed i miei fratellilottano ancora con estremo furorementre gli spagnuoli scaricano le loro armiin mezzo a quelle fornaci ardenti.

Mi ricordo d'aver udito mio padre a gridare:

"Avantimiei guerrieri!... Uccidiamo queltraditore!...".

Poi non vidinè udii più nulla. Il fumo mi aveva fattacadere al suolo quasi asfissiata.

Quando tornai in medel villaggio non rimaneva in piedi unasola capanna e di tutti i suoi abitanti non vivevo che io sola. Mio padre ed imiei fratelli erano periti fra le fiamme sotto gli occhi del duca infame.

Più tardi però seppi che il traditore non aveva ricavatoche magro frutto da quell'orrendo macellopoichè alcuni guerrieri di unatribù vicinaaccortisi delle sue intenzioniavevano avuto il tempo di deviareun fiume inondando le caverne contenenti i tesori.

«E chi ti aveva salvata?» chiese il Corsaro.

«Un soldato spagnuolo. Mosso a compassione della mia giovaneetàsi era slanciato fra le fiammestrappandomi ad una morte certa. Fuicondottacome schiavaa Vera-Cruzpoi a Maracaibopoi fui donata a don Pablode Ribeira. Il duca si era accorto del tremendo odio che io covava contro di luie per tema che un giorno potessi vendicarmiquel vile si era affrettato adallontanarmi. Ma l'odio non era ancora spento nel mio cuore» proseguì lagiovane indianacon accento selvaggio. «Io non vivo che per vendicare miopadrei miei fratelli e la mia tribù! M'intendimio signore?»

«T'intendoYara.»

«E tu mi aiuterai a vendicarmiè veromio signore?»

«Ti vendicheròYara. La mia Folgore veleggia giàverso Vera-Cruz.

«Graziemio signore. Tu non avrai mai avuto una donna piùaffezionata di me.

Il Corsaro mandò un sospiro e non rispose. Forse in quelmomento il suo pensiero correva dietro alla giovane fiamminga che avevaabbandonata sul Mare dei Caraibi e che ancoradopo quattro lunghi annirimpiangeva.

 

 

Capitolo X.

LE COSTE DEL YUCATAN

 

Intanto la Folgoreabilmente guidata da Morganveleggiava rapidamente lungo le coste del Nicaraguatenendosi però ad unagrande distanza dai piccoli portiper tema d'incontrare qualche fregata oqualche squadra della flotta del Messico .

Aveva ormai lasciate le spiagge di Costaricapassando moltoal largo di S. Juan del Norteporto che anche in quell'epoca aveva una certaimportanzaperò sulla linea purissima dell'orizzonte si vedevano ancoraspiccarecome immensi conii suoi sei grandi vulcani e specialmente l'Irazuche spinge la sua vetta a 3500 metri.

Il vento era favorevole e concorreva anchee potentementela corrente del Gulf Stream ad accelerare la marcia della nave. Questa correnteche rade tutte le coste dell'America centraleentrando lungo le spiaggedell'America del Sud per tornare nell'Atlantico presso le isole Bahamaconservasempre una notevolissima velocità che varia dai ventidue ai cinquantaseichilometri al giorno. Presso la Florida giunge perfino a compierne bencentoquarantotto ogni ventiquattro ore.

Quantunque il mare apparisse desertonon fidandosi le navispagnuole ad uscire dai porti quando sapevano aggirarsi la squadra deifilibustieriMorgan aveva comandato di mantenere delle vedette sulle coffe esulle crocetteonde non farsi sorprendere da qualche poderosa fregata.

Egli era ormai certo di essere stato già segnalato su tuttele coste del Nicaraguadopo l'audace impresa di Puerto Limon e non eraimprobabile che qualche porzione della squadra del Messico si fosse messa incerca della Folgore per catturarla o per colarla a picco.

Perciò la massima vigilanza era stata raccomandata a bordoanche dal Corsaro Nero e alla sera veniva raddoppiatamentre si spegnevanotutti i lumianche i fanali di proraper poter navigare con maggior certezzadi non venire sorpresi.

Dieci giorni dopo la partenza da Puerto Limonla Folgore eragiunta felicemente al capo Gracias de Diospunta estrema del Nicaragua.Avvistato quel capola veloce navedopo d'aver fatta una breve comparsadinanzi alla vasta laguna di Caratasca per vedere se si celava qualche squadradi filibustierisi slanciava a tutte vele sciolte nel golfo d'Hondurasimmensainsenatura di forma triangolare che bagna contemporaneamente le coste delYucatan e del Belize a settentrionedel Guatemala all'ovest e dell'Honduras alsud.

Nel momento in cui la navedopo d'aver oltrepassato il capoCameronpuntava sull'isola Bonacail Corsaro Nerosorretto da Yara e daCarmauxcompariva per la prima volta sul ponte.

Le sue ferite s'erano di già quasi rimarginatemercè leassidue cure del medico di bordo e di Carmauxperò era ancora un po' debole edil suo pallore era tale da crederlo di marmo.

Egli si arrestò un momento presso il coronamento delcasserorespirando a pieni polmoni la fresca brezza che soffiava dall'est efissò i suoi occhi verso il capo Cameronin direzione del mare dei Caraibi.Rimase aggrappato al bordo per qualche minutosenza cercare l'appoggio nè diYara nè di Carmauxpoi si sedette o meglio si lasciò cadere su uno dei duepezzi da cacciamentre la giovane indiana si coricava ai suoi piediappoggiandosi ad un rotolo di funi.

Era uno splendido tramontouno di quei tramonti che non sivedono che sulle rive del nostro Mediterraneo o sulle sponde del Golfo delMessico. Il sole scendeva fra una nuvola immensa color di fuocola quale sirifletteva sulla tranquilla superficie del marefacendolo rosseggiare per untratto vastissimo. Pareva che una gran parte dell'orizzonte e del mare ardesserocome se laggiù fossero sorti numerosi vulcani o bruciasse una flotta intera.

La brezzache soffiava da terra portava fino sul ponte dellanave i profumi acuti dei cedri già in fioredei paletuvieri e degli aloè equelli acri dei pini marittimimentre l'aria era così trasparente dapermettere di discernerecon una nitidezza meravigliosale già lontanissimesponde dell'Honduras.

Nessuna vela si scorgeva sull'orizzontenè alcun punto neroche indicasse la presenza di qualche scialuppa. Solamente in alto ed a fiord'acqua si vedevano volteggiare bande di rincopidi fetonti e di corvi di maregrossi come galli e bande di rondoni marini.

La Folgorespinta dalla brezzafilava leggera suquelle acque quasi tranquille e trasparenticivettosamente sbandata sultribordolasciandosi a poppa una scia candidissimache si prolungavaindefinitamente. Pareva un immenso alcione sfiorante la superficie del mare.

«Splendida sera» aveva mormorato il Corsarocome parlandofra sè. «Quanti ricordi mi ridesta questo tramonto!...»

Yara aveva alzato il vezzoso capoguardando con quei suoigrandi occhiripieni d'una tristezza infinitail Corsaro.

«Tu pensi alla fiammingamio signoreè vero?» gli disse.

«Sì» rispose il Corsarocon un sospiro. «Mi ricorda lasera in cui ella mi attese nella mia villaalla Tortue. Ah! quanta felicitàquella sera!... Ma io allora ignoravo ancora che ella fosse la figlia del miopiù mortale nemico.

Stette un momento silenziosocontinuando a guardare il soleche si tuffava lentamente in marementre la grande nube di fuoco si facevarapidamente più pallidapoi continuò:

«Quella sera fu decisa la mia sortepoichè maiprimad'alloraavevo sentito il mio cuore a batterenè mai avevo creduto che unafanciulla potesse apparirmi così bella. Folle!... Io avevo scordato la tristeprofezia della zingara!... Io non avevo voluto prestar fede a quelle funesteparole: La prima donna che tu amerai ti sarà fatalem'aveva detto quellastrega. E se mi è stata fataleio lo so!...»

«Perchè parlare ancora di quella fiammingamio signore?»disse Yara. «Essa ormai è morta ed ha raggiuntoin fondo agli abissi delmarele vittime di suo padre.»

«Morta!...» esclamò il Corsaro. «Nonon può esseremortapoichè anche dopo quella notte ho veduto tornare a galla le salme deimiei fratelli. Nole loro anime non sono state ancora placate.»

«Essi volevano il corpo di Wan Guld e non quello dellafanciulla.»

«L'avranno prestoYara. Fra sei od otto giorni noiincontreremo la squadra comandata da Laurentda Grammont e da Wan Horntre deipiù famosi filibustieri della Tortue.»

«Mio signorevuoi un consiglio?»

«ParlaYara.»

«Andiamo a Vera-Cruz prima che giunga la squadra dei tuoiamici. Se il duca si accorgesse che i filibustieri muovono su quella piazzas'affretterebbe a salvarsi nell'interno. Tu sai già che a Gibraltar ed aMaracaibo ti sfuggì prima della capitolazione di quelle due città.»

«È veroYara. Tu conosci Vera-Cruz?»

«Sìmio signoree saprei guidarti con piena sicurezza econdurti anche in un palazzo ove potresti sorprendere il duca.»

«Tu potresti fare questo? - gridò il Corsaro.»

«Io so dove abita la marchesa di Bermejo.»

«Chi è questa marchesa?»

«L'amica del duca» rispose la giovane indiana.«Sorprendere il fiammingo nel suo palazzo sarebbe impossibileessendoguardatogiorno e notteda numerose sentinelle.»

«Mentre dalla marchesa?...»

«Oh! La cosa sarebbe facile» disse Yara. «Una notte sonoentrata anch'io nella stanza della marchesaarrampicandomi su di un albero.»

«Cosa volevi fare?» chiese il Corsaroguardando la giovanecon stupore.

«Uccidere l'assassino di mio padre.»

«Tu!... Così giovane!...»

«L'avrei fatto» disse Yara con accento risoluto.«Disgraziatamente quella sera il duca non si era recato dalla sua amica.»

«E tu sapresti condurmi da quella signora?»

«Sìcavaliere.»

«Morte dell'inferno!» esclamò il Corsaro. «Io andrò acercarlo e lo ucciderò.»

«Ma noi non potremo entrare in molti in città. Verrestiscoperto ed appiccato come i tuoi fratelli.»

«Andremo in pochissimi e fidati. La mia nave ci sbarcheràsu qualche spiaggia desertapoi riprenderà il largo e andrà a raggiungere lasquadra dei filibustieri. Quando essi verranno ad assalire la città io e tu cisaremo già vendicati del duca.»

«Ah! mio signore!» esclamò Yaramentre una viva fiamma leanimava gli occhi.

Il Corsaro si prese il capo fra le mani e si rimise aguardare il mare che a poco a poco si oscurava.

Il sole era allora già scomparso. Le stelle salivanolentamente in cielo mentreverso l'opposto orizzonteuna grande strisciad'argento che sempre più s'allungava indicava il prossimo apparire dell'astronotturno.

La brezza era diventata fresca e sibilava dolcemente fral'attrezzatura della navegonfiando le vele.

Il Corsaro guardava semprespingendo gli sguardi lontanolontanoverso la grande striscia d'argento. Conservava una immobilità assolutaed un silenzio religioso.

Yaraseduta ai suoi piedirispettava quel silenzio.Anch'ella pareva che cercasse qualche cosa sull'infinita distesa del mare.

«Yara» disse ad un tratto il Corsaroscuotendosi. «Vedinulla laggiùin mezzo alla luce che la luna proietta sulle acque?»

«Nomio signore» rispose la giovane indiana.

«Non vedi tu un punto nero attraversare quella strisciaargentea?»

Yara s'alzò guardando attentamente verso la direzioneindicata dal Corsaroma nulla distinse. Laggiù il mare scintillava come unimmenso specchio leggermente ondulatosenza alcuna macchia oscura.

«Io non vedo» disse la giovane dopo alcuni istanti.

«Eppure io giurerei di aver veduto una scialuppa solcarequello spazio illuminato.»

«È una tua fissazionemio signore.»

«Forse» rispose il Corsarocon un sospiro. «Io la vedosempresempreo alla luce dei lampi od a quella della luna. Quell'apparizionenon la vedo che io soloforse.»

«Che sia lo spirito della fiamminga che erra ancora sulmare?» chiese Yaracon un brivido di terrore.

Il Corsaro non rispose. Si era alzato vivamente e s'eraappoggiato alla murataguardando sempre là dove il mare si confondevacoll'orizzonte.

«È scomparsa» dissedopo alcuni istanti.

«Quel punto nero che tu hai veduto poteva essere qualchesqualomio signore.»

«Sì uno squaloun cetaceo od un rottame» disse ilCorsaro. «Anche Morgan dice sempre cosìeppure sono convinto che si tratta diben d'altro. Orsùdimentichiamo!»

Si era scostato e si era messo a passeggiare pel casseroaspirando con una certa voluttà l'aria fresca della notte.

Yara invece era rimasta sedutacolla testa nascosta fra lemani. Ad un tratto Morgan s'accostò vivamente al Corsarodicendogli:»

«Avete scorto nullacavaliere?»

«NoMorgan.»

«Ho veduto dei punti luminosi brillare sulla lineadell'orizzonte.»

«Molti?»

«Molticavaliere.»

«Qualche squadra naviga forse al largo?»

«Lo sospetto.»

«Che sia quella del Messico?... Brutto incontro in talemomento.»

«La vostra nave è rapidasignoree può sfidareimpunemente le pesanti fregate spagnuole.»

«Vediamo» disse il Corsarodopo qualche istante.

Prese il cannocchiale che il luogotenente gli porgeva e lopuntò verso l'estscrutando attentamente l'orizzonte.

Dei punti luminosidisposti a due a due come i fanaliregolamentari delle navifilavano sui fluttiad una distanza di dodici oquindici miglia.

«Sì» dissestaccando dagli occhi l'istrumento. «È unasquadra che passa al largo. Fortunatamente noi navighiamo coi fanali spenti.»

«Credete che sia veramente la squadra del Messico?»

«Sìsignor Morgan. Forse l'ammiraglio che la comanda haavuto notizia del nostro approdo a Puerto Limon e della comparsa di una navesospetta sulle spiagge di Costarica e ci cerca.»

«Va verso il sudcapitano?»

«Sìe quando giungerà a Puerto Limonnoi avremo giàlasciate le coste del Yucatan. Andatecercatemi pureio vi aspetto aVera-Cruzed allora non saremo soliè vero signor Morgan?»

«Ci saranno gli altri.»

L'indomani la Folgoreche aveva navigatocostantemente verso il nord-nord-ovestavvistava l'isola Bonacaterra quasideserta in quell'epocaessendo abitata da pochissimi indianiperò ifilibustieri si tennero molto al largo per tema di incontrarepresso quellespiaggequalche veliero. Il Corsaro Nero che ormai abbandonava di rado lacopertaessendo quasi completamente guaritolanciò la Folgore verso ilnordvolendo evitare le coste dell'Honduras che erano pure state occupate daglispagnuoli. La Baia dell'Ascensione non era ormai molto lontana. Inquarantott'ore e forse menoquella rapida nave vi poteva giungere e senzaaffaticare troppo l'equipaggiotanto più che il vento non accennava a cambiaree che la corrente del Gulf Stream aumentava di celerità.

Le speranze del Corsaro non andarono deluse. Quarant'ore dopola filibustiera avvistava un piccolo legno navigante a cinquanta o sessantamiglia dalla baia. Era un esploratore mandato al largo dai capi filibustieri.Appena accortosi della presenza della Folgoresi diresse rapidamenteverso di essafacendo segnali a bandiera e sparando due colpi in bianco.

«Ci aspettavano» disse il Corsaro a Morgan. «Speriamo chela squadra sia tanto numerosa da poter affrontare anche le fregate del vicerèdel Messico.»

«Ci saranno tutti i nostri amici» rispose il luogotenente.

Qualche tempo dopo il Corsaroguardando attentamente lapiccola nave che s'avvicinava correndo bordatedisse:

«È la Marignana che ci viene incontro.

«E porta sul corno i colori di Grammontdi Laurent e di WanHorn» aggiunse Morgan.

«Sìi tre audaci filibustieri sono a bordo» rispose ilCorsaro. «Ci fanno l'onore d'una loro visita in alto mare. Bisogna credere checi abbiano scorti ben da lontanoper lasciare la baia su così piccola nave.Signor Morganfate mettere la nostra nave in panna e prepariamoci a riceveredegnamente questi preziosi alleati.»

La Marignana era allora a tre o quattrocento metri esi era pure messa attraverso il vento. L'equipaggio stava allora calando in mareuna baleniera.

«Tutti gli uomini in coperta!» tuonò il Corsaro.

I centoventi filibustieri che formavano l'equipaggio della Folgoresi disposero lungo le due muratesu di una doppia filain assetto dicombattimentomentre Carmaux e Moko portavano sul cassero parecchie bottiglie edei bicchieri. La baleniera s'era già staccata dalla Marignana e avevapuntata la prora verso la Folgore. La montavano dodici marinai armati difucilie tre filibustieri che portavano ampi cappelli adorni di piume dipappagallo.

Il Corsaro Nero fece abbassare la scala d'onore di babordo escese fino alla piccola piattaformadicendo:

«Siate i benvenuti a bordo della mia Folgore.»

I tre filibustieri erano già balzati agilmente sullapiattaformatendendo le loro destre al Corsaro.

«Cavalieresiamo lieti di rivedervi» aveva detto uno deitre.

«Ed anch'ioGrammont. Saliteamici.»

 

 

Capitolo XI

LA SQUADRA DEI FILIBUSTIERI

 

Fra i più famosi corsari della Tortueun bel posto spetta aquesti tre arditi filibustieri che si chiamano GrammontLaurent e Wan Hornunitisi al Corsaro Nero per tentare la presa ed il saccheggio di Vera-Cruzunadelle più importanti e delle più ricche città del Messico.

Pochi forse avevano dato prove di valore e di audacia comequesti. Se non salirono in grandissima fama come l'Olonesecome Montbar loSterminatorecome Morgan che doveva più tardicon una temerità incredibileespugnare e saccheggiare Panamacome SharpHarris e Sawkins che per tanti annifurono i padroni dell'Oceano Pacifico e che scorazzarono perfino sotto le costedel Perùpure ebbero un bellissimo posto nella storia della filibusteria.

Wan Horn era brabanteseGrammont era un gentiluomo franceseandato in America per odio contro gli spagnuolie Laurent de-Graff olandese.

Il primo aveva cominciata la sua carriera come semplicemarinaioperò ben presto era diventato un timoniere famoso.

Raccolte poche centinaia di piastreaveva comperatofinalmente un piccolo legno corseggiando per proprio contoin unione ad unabanda di disperati.

Essendo in quel tempo scoppiata la guerra fra l'Olanda e laFranciaaveva dato addosso alle navi della prima nazione con tanto accanimentoda farsi molto notare e stimare.

Cessata la guerranon ostante i trattatiaveva continuato acorseggiare nelle acque della Manicanon risparmiando che le navi francesimapoiincoraggiato da tanti successiaveva osato assaltare anche quelle delproprio paesemettendosi così in guerra con tutte le nazioni marinareschedell'Europa settentrionale.

Un giorno una nave da guerra francesemandata in sua cercaperchè lo catturasselo incontra e gli intima la resa incondizionata.

Wan Horn non si spaventa affatto dell'enorme superioritàdell'avversario. Con un'audacia incredibile si reca a bordo della fregatafrancese e si finge altamente meravigliato del procedere del comandantegiurando solennemente di aver sempre rispettate le navi di bandiera francese efacendo capire che i suoi uomini non si sarebbero arresi senza asprocombattimento e che il suo luogotenente era uomo da disputare lungo tempo lavittoria.

Il comandantesapendo con quale canaglia risoluta aveva dafare e non volendo compromettere la sua nave in una simile lottalascia liberoWan Horn.

Il brabantesecomprendendo che ormai spirava cattiva ariaper lui sulla Manicasul mare del Nord e nel mare di Biscagliaattraversal'Atlantico e veleggia verso Portorico coll'idea già fissa di corseggiare adanno degli spagnuoli.

Ardeva allora la guerra fra la Spagna e la Francia. Wan Horngià molto conosciuto anche in America per le sue antecedenti inpreseentra inSan Juan al suono di trombe e di tamburioffrendo i suoi servigi al governatoredell'isola. Egli viene subito accettato e lo s'incarica di scortare i galeonicarichi d'oro che dovevano attraversare l'Atlantico.

Era l'occasione attesa dall'ardito corsaro. Alla primatempesta si getta su due dei più ricchi che erano stati separati dal grossodella squadrali saccheggia e fugge trionfante alla Tortue mettendosi sotto laprotezione dei Fratelli della Costa.

Grammont eracome fu dettoun gentiluomo franceseil qualeaveva servito già parecchio tempoin qualità di capitanonella flotta diLuigi XIV.

Non essendovi allora guerra in Europaattraversa purel'Atlantico ed avendo perduto il suo legno armato in corsadi cui aveva perreale patente il comandosi unisce ai filibustieri della Tortue e consettecento uomini va ad assalire prima Maracaibo e quindi Torilhaperdendomolta gente con poco frutto.

Un anno dopo con soli cent'ottanta uomini va a bombardarePorto Cavallocittà situata sulle coste di Cumanadistrugge i poderosi fortiche la difendonoentra in città sostenendocon soli quarantasette uominil'assalto della numerosa guarnigione spagnuola e si ritira a bordo delle suenavi conducendo centocinquanta prigionierifra cui il governatore e portandoseco ingenti tesori. Disgraziatamente un uragano sorprende la sua squadra nellabaia di Goavegli caccia a fondo gran parte delle navi e perde ancora il fruttodi quell'ardua impresa.

Laurentinveceera stato dapprima ai servigi della Spagnaed aveva fatta aspra guerra ai filibustiericatturando molte delle loro navi.Vinto finalmente dai suoi nemici e costretto a decidersi fra la morte e la vitaa condizionein questo casodi unirsi ai suoi vincitorida uomo pratico avevaaccettato di buon grado l'offertadiventando in breve tempo il terrore dei suoiantichi protettori ed alleati.

Fra le tante meravigliose imprese tentate da costui in dannodegli spagnuolinarrasi anche la seguente.

Trovatosi improvvisamenteun brutto mattinofra duepoderose fregate spagnuoleinvece di arrendersitenta audacemente labattaglia. Coi suoi moschettieri abbatte quanti spagnuoli si mostrano sul pontedelle fregatepoi con una ben aggiustata cannonata fracassa l'albero maestrodella nave ammiraglia e fugge indisturbato alla Tortue.

Un'altra ancora. Presso Cartagena tre navi spagnuolespeditegli incontro dal governatorevanno ad assalirlo. Laurent non si sgomentaed impegna la lotta. Durante il combattimento alcune navi filibustiereattirateda quel furioso rombare delle artiglierieaccorrono in suo aiuto.

Le navi spagnuoledubitando della vittoriacercano diritirarsima Laurent non ne lascia loro il tempo e assalitele a sua volta leespugna tutte tredopo di aver fatto orribile strage degli equipaggi.

Ecco quali erano gli uomini che nel 1683 si erano accordaticol Corsaro Nero per tentare l'impresa più ardita fino allora ideata daifilibustieri della Tortuecioè l'espugnazione ed il saccheggio della fortepiazza di Vera-Cruz.

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . . . .

I tre filibustieri salirono sul cassero preceduti dal CorsaroNero e seguiti da Morgan e dal mastro d'equipaggio.

Erano tre tipi molto diversiessendo di razze pure diverse.Grammont aveva l'aspetto distinto del gentiluomo e la corporatura slanciata delcavaliere di Ventimiglia; Laurent era invece un uomo di statura tozzamoltobrunoe molto muscolosovero tipo di marinaio; Wan Horn era di staturaaltissimacon spalle molto larghecapelli biondiocchi azzurri e carnagioneroseail vero tipo della flemmatica e poderosa razza anglo-sassone.

Vuotarono alcuni bicchieri colmi di squisito vino spagnuoloche Carmaux aveva empitipoi Grammontche era il più loquacedisse:

«Ed oracavaliereci direte cosa avete fatto a PuertoLimon. Eravamo molto inquieti non vedendovi giungere alla baia.»

«Ho dovuto sostenere l'attacco di due fregate e per poco nonsiamo rimasti bloccati nel porto- rispose il Corsaro. «Come però vedetelamia Folgore è uscita da quel pericolo quasi senza danni.»

«Non mi sarei mai consolato se avessi veduto la vostra bellanave disalberata. E Wan Guld?»

«È a Vera-Cruzamici.»

«Allora noi vi vendicheremo» dissero Laurent e Wan Horn.

«Grazieamici. È forte la vostra squadra?»

«Conta quindici navi con milleduecento uomini diequipaggio.»

Una ruga si disegnò sulla fronte del Corsaro.

«Non saremo in troppi» disse. «So che a Vera-Cruz vi sonooltre tremila soldati ea quel che si dicetutti agguerriti.

«Lo sappiamo» disse Grammont.

«Senza poi contare che dovremo espugnare il forte di S.Giovanni de Luz che è armato di sessanta cannoni e difeso da ottocentouomini.»

«Noi stiamo per giuocare una carta tremenda» disse WanHorn«Avete fatto il vostro piano?

«Si tratta di sorprendere la piazza. Noi sbarcheremo inostri equipaggi a poche miglia dal porto e ci accosteremo attraverso iboschi.»

«Ed io sarò là a guidarvi alla vittoria.»

«Cosa volete direcavaliere?» chiese Grammont.

«Che io vi precederò e che vi aspetterò entro la piazza.»

«Vi farete prendere...»

«Al contrariosarò io che prenderò qualcuno.»

«Il duca?»

«Sìsignor di Grammont. La Folgore che è piùveloce dei vostri legnimi condurrà fino alla costapoi tornerà araggiungervi onde prestarvi mano forte nel caso d'un attacco da parte dellasquadra del Messico. Non preoccupatevi di me: ci troveremo a Vera-Cruz.

«E andrete solo?» chiesero i tre filibustieri.

«Con pochissimi uominifidati e d'un coraggio a tuttaprova.»

«Coi tre fracassoni» disse Wan Horn. «Conosco il valoredi Carmauxdi Moko e di Wan Stiller.»

«Sìcon essi» rispose il Corsarosorridendo.

«Cavalierevolete un consiglio?» chiese Grammont. «Venitecon noi e rinunciate ad una simile impresa che può ben chiamarsi una pazzia.»

«È impossibilesignor di Grammont» rispose il Corsarocon tono reciso. «Quell'uomo sarebbe capace di sfuggirmi come già fece aMaracaiboed a Gibraltarquando io e l'Olonese assalimmo quelle due piazze.»

«Ma badate che...»

«Perdereste inutilmente il vostro temposignor di Grammont.Sono risoluto e non mi arrenderei a nessun consiglio.»

«Dove potremo ritrovare la vostra nave? - chiese Wan Horn.

«Incrocerà nel Golfo di Campèche dinanzi alle spiagge diTabasco. E voiquando partirete? Cercate di affrettarvi perchè temo che la miaavventura di Puerto Limon abbia già fatta molta strada.»

«Salperemo fra una settimana» disse Grammont.

«Vi auguro buona fortuna.»

«L'auguriamo noi a voicavaliere- disse Wan Horn. «Diovi tenga lontano dai cattivi incontri.»

«Grazieamici: ci rivedremo in Vera-Cruz.»

Vuotarono alcuni bicchieri ancorapoi i tre filibustierilasciarono il cassero dirigendosi verso la scala d'onore. Strinsero un'ultimavolta la mano al Corsaro quindi scesero nella loro balenieraprendendorapidamente il largo. Quasi nel medesimo tempo la Folgore si rimetteva alventoriprendendo la corsa verso il nord onde superare il capo Catoche cheforma l'estrema punta del Yucatan.

Il Corsaro era rimasto appoggiato alla murata di babordo eguardava la baleniera che stava per accostare la Marignana. Pareva assaipensieroso e preoccupato e non si era accorto che Yara le si era messa a fianco.

«A che cosa pensa il mio signore? - chiese timidamente lagiovane indiana.

Udendo quella voce il Corsaro si scossepoiprendendo lagiovane per un braccioindicandole la balenierale disse:

«Ecco i vendicatori di tuo padre.

«Verranno anche essi a Vera-Cruzmio signore?

«SìYarae quegli uomini sono capaci di sterminare tuttigli spagnuoli di Vera-Cruzcome il duca ed i suoi sicari hanno sterminato latua tribù. Guarda laggiùattraverso quello stretto che s'inoltra entro terra:non vedi tutti quegli alberi e quelle antenne?»

«Sìcavaliere.»

«È la squadra dei filibustieri della Tortue.»

«Molto forte?...»

«E molto tremendaYara.»

«Dunque tornerete a corseggiare il mare anche dopo vendicatii vostri fratelli?» gli chiese bruscamente Morgan che gli si era avvicinato.

«Chi sa» rispose il Corsaro.

Poidopo un breve silenzioriprese:

«Dopo vendicatoho ancora una missione da compiere e nonlascerò le acque del gran golfo senza averla condotta a termine. Chi mi hadetto che ella sia proprio morta?»

«Anche se la fiamminga fosse vivatutto sarebbe finito fralei e voisignore» disse Morgan. «Fra voi ci sarebbe il cadavere di suopadre.

«E quelli dei vostri fratelli» disse Yara con un sordosinghiozzo.

Il Corsaro guardò la giovane indiana che si era ripiegata susè stessa come se cercasse di nascondere il volto.

«Tu piangiYara» le dissecon voce dolce. «Non ti piacech'io parli della duchessa fiamminga.»

«Nomio signore» rispose la giovane con un filo di voce.

Il Corsaro si curvò su di leidicendole con voce triste:

L'indomani la Folgoredopo di aver costeggiato lespiagge orientali del Yucatane d'aver attraversata felicemente l'isola diCozumelgiungeva al capo Catoche. Essendovi molte probabilità d'incontraredelle navi spagnuole in quei paraggiin causa della vicina isola di Cubala Folgoresi tenne in mezzo al canale di Yucatanper poter meglio prendere il largoin caso di pericolo. Premeva poi soprattutto al Corsaro di non farsi vedere inquelle acqueonde non si sospettasse della vera rotta della sua nave e qualcunocorresse ad avvertire le città marittime del Messico e del Campèche e lemettesse in guardia.

La traversata del canale di Yucatan si compì fortunatamentesenza cattivi incontri e la notte successiva la Folgore veleggiava lungole coste settentrionali della grande penisoladiretta verso il Golfo diCampèche o di Campeggio che dir si voglia.

Già il Corsaro e Morgan credevano di poter giungereinosservati sulle spiagge del Messicoquando il quarto giorno dopo il passaggiodello strettoall'altezza dell'ampia laguna di Terminos'accorsero dellapresenza d'una vela.

«È una nave che viene probabilmente da Cuba» aveva dettoMorgan al Corsaro Nero.

«O che sia qualche legno incaricato di sorvegliare le nostremosse?» aveva risposto il signor di Ventimiglia che era diventato pensieroso.

«Che siamo già stati segnalati?»

«Voi sapete che gli spagnuoli si tengono costantemente inguardia per evitare di farsi sorprendere dai filibustieri della Tortue. Voleteche proviamo se quella nave ha realmente l'intenzione di spiarci?»

«Cambiando rotta?»

«Sì e rimontando al nordossia fingendo di riprendere illargo.»

«Proviamocavaliere. Se quella nave riesce ad indovinare lanostra direzionei nostri compagni troveranno Vera-Cruz in armi e laguarnigione triplicata.»

«Fra due ore sarà notte e noi faremo rotta falsasignorMorgan. Intanto andiamo a spiare le mosse di quel legno»

Lasciarono il cassero e si issarono fino alla coffadell'albero maestro per abbracciare maggior orizzonte. Il Corsaro puntò ilcannocchiale ed osservòcon estrema attenzionela vela segnalata.

«Signor Morgan» dissealcuni istanti dopo. «Siamo moltolontani da quello spioneperò io sono certo di non ingannarmi.»

«Cosa volete direcavaliere?»

«Che la nave che ci segue è tale da poterci creare deigravi fastidii.»

«Un vascello grosso dunque?»

«Forse una fregata.»

Ridiscesero in coperta e diedero ordine al pilota di cambiarerottamettendo la prora verso il nord come per far credere che puntassero versola Luigiana.

La Folgore virò lestamente di bordo ed essendo anziil vento più favorevole per quella nuova direziones'allontanò velocementevoltando la poppa alla costa yucatanese.

Il Corsaro e Morgan si erano rimessi in vedetta sul casseromandando alcuni gabbieri sulle crocette del trinchetto e della maestramunitidi ottimi cannocchiali. La vela segnalatacontrariamente a tutte le previsioniaveva continuata la sua corsa verso il Golfo di Campèchenondimeno non sipoteva prestare cieca fede.

La nottescesa qualche ora dopomise fine alleinvestigazioni del Corsaro e di Morganperò nè l'uno nè l'altroabbandonarono la coperta temendo qualche brutta sorpresaanzi feceroraddoppiare gli uomini di guardia e caricare i cannoni.

Era già suonata la mezzanottequando fra la profondaoscurità che regnava sul mare fu segnalato un punto luminosoil quale spiccavanettamente sulla linea dell'orizzonte. Non poteva essere una stellaessendo ilcielo coperto da una fitta nuvolaglia alzatasi poco prima del tramonto; dovevatrattarsi d'un fanale appartenente ad una nave.

«Siamo seguiti» aveva detto Morgan al Corsaro Neroilqualecurvo sulla murata poppierascrutava attentamente l'orizzonte.

«Sì» disse questi. «Ormai non ho più alcun dubbio; noisignor Morgansiamo spiati e fors'anche inseguiti.

«Ciò è gravecapitano. Quella nave minaccia dicompromettere la nostra spedizione. Che farecavaliere?»

Il Corsaro Nero era rimasto silenzioso. Appoggiato allamuratacontinuava a fissare il fanale il quale seguiva esattamente la rottadella Folgore.

«Noi siamo uomini che non abbiamo mai contati i nostrinemici. Prepariamoci a mostrare a quella nave la nostra bandiera al balenardelle nostre artiglierie.»

«E se ci sfuggisse? Pensatesignoreche se riesce atoccare le coste del Messico noi dovremo rinunciare all'impresa audace.»

«La mia nave è troppo rapida per non raggiungere un velierospagnuolo. Fate calare in mare le sei baleniere e scegliete ottanta dei piùcoraggiosi uomini del nostro equipaggio.

«Volete assalire quella fregata colle scialuppe? - chieseMorgancon stupore.

«Sìma quando noi avremo disalberata quella nave.Sbrigatevi signor Morgan. Dobbiamo approfittare della notte per sorprendere glispagnuoli e prenderli fra due fuochi.

A voi le baleniere; a me la Folgore.»

«I vostri ordini?»

«Ve li darò all'ultimo momento. Andate.»

Pochi minuti dopo la Folgore si metteva in pannamentre le sei baleniere venivano calate in acqua. Ottanta uominiscelti daMorgan fra i più valorosis'erano affrettati a prendere posto fra quei piccolie veloci galleggiantiportando seco fucilisciabole d'arrembaggio e pistole.Il Corsaro Nerodurante quei preparativi non aveva abbandonata la muratapoppiera; guardava sempre la nave nemica la quale si accostava velocementeseguendocon una precisione incredibilela rotta della Folgore.

Quando tutti gli uomini furono imbarcatiMorgan gli siaccostò:

«Attendo i vostri ordinisignore. -

Il Corsaro Nero si volse lentamentepoi additandogli ilpunto luminosodisse:

«Lo vedete?»

«Sìcavaliere.»

«Io rimarrò qui ed illuminerò la nave; voi vi porterete allargo tenendovi nascosto. Quando vedrete quella nave impegnata con meviaccosterete tacitamente colle scialuppe e darete un fulmineo abbordaggio.»

«Impresa arditissima.»

«Ma di riuscita sicurasignor Morgan.»

«Contate su di mecapitano.»

«Andate e che Dio vi assista.»

«Graziecavaliere.»

Subito dopo le sei baleniere si allontanavano a forza diremiscomparendo fra le tenebre.

Il Corsaro stava per salire sul ponte quando si videcomparire dinanzi un'ombra.

«Yara» disse«Cosa fai qui?...»

«Mio signorecosa succede?» chiese la giovane indiana.

«Lo vedi: siamo inseguiti.»

«Dagli spagnuoli?»

«SìYara.»

«E voi?»

«Mi preparo a difendermi. Fra pochi minuti qui tuoneranno leartiglierie e si combatterà fieramente. Ritorna nella tua cabina Yara; quiregna la morte.»

«Uomini del mare!...» tuonò poscia. «Accendete i fanali epreparatevi a fulminare la nave che c'insegue!»

La notte oscurissima permetteva di distinguere un puntoluminoso qualsiasi che scintillasse sulla tenebrosa superficie del mare.

Nell'ampio Golfo di Campèche regnava una calma quasiassoluta. Solamente qualche rarissima onda veniva ad infrangersicon un sordo eprolungato fragorecontro i fianchi della Folgore rimasta quasi immobilesui flutti nerissimi.

Anche il vento era scemato e soffiava debolmentecon certistrani gemitifra i mille cordami dell'attrezzatura.

I quaranta uomini rimasti a bordo della nave corsara avevanoraggiunti i loro posti di combattimento. Nelle mani degli artiglierifiammeggiavano le miccespandendo all'intorno una vaga luce.

Il Corsaro Neroritto sul casserospiccava stranamente allaluce dei due grandi fanali accesi a poppauno a babordo ed uno a tribordo.Tutto vestito di nero come eracon quella lunga piuma nera che gli scendevadietro l'ampio feltroaveva un aspetto pauroso. Pareva il genio del mare sortodagli abissi del liquido elemento per scatenare una tremenda tempesta. Gliuomini della manovracoi bracci delle vele in manolo osservavanopronti adorientare le vele e virare di bordomentre gli artiglieri dei pezzi da cacciaattendevano un suo comando per rovesciare sulla nave avversaria uragani di ferroe di mitraglia.

«Carmaux» chiese ad un tratto il Corsarovolgendosi versoil fido marinaio che gli si era collocato a fianco assieme a Wan Stiller. «Vedile scialuppe?»

«Sìcapitano» rispose l'interpellato. «Navigano versoquel punto luminosoperò fra qualche istante non saranno più visibili.»

«A quale distanza credi che sia la nave che ci dà lacaccia?»

«A milleduecento passicapitano.»

«Lasciamola accostare ancora. Saremo più sicuri del nostrotiro.»

Si alzò quanto era lungo evolgendosi verso i suoi uominigridò: «Pronti a rimettervi al vento! Si assale!»

La Folgoreche fino allora era rimasta quasiimmobilevirò quasi sul posto e s'avanzò incontro alla nave avversariacorrendo piccole bordateavendo il vento sfavorevole.

Il Corsaro Nero teneva sempre il timone e guardava la navenemica la quale s'accostava di già con una certa precauzioneavendo ormaiscorti i fanali della Folgore.

La distanza spariva rapidamente. Alle una la nave spagnuolanon si trovava più che a trecento passi e manovrava in modo da passare sultribordo della nave filibustiera.

Ad un tratto una voce echeggiò al largoportata dal ventoche soffiava dal sud.

«Chi vive?»

«Che nessuno risponda!» comandò il Corsaro.

Quindi imboccando il portavoce gridò con quanta forza avevanei polmoni:»

«España!»

«Fermatevi!»

«Chi siete voi?»

«Fregata spagnuola!»

«Accosta!...» gridò il Corsaro.

Gli artiglieri dei due pezzi da caccia s'erano voltati versoil Corsarointerrogandolo collo sguardo.

«Aspettiamo» rispose questi.

Guardò al largoma l'oscurità era tale da non permetterepiù di distinguere le sei baleniere.

«Possiamo cominciare» mormorò. «Al momento opportunoMorgan farà la sua comparsa. Ohè!... Fuoco!...»

Successe un breve silenziorotto solamente dal sibilare delventicello notturno e dal cupo mormorio dei flutti rompentisi contro la prorapoi due lampi illuminarono bruscamente il cassero della Folgoreseguitida due formidabili detonazioni.

Un assordante clamore si alzò a bordo della nave nemica aquell'inaspettato saluto.

«Tradimento!... Tradimento!...» urlavano gli spagnuoli.

Il Corsaro Nero si era curvato sulla murata sperando di poterdistinguere ciò che succedeva a bordo della fregatama l'oscurità era troppofitta per permetterglielo.

«Vedremo più tardi se le nostre palle hanno causato deidanni- mormorò.

Riafferrò la ribolla del timonegridando:

«In caccia!»

La Folgore aveva virato di bordo presentando la proraalla nave nemica. Essa non intendeva di fuggirebensì d'abbordare per potermeglio soccorrere le baleniere.

Aveva appena ripresa la corsaquando la fregata avvampò conun rimbombo orrendo. Alcune palle sfondarono la murata poppieramentre altrepassavano sibilando raucamente al di sopra della toldaforando vele e recidendonon pochi cavi.

Qualcuna si sprofondò nella carenasopra il livello d'acquafortunatamente.

«Che musica!» esclamò Carmauxche per poco non era statospezzato in due da quella pioggia di proiettili. «La spagnuola ci darà dafare!»

In quel momento di udì il Corsaro Nero a mandare un grido dicollera.

«Ah!... Cerca di sfuggirci!...»

La fregatadopo quella prima scaricainvece di aspettare laFolgoreaveva virato di bordo mettendo la prora verso la costa diCampèche.

Essa rifiutava il combattimento e cercava di salvarsi inqualche porto del Messico. Probabilmente non fuggiva per paurabensì percorrere ad avvertire le guarnigioni delle città costiere della presenza d'unanave corsara e metterle in guardia.

«Bisogna impedire che ci sfugga o dovremo abbandonarel'impresa di Vera-Cruz» aveva detto il Corsaro.

Poi aveva gridato:

«Pronti per la manovra! Noi le taglieremo il passo!»

La Folgore con due bordate si era portata al largoappoggiando verso l'ovestin modo da frapporsi fra la fregata e la costaamericana.

Quella manovra era stata compiuta con tale avvedutezza erapidità che quando la nave spagnuola cercò di tornare al ventovide sorgersidinanzi la prora acuta della Folgore.

«Alto là!... Qui non si passa!» gridò Carmaux.

La fregatavedendosi chiuso il passosi era arrestata comeindecisa sul da farsipoi tutto d'un tratto si coprì di fumo e di fiamme. Glispagnuolicomprendendo ormai di non poter lottare in celerità colla navefilibustieraavevano accettata risolutamente la lotta colla speranza diguadagnare una splendida vittoria o di forzare il passo. La loro superioritànumericale loro artiglierie più numerose di quelle della nave avversaria e lamole enorme del loro vascello potevano pesare molto sull'esito della battaglia.Il Corsaro Nero però non erasi per questo sgomentato. Egli contava moltosull'abilità dei suoi marinaiartiglierie fucilieria nessuno secondi esopratutto sulle baleniere guidate da Morgan.

«Fuoco a volontà!» aveva gridato. «Noi abborderemo laspagnuola!»

Le due navi tuonavano con pari vigorealternando scariche dimitraglia e granate.

La fregatache portava un'artiglieria due volte piùnumerosa di quella della Folgoreaveva buon giuoco in quel tremendoduello e batteva furiosamente il ponte della nave avversaria e la velatura.

Tuttavia la Folgore non retrocedevaanzi continuavale sue bordate per accostarsi alla nave spagnuola e gettarsi addosso al momentoopportuno.

La voce del Corsaro Nero echeggiava senza posadominandotalvolta il rimbombo delle artiglierie ed il crepitìo della moschetteria.

«Tenete fermo!... Fuoco sul ponte!... Mirate l'alberatura!»

I suoi uomininonostante le tremende scariche di mitraglia el'incessante scoppio delle granatenon si perdevano d'animo e tuttigareggiavano per infliggere alla fregata i maggiori danni.

I migliori archibugieriinerpicatisi sulle coffe e sullecrocettetempestavano il ponte della spagnuola con quella precisione matematicache ha reso celebri quei fieri scorridori del mare. Le loro palle abbattevanosemprefacendo specialmente strage fra gli uomini incaricati del servizio deipezzi del cassero.

La battaglia durava da un quarto d'oracon gravi danni dauna parte e dall'altraquando tutto d'un tratto si udì al largo un clamoreassordante.

«Avanti uomini del mare!» aveva urlato una voce.

Il Corsaro Nero aveva fatto un balzo innanziesclamando:

«Morgan!»

Abbandonò la ribolla del timone a Carmaux e si slanciòverso la murata. Fra il lampeggiare delle artiglierie nemiche aveva scortoconfusamente delle scialuppe a pochi passi dalla fregata.

«Coraggiouomini del mare!» tuonò. «I nostri uominiabbordano la spagnuola!»

In quel momento urla terribili scoppiano a bordo della navenemica mentre la moschetteria diventa assordante. Dei lampi s'alzano fra i neriflutti e delle forme umane si agitano al disotto delle batterie fiammeggianti.

«Fuoco di bordata!» urlò il Corsaro. «Poi avanti perl'abbordaggio!»

 

 

Capitolo XII

UN TERRIBILE ABBORDAGGIO

 

Le sei baleniere guidate da Morganappena abbandonata la Folgoresi erano portate al largomuovendo lentamente verso la nave spagnuola.

La profonda oscurità favoriva quell'audace manovra poichè inemici non potevano nemmeno sospettare la presenza di quella minuscolaflottiglia navigante su quei flutti neri come l'inchiostro.

Allo scopo di non correre il pericolo di farsi urtaredall'una o dall'altra navecosa non improbabilenon avendo quei due velieriuna rotta ben prefissa e che poteva di momento in momento modificarsi secondo levicende del combattimentodopo aver percorso un miglioMorgan aveva dato ilsegnale di arrestarsi. La nave spagnuola non era lontana più di sette odottocento metrispazio brevissimo che quelle rapide baleniere potevanoattraversare in pochi minuti.

Essendo il mare tranquillissimoMorgan poteva udiredistintamente i comandi che si davano a bordo della nave nemicaperciò avevaraccomandato ai suoi uomini il silenzio più profondo onde non tradire la loropresenza a così breve distanza.

La fregatadopo l'inutile tentativo per prendere il largo efuggire verso le coste del Messicocome già narrammoaveva impegnatarisolutamente la lottacontando sulla supremazia delle proprie artiglierie eanche sul numero dei proprii uomini. I filibustieri avevano così assistito aquel primo duello d'artiglieriapiù rumoroso che dannosonon potendo i dueavversarii scorgersi perfettamentema con quanta ansietà per quegli uomini disangue caldo cresciuti in mezzo alle stragiagli abbordaggi ed al rimbombodelle artiglierie!

Ad ogni scarica della Folgore balzavano in piedicogli archibugi in pugnofrenando a gran pena gli hurrà che stavano perirromperetremendidalle loro labbra. Ad ogni bordata della fregata spagnuoladigrignavano i denti come fiere in gabbiaimprecando e minacciando colle armi ecoi pugni.

«Andiamosignor Morgan!...» si chiedeva su tutte lebaleniere. «Non possiamo più frenarci.»

«Non ancora» rispondeva con voce tranquilla il futuroconquistatore di Panama.

La battaglia intanto continuava con crescente furore d'ambele parti. Dai sabordi delle due navi uscivano vampate e nuvoloni di fumo i qualialzandosi lentamente celavano le alberature ed i ponti.

Quando Morgan vide che la fregata era completamente avvoltadal fumodiede il segnale di avanzare colla massima velocitàraccomandando dinon far fuoco senza suo ordine.

Era il momento opportuno per tentare l'abbordaggio. Se glispagnuoli non s'accorgevano della presenza di quella flottigliapotevanoconsiderarsi perduti.

«Avanti!...» ripeteva Morganil quale dirigeva la primabaleniera. «Tenetevi sempre sotto-vento così il fumo impedirà agli spagnuolidi vederci.»

Arrancando con gran lenain pochi momenti la squadrigliagiunse a pochi metri dalla navetuffandosi fra i nuvoloni di fumo che la brezzanotturna spingeva sul mare.

Gli spagnuolioccupati a rispondere alle incessanti bordatedella Folgorenon si erano avveduti del gravissimo pericolo che liminacciavatanto più che volgevano le spalle alla flottiglia.

Morgan accortosi di essere giunto sotto la navesi eraalzato di scatto colla spada in pugno. Colla sinistra s'aggrappò allo sportellod'un sabordopoi con una spinta raggiunse una bancazza tenendosi stretto ad unpaterazzo. I quattordici uomini della sua baleniera lo avevano seguitoinerpicandosi come scimmie.

Già stavano per balzare sopra la murata quando un gabbieredella fregata che scendeva lungo le griselle li vide:

«All'armi!...» gridò. «Ci abbordano!...»

«Sufilibustieri!...» tuonò Morgan. «Fuoco quelli dellescialuppe!...»

Una scarica terribile accoglie gli spagnuoli gettandone aterra più di mezzi. Gli altrispaventati e sorpresi da quell'inaspettatoattaccosi ripiegano confusamente disperdendosi per la tolda.

«I filibustieri!... I filibustieri!...» si urladappertutto.

Il comandante della fregata ha veduto il pericolo. Senzaperdersi d'animo fa girare sui loro perni i due cannoni da caccia del casseroche erano già caricati a mitraglia e che stavano per infilare il ponte della Folgore:

«Fuoco sul babordo!...»

Un uragano di ferro e di piombo spazza la murata recidendocontemporaneamente paterazzisartie e bracci di manovra e fracassando dueimbarcazioni che stavano sospese alle grue. Alcuni filibustieri che erano già acavalcioni del capo di banda cadono in mare fulminati o storpiatima gli altripunto atterritiscavalcano rapidamente le murate e si scagliano sul ponteurlando spaventosamente.

Morgansfuggito miracolosamente alla mitragliaè alla lorotesta. Nella destra stringe la spada e colla sinistra impugna una pistola.

«A me filibustieri!» urla.

Gli uomini delle scialuppe scalano a loro volta la nave. Siaggrappano agli sportelli delle batteriealle bancazzealle sartieaipaterazzialle grue e saltano sulle murate. Quindici o ventii miglioribersaglierisono rimasti nelle baleniere e fanno scariche tremende verso ilcassero e sul castello di proracercando di abbattere gli artiglieri addetti alservizio dei pezzi da caccia.

Gli spagnuolialle grida dei loro ufficialisi radunanopresso il cassero e presso il castello di prora e fanno impeto contro ifilibustieriperò la loro posizione si manifesta subito pericolosissimapoichè anche la Folgore si avanza per abbordarli dal lato opposto.

«Avanti!» urla Morgan che è sempre in prima fila.

L'urto è sanguinosissimo. Molti uomini cadono da una parte edall'altra morti o feritima il grosso non retrocedeanzi torna alla caricacon maggior impeto. Dai boccaporti del frapponte salgono nuovi uomini. Gliartiglieri hanno abbandonati i loro pezzidiventati ormai quasi inutili edaccorrono per ricacciare in mare i filibustieri di Morgan e per respingerel'imminente abbordaggio della Folgore.

Le urla dei feritigli spari dei moschetti e delle pistolegli hurrà dei filibustierile grida di Viva España deglispagnuoli ed il rimbombo dei cannoni formano un baccano assordanteorribile.

Tutti gli uomini delle scialuppe sono già sulla tolda dellafregata. Mentre i più valorosi fanno argine all'irrompere degli spagnuolidisputando ferocemente il terreno palmo a palmogli altri salgono sulle sartiee di là aprono un fuoco di moschetteria tremendo che fa dei grandi vuoti fra ilnemico quattro volte più numeroso.

La nave filibustieraabilmente guidatava a spingere il suoalbero di bompresso fra le sartie del trinchetto della spagnuolapoispintadal vento che fa pressione sulle randes'appoggia al bordo della naveavversaria con un cupo rimbombo. Il Corsaro Neroabbandonata la ribolla deltimonebalza in coperta colla spada in pugnogridando con voce tuonante:

«A meuomini del mare!»

I suoi filibustieri lo seguono correndopronti a farsiuccidere per il loro valoroso capo. Non ostante le scariche degli spagnuolibalzano sopra le murate urlando a tutta voce per sparger maggior terrore e perfar credere di essere tre volte più numerosipoi si precipitano sul campodella pugna come una banda di lupi affamati.

La terribile spada del Corsaro Nero apre un solco sanguinosofra la massa dei combattenti. Nessuno può parare i colpi fulminei di quel pugnodi ferro: i nemici cadono a destra ed a mancamorti o moribondi.

«Coraggiomiei prodi!» urla. «A meMorgan!»

Gli spagnuoli presi fra due fuochi e sconcertati dallarapidità di quell'assaltoesitanopoi cominciano a retrocedere parte versopoppa e parte verso prora. Il terrore che incutevano in quell'epoca i corsaridella Tortuereputati figli dell'inferno e perciò uomini invincibiliera taleche sovente gli spagnuoli si lasciavano trucidar senza resistenzacredendoinutile ogni tentativo di lotta. Non era quindi da stupirsi se anchel'equipaggio della fregatadopo d'aver accettata la lotta e cercata lavittoriacominciasse a sbandarsi dinanzi all'impeto tremendo degli avversarii.

Gli uomini di Morgan e quelli del Corsaroriunitisi in mezzoalla toldafra gli alberi di trinchettodi maestra e di mezzanadopo un breverespirosi slanciano nuovamente alla conquista delle due estremità della navementre alcuni di loro si spingono fino alle coffe ed alle crocetteperscagliare granate in mezzo agli spagnuoli.

Alle intimazioni di resagli spagnuoli rispondono conscariche d'archibugi; però tutti comprendono che l'ultima ora sta per suonarepel grande stendardo di Spagnache sventola ancora gloriosamente sopra ilcoronamento di poppa.

Già gran parte degli ufficiali della fregata sono cadutisotto l'infallibile tiro dei bucanieri di Morgan ed anche il comandantedopouna eroica resistenzaè stramazzato alla base dell'albero di mezzanaspentodalla spada terribile del fiero Corsaro.

«Uno sforzo ancora» si grida da tutte le parti.

Il Corsaro Nero attacca a fondo gli spagnuoli del casserodeciso ad ammainare lo stendardo di Spagna. Nessuno osa affrontarlotanto è ilterrore che ispira la sua formidabile spada. La sua sola presenza vale ventiuomini. Gli spagnuoli battono in ritirataprima ancora che i suoi uomini sianogiunti dinanzi alle scale del cassero e fuggono nel quadromentre i lorocamerati che difendevano la prora si riparano nella camera dell'equipaggioinvadendo le corsie del frapponte e delle batterie.

Il Corsaro con un colpo di spada taglia il gherlino e lostendardo di Spagnatrasportato dal ventocade in marescomparendo sotto leonde del Golfo del Messico. Un hurrà immensoche si ripercuote anchenella profondità della stivasaluta quella caduta che segnala un nuovo trionfoper la filibusteria.

«È finita» disse Morgan accostandosi al Corsaroil qualecontemplacon uno sguardo ripieno di cupa tristezzai cadaveri che coprivanola tolda della fregata.

«Sìma quanto sangue!» mormorò il Corsaro con unsospiro. «È terribile dover uccidere uomini che non si odiano.»

«Noi vendichiamo le stragi commesse da Cortezda Pizzarro edai primi conquistatori sui poveri indiani dell'Americasignore» rispondeMorgan.

Il Corsaro crollò silenziosamente il capopoi dopo alcuniistanti di silenzio disse:

«Sono ancora numerosi e non hanno gettate le loro armi.

«Una quarantina dei nostri sono già morti e altri quindicisono stati portati nell'infermeria.»

«Fortunatamente ne troveremo facilmente altrettanti anchesenza tornare alla Tortue. Voi già sapete che tutti i filibustieri sonodesiderosi d'imbarcarsi sulla vostra Folgore e che aspirano a combatteresotto i vostri ordini. Che decidetecavaliere?»

«Cerchiamo d'evitare un nuovo spargimento di sangue.»

«Le vostre condizionicavaliere?»

«Salva la vita a tutti e nessun riscatto.»

Mentre il Corsaro Nero ed il suo luogotenente s'accordavanosul da farsi onde evitare una nuova e forse più sanguinosa battagliaifilibustieri avevano occupate tutte le uscite del quadro e della camera comunedi proraonde impedire agli spagnuoli d'irrompere sulla tolda.

Questi dal canto loro avevano prese delle precauzioni perevitare una sorpresa da parte dei vincitori.

Avevano puntati alcuni cannoni verso la estremità dellecorsiepoi avevano inalzate rapidamente delle trincee formate con botti pienedi zavorracon barili contenenti pallecon lastroni di piombocon materassi econ pennoni ed attrezzi di ricambio.

Erano ancora un'ottantina e anche durante la precipitosaritirata non avevano abbandonate le armi. A quanto pareva non avevano pelmomento alcuna intenzione di arrendersifidando certamente nel loro numero enelle loro artiglierie. Disgraziatamente non avevano ancora pensato che sopra diloro s'apriva il boccaporto maestrodal quale i filibustieri potevano irrompereo cominciare un fuoco infernale. E su quel boccaporto il Corsaro Nero e Morganavevano molto contato.

Il luogotenente si guardò benepel momentodi parlamentareattraverso a quell'ampia apertura. Scese nel quadro e giunto all'estremitàdella corsia s'avanzò intrepidamente nel frapponte.

Subito quattro soldati spagnuoli che stavano a guardia dellabarricata lo presero di mira coi loro archibugi.

«Abbasso le armi!» gridò Morganincrociando le bracciasul petto. «Io non vengo come nemicobensì come parlamentario.»

«Cosa volete?» chiese un soldato.

«Parlare coi vostri capi.»

Un tenente di vascello che si teneva nascosto dietro labarricata si era prontamente alzato.

«Chi vi manda?» chiese con voce irata.

«Il Corsaro Nero» rispose Morgan.

«Voi siete il suo luogotenenteè vero?»

«Ho questo onore.»

«E desiderate?»

«Vengo a intimarvi la resa in nome del cavaliere diVentimiglia.»

«Dite al Corsaro Nero che gli spagnuoli muoionoma che nonsi arrendono mai.»

«Voi avete già fieramente combattuto ed il vostro onore èsalvo» rispose Morgan.»

«Noi siamo pronti a riprendere la lottasignore.»

«Siete già prigionieri.»

«Abbiamo ancora le nostre armi e siamo in molti.»

«Vi concediamo salva la vita senza alcun riscattopecuniario.

«Graziema noi combatteremo fino alla fine» risposefieramente lo spagnuolo.

«Allora vi uccideremo tutti» disse Morgan con voceminacciosa.

«Bastasignore: ritiratevi o comando il fuoco.»

Morgan abbandonò la corsia e rientrò nel quadro. Il CorsaroNero lo aspettava dinanzi al cassero.

«Rifiutanoè vero?» chiese questiscorgendolo.

«Sìcavaliere.»

«Li ammiro e se non fossi certo che mi tradirebbero lilascerei liberi.

«Andrebbero subito a dare l'allarme a Vera-Cruzcavaliere.»

«Lo soMorgan. Intanto fate portare sul ponte alcune cassedi granate.»

Quindi alzando la voce gridò:

«Coraggiomiei prodi! Preparatevi al combattimento.»

 

 

Capitolo XIII

 

LA RESA DELLA FREGATA

 

Pochi minuti dopodue colonneformate ognuna di ventiuomini scelti fra i migliori bersaglieri dell'equipaggioscendevano tacitamentenel quadro e nella camera comunetrincerandosi dietro i mobili e le casse cheerano state ammucchiate all'estremità delle corsie.

Come si può facilmente comprendereil Corsaro Nero nonaveva alcuna intenzione di sacrificarli in un nuovo attaccospecialmente controforze più che doppie; dovevano fare una semplice dimostrazione per richiamaredalla loro parte l'attenzione degli spagnuoli. Il colpo decisivo doveva veniredato dalla parte del boccaporto maestroattorno a cui si erano già radunatitutti gli altri filibustieri.

«Fate molto baccano sopratutto- aveva detto il Corsaro.

Ed il baccano era cominciato subito con un crescendoformidabileassordante. I due drappelliappena appostatisiavevano subitoaperto il fuoco contro le barricate spagnuolefra urla tremendeper farcredere che si incoraggiavano per un assalto generale.

Gli spagnuoli avevano subito risposto vivamentefacendotuonare i pezzi che avevano collocati in mezzo al frapponte. L'effetto di quellescariche a così breve distanza era stato disastroso per la nave.

Le palle e la mitraglia fracassarono in pochi momenti letramezzemassacrando i mobili del quadro e della camera comune. Cadevanospecchicristalli e porcellane con un rovinio assordante e precipitavano quadrie lampadari. I filibustiericoricati al suoloquantunque si sentissero piovereaddosso tutti quei rottaminon si muovevano ed alle cannonate rispondevanocolle archibugiate sparate però a casaccioessendo ormai le corsie invase daun fumo densosoffocante.

Ad un tratto il Corsaro Nero quando già il fumo cominciavaad irrompere attraverso le fessure del pontesi volse verso i suoi uomini cherodevano il frenoimpazienti di prender parte anche essi alla battaglia che sicombatteva sotto i loro piedidicendo:

«Preparate le granate.»

«Sono prontesignore» rispose un quartier-mastro.

«Alzate il boccaporto e non fate risparmio di proiettili.»

Quattro marinai levarono le due sbarre di ferro ed ilboccaporto fu aperto. Subito una fitta nube di fumo bianco sfuggìalzandosiverso i pennoni dell'albero maestro. Al di sotto di quella nuvolaglia sivedevano guizzare lampi e si udivano assordanti detonazioni. Erano i pezzi dellebatterie che tuonavano demolendo e fracassando le due estremità della nave.

Senza attendere che il fumo si dissipassei marinai sidiedero a lanciare granate nel frappontee specialmente là dove vedevanofiammeggiare i pezzi d'artiglieria.

Gli spagnuoli dapprima non si erano accorti dell'apertura delboccaporto in causa del densissimo fumo che circolava nel frappontema quandoudirono lo scoppio delle granate e videro cadere al suolofulminati dalleschegge di quei proiettili mortaliparecchi cameratiabbandonaronoprecipitosamente le artiglieriecorrendo all'impazzata attraverso la batteria.

Quell'inaspettato attacco aveva ormai provocato un panicogravissimo fra le loro file. Anche i più animosi avevano abbandonati i loroposti malgrado le grida dei pochi ufficiali sfuggiti alla strage ed i sagratidei mastri e dei sott'ufficiali. I filibustieri intanto non si erano arrestati.Mentre i due drappelli del quadro e della camera comune continuavano le loroscariche spargendo maggior terrore e confusionequelli della copertascagliavano granate in tutte le direzionicol pericolo di provocare undisastroso incendio.

In mezzo alle urla dei combattentialle grida dei feritiagli scoppi delle granate ed al rombo delle scarichesi levò poderosa la vocedel Corsaro Nero.

«Arrendetevi o vi stermineremo tutti!...»

«Basta!... Basta!...» urlarono cinquanta voci.

La pioggia di bombe cessòcome pure cessarono le scarichedei due drappelli nascosti nel cassero e nella camera comune.

Il Corsaro Nero si curvò sul boccaportoripetendo:

«Arrendetevi o vi stermineremo tutti!»

Una voce s'alzò in mezzo al fumo che ondeggiava nelfrapponte:

«Deponiamo le armi.»

«Mi si mandi un parlamentario.»

Pochi istanti dopo un uomo saliva sul ponte. Era unufficialel'unico superstite di tutto lo stato maggiore della grande nave. Queldisgraziato era pallidocommosso ed aveva le vesti a brani ed un bracciospezzato da una scheggia di granata.

Egli consegnò la sua spada al Corsaro Nerodicendogli convoce semi-spenta: «Siamo stati vinti.»

Il signor di Ventimiglia respinse l'arma che gli venivaoffertadicendo con nobiltà:

«Conservate la vostra spada per una migliore occasionesignor tenente. Voi siete un valoroso!»

«Graziecavaliere» rispose lo spagnuolo. «Dal CorsaroNero m'aspettavo una simile cortesia.»

«Sono un gentiluomosignore.»

«Lo socavaliere. Ed ora cosa farete di noi?»

«Rimarrete prigionieri sulla mia nave fino al termine dellanostra spedizionepoi vi sbarcheremo su qualche punto della costa messicanasenza chiedere alcun riscatto.

«Voi dunque state per intraprendere una spedizione contro lenostre città del Messico?» chiese l'ufficialecon doloroso stupore.

«A questa domanda non vi posso rispondere» rispose ilCorsaro. «È un segreto che non appartiene a me solo.»

Poi prendendolo per un braccio e conducendolo verso poppagli chiese con accento cupo:

«Voi conoscete il duca Wan Guldè vero?»

«Sìcavaliere.»

«Egli si trova a Vera-Cruz?»

Lo spagnuolo lo guardò in volto senza rispondere.

«Io vi ho donata la vitamentre per diritto di guerra avreipotuto cacciarvi in mare assieme a tutti i vostri uomini ed alla vostra navepotete quindi rendere ad un gentiluomo un così lieve favore.»

«Ebbenesìil duca si trova a Vera-Cruz» rispose lospagnuolodopo una breve esitazione.

«Graziesignore» rispose il Corsaro. «Sono lieto diessermi mostrato generoso verso di voi.»

L'ufficiale tornò verso il boccaporto e gridò:

«Deponete le armi: il cavaliere di Ventimiglia concede lavita a tutti!»

I due drappelli di filibustieri guidati da Morgan eranosubito entrati nel frapponte per ricevere le armi.

Quale orribile spettacolo offriva l'interno della fregata!Dappertutto rottami fumantitavoloni sfondatipuntelli infranticannonirovesciatipoi uomini orrendamente scarnati dalle schegge delle granateoprivi delle membra o della testa e dovunque sangue e frammenti di proiettili.Alcuni feriti si trascinavano per le corsie agitando le braccia orrendamentemutilate e sanguinanti e mandando lugubri gemiti.

In mezzo a quel caoscinquanta spagnuolimutipallidicolle vesti a braniattendevano i filibustieri. Tutti gli altri erano cadutisotto quella tremenda pioggia di granate.

Morgan ricevette le loro armicomandò ad alcuni dei suoid'incaricarsi dei feriti e condusse gli altri a bordo della Folgore facendolirinchiudere nella stiva e mettendo alcune sentinelle alle porte.

Visitata la naves'avvide subito che non vi era più nullada sperare da essa. Le scasse degli alberi erano state distruttei tronchierano ormai carbonizzatiil quadro e la camera comune erano stati ridotti ad unammasso di rottami e nella stiva si era sviluppato il fuoco il quale giàprendeva proporzioni gravissime.

«Signore» disse presentandosi al Corsaro Nero. «Lafregata è perduta.»

Al primo colpo di vento l'alberatura rovinerà in coperta eper di più l'incendio guadagna rapidamente.

«Fate portare a bordo della nostra nave quanto può esserciutilepoi abbandoniamola al suo destino- rispose il Corsaro. - Già per noici sarebbe stata più d'impiccio che d'utilità.

Il saccheggio della nave non diede grandi fruttiessendo leartiglierie rovinate. Armi e munizioni furono però imbarcate in gran numero abordo della Folgore assieme alla cassa del capitano contenente ventimilapiastre che furono divise fra l'equipaggio della filibustiera.

A mezzodì la Folgore si rimetteva alla velafrettolosa di raggiungere le coste del Golfo del Messico. La fregata ormaiardeva con rapidità incredibile. Lingue di fuoco e densi nuvoloni di fumosfuggivano attraverso gli sportelli delle batterie ed ai boccaporti minacciandol'alberatura.

Il catrameliquefatto dal calore che si sprigionava sotto ilpontescorreva per la toldacolando in mare attraverso gli ombrinali.

«Peccato che una così bella nave se ne vada» disse ilCorsaro che guardava la fregata dall'alto del cassero della Folgore. «Avrebbepotuto rendere preziosi servigi alla filibusteria.»

«Andrà a picco?» chiese una voce dietro di lui e che avevaun accento terribile.

Il Corsaro si volse e vide la giovane indiana.

«TuYara?» le disse.

«Sìmio signore. Sono salita per assistere all'agonia diquella naveche poco prima apparteneva agli uccisori di mio padre.»

«Quant'odio implacabile vedo scintillare nei tuoi occhi!»disse il Corsaro con un sorriso. «Il tuo odio è pari al mio.»

«Ma tu non odii questi spagnuolimio signore.»

«È veroYara.»

«Se li avessi vintiio li avrei uccisi tutti» disse lafanciulla con accento terribile.

«Hanno già perfino troppi nemiciYara» rispose ilCorsaro. «Le atrocità che hanno commesso i primi conquistatori americani sonostate in gran parte vendicate.»

«Sìma l'uomo che ha distrutto la mia tribù viveancora.»

«Quell'uomo è già un moribondo» disse il Corsaro convoce cupa. «Il destino lo ha già condannato.»

Si era poi appoggiato alla murata e guardava la fregata laquale ormai bruciava come un fastello di legna ben secca. Le fiammediventategigantis'alzavano fino ai contropappafichicome una cortina immensa. Tuttoormai avevano avvolto: da prora a poppa era un mare di fuoco che si agitavaburrascosamente.

Una nuvola immensanerissimaondeggiava sopra la poveranavecome un enorme ombrello e dai suoi margini cadevano miriadi di scintilleche il vento faceva volteggiare disordinatamente.

Ad un tratto una sorda detonazione rimbombò al largo. Unturbine di scintilledi legni ardentidi rottami s'alzò sulla nave sibilandoin ariaricadendo in mare a grande distanza.

Qualche deposito di granatesfuggito alle ricerche deifilibustieridoveva essere scoppiato in fondo alla stiva.

L'esplosioneviolentissima senza dubbioaveva sfondati ifianchi della navegià ormai carbonizzata e l'acqua si era precipitataattraverso quegli squarci.

«È finita» disse il Corsarovolgendosi verso Yara.

La fregata affondava a vista d'occhiocon un largodondolìo. L'acqua ed il fuoco combattevano attorno al legnofacendo ribollireil mare. Nubi di vapore s'alzavano fischiando. Il vascello intanto continuava asommergersiinclinandosi sempre più a proramentre l'alta poppa s'innalzava.La campana del casserosotto le crescenti ondulazioni della navesuonavacupamente come se annunciasse la prossima fine del grandioso galleggiante.

«Si direbbe che suona la rovina della marina spagnuola»mormorò il Corsaro.

D'improvviso la prora del vascellogià piena d'acquas'immerse. La poppa mostrava già la chiglia. L'enorme massaritta quasiverticalmenteaffondava rapida. Sparvero le grue di capponepoi il tronconefiammeggiante ancora dell'albero maestroquindi l'intera massa scomparvemandando in aria un'ultima nuvola di vapore ed un ultimo getto di scintille. Unamuraglia liquida circolaresimile ad un gorgo immensosi distese sul mareperdendosi in lontananza.

Tutto era finito. Il poderoso vascello da guerramutilatoprima dalle pallesemi-divorato poi dal fuoco e finalmente sventratodall'esplosionescendeva attraverso le limpide acque del Golfoin fondo aibaratri paurosi.

Il Corsaro Nero s'era voltato verso Yarala quale pareva checercasse ancoranel gorgodi scoprire la nave affondante.

«Non è terribile tutto ciò?» le chiese.

«Sìmio signore» rispose la giovanetta«ma io non sonoancora vendicata.»

«Lo sarai presto» rispose il Corsarodirigendosi verso lascaletta che metteva sul ponte di comandoove si trovava già Morgan.

Il luogotenenteche stava seduto su di una comoda sediascorgendo il Corsaro si era alzatomostrandogli una carta del golfo.

«Dove dovrò sbarcarvicavaliere?» chiese. «Questa seranoi avvisteremo le coste del Messico.»

«Voi conoscete Vera-Cruz?»

«Sìcavaliere.»

«Vi sono crociere?»

«Mi hanno detto che tutta la costafino a Tuxpamèguardata onde coprire Jalapa da una possibile sorpresa.»

«Allora uno sbarco potrebbe riuscire difficile.»

«Dite impossibilecavaliere. Appena sbarcato viprenderebbero.»

«Cosa mi consigliereste di fare?»

«Scegliere un luogo desertosia pure lontano da Vera-Cruz eavanzarsi poi a piccole tappe vestiti da mulattieri o da cacciatori.»

«Conoscete un luogo ove lo sbarco possa effettuarsi senzapericolo di farci scoprire?»

«Vi consiglierei di sbarcare al sud di Tampiconella vastalaguna di Tamiahua. Colà non vi sarà alcun posto di guardiaregnando lafebbre gialla in quest'epoca.»

«La laguna è lontana da Vera-Cruz?»

«In quattro o cinque giorni di marciavi potreste arrivaree senza molta fretta.»

«Questo è verotanto più che la squadra non giungerà aVera-Cruz prima di una diecina di giorni.»

«Sicchè?»

«Noi andremo alla laguna» rispose il Corsarodopo qualcheistante. «Non troverò grandi difficoltà a entrare in Vera-Cruz.»

Quattro ore dopo quel colloquio la Folgoreche avevamantenuta la rotta verso il nordonde passare molto al largo da Vera-Cruzpiegava ad occidente per accostarsi alle spiagge messicane.

Il Corsaro non abbandonò un solo momento il ponte dicomandovolendo accertarsi coi propri occhi che nessun pericolo minacciava lasua nave. Fortunatamente durante quella corsa verso occidentenessun puntoluminosoannunciante la vicinanza di qualche nave nemicafu scorto sul foscoorizzonte. All'indomani la Folgore avvistava la lunghissima penisola cheserve di barriera alla grande laguna di Tamiahuala quale si prolunga fino apoche miglia da Tuxpam. Non essendo prudente accostarsi in pieno giornola Folgoreriprese sollecitamente il largorimontando la penisola in direzione diTampico. Per meglio ingannare le navi spagnuole che potevansi incontrareilCorsaro aveva fatto ritirare parte dei cannonicelare una buona metàdell'equipaggio e spiegare sulla poppa lo stendardo di Castiglia.

La spiaggia appariva desertaperò non del tutto arida. Diquando in quando dei folti boschi si vedevano delinearsi lungo la costaformatiper lo più da palme di splendido aspettoe molte piante si vedevano pure inacquacolle foglie però gialle e pendenti.

«Si direbbe che quella costa abbia subìto qualcheimprovvisa sommersione» disse Morganche la esaminava con un cannocchiale.«Non ho mai veduto delle palme sorgere dal mare al pari delle alghe.»

«Queste spiagge vanno soggette a delle bruschemodificazioni» disse il Corsaro. «I terremoti abbassano sovente dei tratticonsiderevoli di costefacendole sommergere.»

«Volete dire che fanno loro subire degli abbassamenti.»

«E talvolta anche degli innalzamentisignor Morgan.»

«La cosa mi sembra molto strana.»

«Eppuresignor Morgannon è solamente qui che simili coseavvengono. Anche moltissime coste dell'Europasenza essere percosse daiterremoti ed anche lontane dai vulcanisubiscono degli alteramenticonsiderevoli di livello.

Non dico che quei sollevamenti od abbassamenti avvengano daun momento all'altro; anzi sono così lenti che occorrono dei secoli prima diaccorgersene. Nella mia Italiaper esempioin poche decine d'anni si sonopotuti verificare dei dislivelli notevolissimi: specialmente in Sicilia ed inCalabria le coste tendono ad alzarsimentre invece nel Veneto si abbassanosempre.

«Devono però essere lentissimi questi dislivelli.»

«Sono così lievi da non doversi spaventaresignor Morgan.Le nostre terre del Venetoper esempiosi abbassano in ragione di tre oquattro centimetri ogni annomentre le coste della Siciliahanno impiegato labagatella di milleduecento anni per un sollevamento che va dai quattro ai seimetri.»

«Allora non vi è pericolo che certe regioni finiscano colsommergersi.»

«Immediato nosignor Morganperò se l'abbassamento dicerte terre dovesse continuareè certo che fra molti secoli dovrebberotrovarsi sott'acqua.»

«E da che cosa derivano questi abbassamenti e questisollevamenti?» chiese il luogotenente.

«I sollevamenti sono prodotti dai terremoti regionaligliabbassamenti invece pare che si debbano attribuire a mutamenti chimici omolecolari delle masse roccioseall'imbibizione o al prosciugamento di talimasseo al scivolamento lento della parte superficialeed anche allaformazione di vuoti sotterranei dovuti alla eliminazione di materie solubili.Comunque sia perònoi non vedremo quelle coste a sommergersinè le altre adiventate tanto alte da sfidare le montagne. Signor Morgandate ordine diportarci maggiormente al largo e di preparare la mia baleniera.»

«Chi verrà con noisignore?»

«CarmauxWan StillerMoko e la giovane indiana.»

«Anche Yara!» esclamò Morgancon stupore.

«Mi sarà più preziosa degli altri» rispose il Corsarocon un sorriso. «Conosce molte cose che i miei uomini ignorano.»

«Il posto dove si nasconde il vostro mortale nemico?»

«Sìsignor Morganil posto ove lo ucciderò» rispose ilCorsaro con voce cupa.

 

 

Capitolo XIV

 

La laguna di Tamiahua

 

Alle undici di serala Folgoredopo d'averbordeggiato l'intera giornata al largogiungeva inosservata alla puntameridionale della lagunamettendosi in panna a cinquecento metri dalla costa.

Nessun lume era stato veduto in alcuna direzionequindi erada sperare che nessuna nave incrociasse su quelle acque e che nessun posto diguardia guardasse quelle spiagge.

Il Corsaro Nerodopo d'aver guardato in tutte le direzioniera sceso sulla toldadove i marinai stavano calando in acqua una sveltabaleniera carica di alcune cassette contenenti dei viveri. CarmauxMoko e WanStiller vi erano già. Avevano lasciati i loro vestiti da marinai per indossarecalzoni di pelle frangiatigrandi mantelli a svariati colori e adorni difiocchi e larghe fasce entro le quali avevano messo delle navaje smisuratee delle buone pistole.

In capo portavano ampii cappelli di pagliamolto altichenascondevano buona parte del volto.

Anche il Corsaro si era spogliato della sua divisa nera perindossare un costume quasi eguale a quello dei suoi uominiperò non avevalasciata la spadacolla quale contava d'inchiodare a qualche muro l'assassinodei suoi fratelli.

«È tutto pronto?» chiese a Morganil quale aveva giàfatta calare in acqua la scialuppa.

«Sìcavaliere» rispose il luogotenente.

«E Yara?»

«Eccomisignore» rispose la giovane indianacomparendogli vicina.

Al pari dei suoi compagni si era avvolta in un grandemantelloin un serapè frangiato ed aveva nascosti i suoi bellissimicapelli sotto un cappello dalle tese ampieadorno d'un nastro infioccato.

«Le vostre ultime istruzionicapitano» disse Morgan.

«Raggiungere subito la flotta e muovere poi risolutamente suVera-Cruz.»

«Voi sapetesignoreche Grammont ha deciso di sbarcare alsud della città.»

«Sìa due leghe. Se potrò io sarò colà ad aspettarvi.»

«Conoscete adunque il luogo ove si effettuerà lo sbarco?»

Stette un momento silenziosoguardando distrattamente lalagunapoi scese rapidamente la scaladicendo con una voce brusca:

«Addio.»

Si sedette a poppa della scialuppaa fianco della giovaneindianae fece cenno ai suoi uomini di prendere il largo.

CarmauxWan Stiller ed il negro presero i remi e la sveltabaleniera prese la corsamentre la Folgore virava di bordo per uscirenuovamente in mare. Una leggera nebbia ondeggiava sulle cupe acque della lagunarendendo la notte più oscuranebbia pericolosissima essendo carica diesalazioni pestifere dovute alla putrefazione dei paletuvierile così dettepiante della febbre. Questi vegetali s'incontrano in gran numero nelle lagunedel Messico e anche alla foce dei fiumi e crescendo in acquaa poco a pocomarcisconocorrompendo l'aria. Sono essi che producono il vomito prieto ossiala febbre gialla che miete tante vite umane durante i mesi più caldi.

Nessun lume brillava sull'ampia distesa d'acqua nè sulle duepenisole che racchiudono la laguna dalla parte del maree nessun rumore siudiva in alcuna direzione. Pareva che nessun essere vivente avesse osatostabilirsi su quelle rive minacciate dalla morte.

«Che brutto luogo» disse Carmauxsenza abbandonare ilremo. «Si direbbe che questo è il paese di messer Belzebù.»

«Ed infatti Belzebù si nasconde in mezzo a quelle ondate dinebbia che s'avanzano verso di noi» disse l'amburghese.

«È febbreè vero Moko?»

«E gialla» rispose il negro. «Se vi coglie sietespacciati.»

«Bah! Abbiamo la pelle dura noi» rispose Carmaux.

«Non risparmia nessuno.»

«Allora forza di remiamici. La mia pelle per ora mi èancora cara.»

La scialuppasotto la vigorosa spinta di quei tre remifilava rapidafuggendo dinanzi alla nebbia che il vento spingeva verso lacosta.

Il Corsaro Neroalla barraregolava la corsa.

Di quando in quando osservava la bussola che aveva portatacon sèonde mantenere la scialuppa nella buona direzione e scambiava qualcheparola con Yara.

La scialuppa aveva già attraversata più di mezza lagunaquando Carmauxnel volgere la testa verso la punta settentrionale dellapenisola inferiorevide scintillare un punto luminoso.

«Oh!» esclamò. «Pare che questa laguna non sia del tuttospopolata. Avete vedutocapitano?»

«Sì» rispose il Corsaroil quale si era alzato perosservare meglio.

«Che sia qualche caravella?»

«A me sembra una luce fissa» disse Wan Stiller.

«No» disse Mokoil quale aveva la vista più acuta deglialtri. «È un fuoco viaggiante.»

«Forse qualche caravella che va a Pueblo Viejo» mormoròil Corsaro. «Fortunatamente la notte è così oscura che passeremoinosservati.»

Infatti il punto luminoso si allontanava allora verso ilnorddescrivendo delle brevi bordate. La baleniera procedeva sempre rapidafendendo le acque con un lieve sussurrìo. I tre filibustieriquantunquearrancassero da più di due orenon sembravano affatto stanchi. Intorno allapiccola imbarcazione regnava sempre un silenzio assolutocome se quelle acquefossero prive di abitanti. Solamente in alto si udivadi quando in quandounlieve stridomandato da qualche uccello notturnoforse da qualche vampiro ospettro volantebrutti pipistrelli che succhiano il sangue alle persone ed allebestie che possono sorprendere addormentate.

Alle due del mattinoCarmauxche si trovava a prorasiaccorse che l'acqua cominciava a mancare.

«La spiaggia non deve essere lontana» dissevolgendosiverso il Corsaro.

«Mi pare di distinguerla» rispose questialzandosi.«Dinanzi a noi si delinea una massa oscura che deve indicare una foresta.»

Poco dopo la scialuppa navigava fra ammassi di pianteacquatiche e banchi di sabbia. Macchie di paletuvieri sorgevano dovunqueprotendendo i loro rami contorti in tutte le direzioni ed esalando miasmipestiferi.

«Siamo in mezzo ad una palude» - disse il Corsaro.

«Già non mancano sulle coste del Messico» risposeCarmaux.

Avendo trovato un canale aperto fra i banchi ed ipaletuvierila scialuppa vi si era cacciata dentroavanzandosi peròlentamente onde non dare in secco. Nessuno sapeva dove si trovavanonon avendomai visitate quelle spiaggenemmeno Yara. Sapevano però che la terra fermadoveva trovarsi verso l'ovest e mantenevano quella direzionecerti di giungerepresto o tardiin mezzo ai boschi.

Dopo di essersi avanzati per un'altra mezz'oraessi sitrovarono dinanzi a parecchi isolotti i quali formavano una infinità di canalie di canaletti. Dei grandi alberi erano cresciuti su quei brani di terra espandevano sui canali una cupa ombra.

«Dove andiamosignore?» chiese Carmaux.

«Approdiamo a una di quelle isole e aspettiamo l'alba»rispose il Corsaro. «Con questa oscurità è impossibile dirigersi.»

Spinsero la baleniera verso l'isola più vicina che eracoperta d'alberi altissimi e dal tronco enorme e sbarcarono per sgranchirsianche un po' le gambe.

L'oscurità in quel luogo era così profondada non potersidistinguere assolutamente nulla. Una nebbiola si alzava dai canaliallargandosilentamenteuna nebbia satura di febbre e di miasmi micidiali.

I filibustieri si erano sdraiati alla base d'uno di queigrandi alberibene avvolti nei loro mantelli per difendersi dall'umidità dellanotte. Però a fianco si erano collocati i fucilinon essendo affattotranquilli. Infatti poco dopo udirono a echeggiare a breve distanza un gridoacuto che poi terminò in un muggito spaventevole.

Subito un altro grido consimile rispose un po' più lontanopoi un terzoquindi un quarto.

«Questi sono caimani» disse Carmauxrabbrividendo.

Un acuto odore di muschio veniva dai canalisegno evidenteche in quel luogo vi era abbondanza di quegli schifosi sauriani.

A quelle prime urla era successo un breve silenziopoi tuttod'un colpo grida acutissime scoppiano non più in acqua bensì in altofra irami dei grandi vegetali. Era un concerto spaventevoleassordanteche sfondavagli orecchi meglio conformati.

Si udivano muggitiruggitinote acutissime che sembravanoemesse da istrumenti metallici e urla d'una intensità inaudita.

Carmaux e Wan Stiller erano balzati in piedi temendo divedersi rovinare addosso battaglioni di belve feroci; il negroYara ed ilCorsaro si erano però limitati ad alzare la testa guardando fra i rami deglialberi.

«Tuoni d'Amburgo!» esclamò Wan Stiller. «Che succede?»

«Una cosa semplicissima» rispose Mokoridendo. «Lescimmie urlatrici si divertono a darci un concerto.»

«Queste sono scimmie?» esclamò Carmaux con tono incredulo.«Compare sacco di carbonetu vuoi burlarti di me.»

«NoCarmaux» disse il Corsaro.

«Mi direte allorasignorechi sono questi piagnucoloni.

Proprio sopra le loro testein mezzo alle folte frondesiudivano delle grida lamentevoli che parevano mandate da una banda di fanciulli.

«Sono scimmie anche questeCarmaux» rispose il Corsaro.«Si direbbe che fra quei rami vi sono dei bambini.

«Sìma sono scimmie invece.»

«Vi è da diventare pazzisignore. Ho la testa intronata!»

Il filibustiere non mentiva. Le grida delle scimmie rosse edi quelle piangenti avevano allora raggiunto una tale intensità da fardisperare perfino un sordo.

«Qui devono essersi radunati migliaia di quadrumani» dissel'amburghese.

«T'ingannicompare bianco» rispose Moko. «Forse quellescimmie urlatrici non sono più di sette od otto.»

«Allora devono aver le gole foderate di bronzo.»

«Hanno qualche cosa di meglio.»

«Ossia?»

«Un gozzo o una specie di tamburo carnoso che centuplica laloro voce» disse il Corsaro.

«Sìcapitano» rispose il negro.

«Che formidabili cantori!» esclamò Carmaux. «Sarebbemeglio però che serbassero la loro voce per miglior occasione.»

«Vuoi farli tacere?» chiese il negro.

«Ben volontieri.»

«Scarica il tuo fucile e tutte quelle scimmie se neandranno. Se riesci poi ad ammazzarne unafaremo una eccellente colazione.»

«Puah!» fece Carmauxcon disgusto. «Mangiare dellescimmie? Per chi mi prendicompare sacco di carbone?»

«Ti assicuro che sono eccellenticompare bianco. Tutti gliindiani ed i negri le mangiano.

«Lasciate andare le scimmie e serbate i vostri colpi peraltri animali» disse il Corsaroil quale si era bruscamente alzato.

«Chi ci minacciacapitano?» chiese Carmaux.

«I caimani.»

«Ah! Si decidono a venire!...»

«Ne vedo due o tre» disse Moko.

«Vediamo se l'hanno proprio con noi» disse Carmaux.

Essendosi alzata la nebbia e cominciando ad albeggiarel'oscurità si era un po' diradatatanto da poter scorgere quanto avveniva neicanali. Un brutto saurianolungo almeno sei metriaveva abbandonato un foltogruppo di paletuvieri e s'avanzava cautamente verso l'isolotto occupato daifilibustieri. Quel rettile avevasul rugoso dorsoun vero giardinetto. Fra lescaglie osseeripiene di fangoerano cresciute delle erbe palustri e anchequalche canna.

Contando d'ingannare gli uominiteneva la testa sott'acquasporgendo solamentedi quando in quandol'estremità del muso per respirarequalche boccata d'aria. Anche la sua coda rimaneva sommersaperò nell'agitarlaformava dietro di sè una scia gorgogliante che era facile a scoprirsi.

«Quel brutto animale cerca di sorprenderci» disse Carmaux.«Non saremo però così stupidi da scambiarlo per un tronco d'albero. Cosadicicompare sacco di carbone?»

«Lascia che si avvicini e vedrai come tratterò quelrettile» rispose il negro.

«Non adopereremo il fucile?»

«È inutilecompare biancotanto più che le palle soventesi schiacciano su quelle piastre ossee.»

«E che gli spari possono attirare l'attenzione di qualchespia spagnuola» aggiunse il Corsaro.

Il gigantescorto un grosso ramo d'alberol'aveva raccolto.Con pochi colpi di navaja lo sfrondòpoi si spinse fra i paletuvieriche ingombravano la riva.

Carmaux e Wan Stiller si erano pure cacciati fra i ramicontorti delle piante acquatichementre invece il Corsaro conduceva Yara dietroi tronchi degli alberi.

Il caimano s'avanzava semprelentamentelasciandosi portaredalla debole corrente che scendeva verso la laguna. La sua coda rimanevaperfettamente immobile per meglio ingannare i filibustieri e agitava appenaappena le zampeguardandosi bene anche dal mostrarle troppo.

Già non distava dall'isolotto che pochi passiquando unaltro caimano apparve improvvisamente. Era uscito da un ammasso di pianteacquatiche che crescevano su di un banco semi-sommerso.

Un momento dopo un terzo emergeva bruscamente dalle acquegettandosi furiosamente fra i due.

«Toh!» esclamò Carmauxsorpreso. «Cosa sta persuccedere? Si direbbe che quei rettili non l'hanno precisamente con noi.»

«È verocompare bianco» rispose il negro.

Due urla acute scoppiarono a breve distanza e altri duecaimani si slanciarono in mezzo al canalebattendo furiosamente l'acqua collepossenti code. Uno dei saurianiil più piccolos'era tratto da una parteappoggiandosi verso i paletuvieri che coronavano l'isolotto; gli altri quattroinvecesi erano precipitati gli uni contro gli altri con furia incredibilemostrando le loro bocche mostruose armate di formidabili denti. Muggivano cometori in furore e agitavano tremendamente le codesollevando vere ondatespumeggianti.

I quattro sauriani intanto si erano scagliati furiosamentegli uni addosso agli altri. Muggivano in modo spaventosofacendo tacere lescimmie rosse e quelle piangenti e cercavano di stritolarsi vicendevolmente lemascelle.

L'acqua balzava da tutte le partie delle grosse ondatevenivano ad infrangersi violentemente contro i paletuvieri degli isolotti.

Una caimanasdraiatasi in mezzo alle piante acquaticheassisteva tranquillamente alla tremenda lottacome se la cosa non lariguardasse affatto. Poco dopo uno dei quattro saurianiforse il più deboleera fuori di combattimento. Il suo rivale con un terribile colpo di mascella gliaveva dapprima mozzata la codapoi gli aveva troncata l'estremità del muso.

Il povero mutilatoimbrattato orribilmente di sanguesicontorceva disperatamente presso i paletuvieriarrossando le acque.

Alcuni minuti più tardiun secondo calava a picco. Assalitodagli altri dueche si erano momentaneamente alleatiera stato fatto a pezzi.

I vincitori però erano stati pure ridotti in uno statocompassionevole. Uno aveva avuto la mascella fracassata e l'altro aveva perdutouna delle zampe anteriori. Nondimenosbarazzatisi dei due avversariisi eranoscagliati l'uno contro l'altro con pari furoremuggendo ferocemente.

Quello che aveva avuto la mascella fracassatadopo i primimorsi aveva tentato di rifugiarsi verso l'isolotto occupato dai filibustieri. Lasua orribile ferita non gli permetteva più di assalire vantaggiosamente ilrivale e per difendersi non possedeva più che la coda.

Vedendolo accostarsiMoko aveva afferrato il grosso ramopronto a scagliargli una botta mortale. Era una precauzione inutilepoichèl'avversario lo aveva seguitodeciso a finirlo. Una nuova lotta si impegnò apochi passi dall'isolottoin vicinanza della scialuppa.

I due saurianiquantunque dovessero essere esausti per lacopiosa perdita di sanguesi erano nuovamente assaliti con slancio disperato. Icolpi di coda grandinavano con gran fracasso ed i denti si rompevano sullescaglie ossee. L'acquarossa pel sanguerimbalzava perfino in mezzo aipaletuvieri.

«Moko!» esclamò ad un tratto Carmaux. «La nostrascialuppa!»

Anche il Corsaro si era accorto del pericolo che correval'imbarcazionepoichè si era slanciato verso la riva gridando:

«A mefilibustieri!»

I due sauriani nel furore della lotta si erano appoggiatiall'isolotto e le loro code minacciavano di sfondare i fianchi della leggerabaleniera.

Moko era balzato fra i paletuvieriseguito da Carmaux edall'amburghese.

Stava già per precipitarsi verso la rivaquando risuonò uncolpo secco. La balenierafracassata da un formidabile colpo di coda era statarovesciata nel canalescomparendo rapidamente sotto le acque.

«Tuoni d'Amburgo!» urlò Wan Stiller.

«Ah! cani!» gridò il negro furioso.

Senza badare al pericolosi era scagliato addosso ai duesauriani i qualinella loro rabbianon si erano accorti della presenza degliuomini. L'erculeo negro alzò il ramo e scagliò sul più vicino una talelegnatada fracassargli di colpo la spina dorsale.

L'altroudendo quel colposi era voltato. Era quello privodella mascellanondimeno cieco di rabbia com'erainvece di fuggirsenecon unbalzo risalì la riva ed investì violentemente il negroil quale ebbe appenail tempo di balzare da una parte.

Il Corsaro Nerotemendo per Yara che si trovava a pochipassisi era gettato innanzicolla spada in pugno. Rapido come il lampotagliò la strada al mostro e abbassatosi bruscamente gli cacciò in gola lalama.

Quella nuova ferita non sarebbe forse bastata per trattenereil mostrosenza l'intervento del negro.

Il valoroso africanoevitata la coda che sollevava ad untempo acqua e fangoaveva rialzato il grosso ramogridando al Corsaro:

«Indietrosignore.»

Si udì uno scroscio paragonabile allo schiantarsi d'unalbero. Le scaglie ossee del rettilefracassate da quel tremendo colpoavevanoceduto.

Il rettilemezzo accoppato da quella fierissima legnatarimase un momento come intontitopoi raccogliendo le ultime forzesi rovesciògiù dalla rivascomparendo sott'acqua fra un cerchio di sangue.

 

 

Capitolo XV

 

La zattera

 

Oltre ad aver perduta la balenierai filibustieri avevanopure perduti i viveri che stavano rinchiusi nelle due casse e anche buona partedelle loro munizioni.

Per loro fortuna avevano conservati i fucili con alcunecentinaia di cariche e anche qualche coperta che Yara aveva avuta la precauzionedi portare con sèper difendersi dall'umidità della notte.

Tuttavia la loro situazione non era molto brillantetrovandosi su di un isolotto e perduti in mezzo a vaste paludi che non avevanomai percorse ed infestate da feroci caimani.

«Eccoci in un bell'imbarazzo» disse Carmaux. «Senzascialuppa e senza viveri.»

«Ohi viveri non mancheranno.»

«Vorresti dire che anche i caimani potrebbero servire dacolazione?» chiese Carmauxfacendo un gesto di disgusto.

«La coda non è cattivacompare bianco. Io l'ho mangiataparecchie volte.»

«Oh!... Mangiatore di rettili!...»

«E alla scialuppa come rimediare?» chiese Wan Stiller.«Suppongo che nessuno di noi avrà l'intenzione di rimanere qui in eterno.»

«Il legname qui non manca» disse il Corsaro. «Forse che imiei marinai non sanno costruire una zattera?»

«Sono una gran bestiasignore» disse l'amburghese. «Nonavevo pensato a questi alberi.»

«Eppure sono visibili» disse Carmauxridendo.

«Mokohai la tua scure?»

«Sìcapitano» rispose il negro.

«Giacchè si comincia a vederci qualche po' andrai adabbattere degli alberi.»

Mentre l'africano ed il Corsaro percorrevano le rive perscegliere le piante necessarie alla costruzione della zatteraCarmaux el'amburghese si cacciarono in mezzo agli alberi per cercare la colazione.

Quell'isolotto era più grande di quello che avevano finoallora creduto e molto boscoso. Su quel grasso terrenoformato da foglieputrefatteerano sorte in abbondanza varie specie di palme e foltissimicespugli entro i quali poteva benissimo trovarsi anche qualche grosso capo diselvaggina.

Carmaux e Wan Stillerdopo aver ascoltato per qualche po'non udendo che le grida delle scimmiesi cacciarono risolutamente in mezzo aicespugliavanzandosi con precauzione.

Essendo già sorto il solenumerosi volatili garrivano sullepiù alte cime degli alberi e fra le piante acquatiche s'alzavano stormi diaironi e di anitre selvatiche le quali facevano un baccano assordante.

In mezzo alle grandi foglie dei palmizi realidelle palme edei caobasnumerose scimmie si divertivano a fare capitomboliurlando apiena gola. Erano dei miceti o scimmie urlatriciquelle stesse che durante lanotte avevano spaventato tanto il bravo Carmaux.

Questi quadrumaniche sono dotati d'una agilità prodigiosauna volta erano numerosi anche nel Messicoma ora non si ritrovano più chenell'America del Sud e specialmente nelle Guiane e nelle foreste verginidell'Amazzonia.

Sono di colore oscurocon riflessi rossastri; le femmineinvece hanno il pelame giallastro. Non sono più alti di settanta centimetrieppure che potenza di polmoni! Le loro urla sono così acute che si odono aparecchi chilometri di distanza.

«Prima delle scimmiecerchiamo se vi è qualche arrostomigliore» disse Carmaux a Wan Stiller. «Questo isolotto non deve esseresprovvisto di selvaggina.»

«E poi vi sono delle bande di aironi» risposel'amburghese. «Ci rifaremo con quei volatili.»

«Eh!... Per mille pescicani!»

«Cos'haiCarmaux?

«Ho veduto una bestia scappare fra le erbe.»

«Era grossa?»

«Come un coniglio.»

«Se fosse davvero un coniglio!... Che squisito arrostoCarmaux.»

I due filibustieriche già fiutavano un appetitoso arrostosi erano slanciati in mezzo alle erbe dove vedevano a muoversi qualche cosa. Unanimaletto che non potevano ancora ben distinguere fuggiva dinanzi a lorosenzaperò affrettarsi. Giunti presso ad un vecchio alberolo videro cacciarsirapidamente entro un buco del tronconon lasciando fuori che una coda lunga ascagliette.

«Ah!... Birbante! Ora ci sei!» gridò Carmauxafferrandorapidamente quell'appendice.

Si provò a tirare econ sua grande sorpresanon riuscì afar indietreggiare l'animaletto.

«Mille balene!» esclamò. «Possibile che sia più forte dime!... Eppure non è più grosso d'un coniglio.»

«Vediamo di che cosa si tratta» disse Wan Stilleraccostando un occhio al buco. Essendo quel foro abbastanza largovide chequell'animaletto aveva il dorso coperto da una specie di corazza formata dapiastre ossee che sembravano molto resistentidisposte in serie parallele e diforma molto ineguale.

«Non so con quale animale abbiamo da fare» disse. «Tiposso dire però che non è molto grosso e che a giudicarlo dalla staturadovrebbe cedere alle tue braccia.»

«Che abbia perduto la forza?» si chiese Carmaux. «Eppurenon mi sembra.»

«Lascia che provi io» disse Wan Stiller.

L'amburghese afferrò la coda con ambe le manipuntò unpiede contro l'albero e cominciò a tirare con tutta la forza che aveva. Faticasprecata; l'animaletto resisteva tenacemente come se si fosse unito al troncodell'albero.

«Tuoni d'Amburgo!» esclamò. «È cosa incredibile.»

Carmaux aveva risposto con una risata sonora.

«Tu ridi!» esclamò Wan Stillerstupito.

«Tira!... Tira!...» rispose Carmaux che era in preda ad unacrescente ilarità.

«Ma se ti dico che questo dannato animale è tenutoall'albero con delle chiavarde!»

«NoWan Stillerdalle sue unghie.»

«Allora tu conosci questa specie di... di... chissà checosa sarà.»

«Un armadillo.»

«Non ne so nulla.»

«Te lo farò vedere subito» disse Carmaux.

«Hai tu un mezzo per farlo uscire?»

«SìWan Stiller.»

«Tirando insieme?»

«Strapperemmo la coda senza decidere l'animale a uscire.Possiede delle unghie d'una robustezza tale da sfidare l'acciaio.»

«Allora sarà pericoloso.»

«Niente affattoamburghese.»

«È almeno mangiabile?»

«Delizioso come un porcellino da latte.»

«Allora facciamolo uscire.»

«La cosa è facile: guarda!»

Con una mano afferrò la coda dell'armadillocoll'altraestrasse la navaja e l'introdusse nel cavo dell'alberopungendofortemente.

L'animaletto dapprima cercò di aggomitolarsi su sè stessopoi abbandonò il rifugio e cadde al suolo. Wan Stiller sapendo che non erapericolosos'era curvato guardandolo con viva curiosità.

Era grosso un po' più d'un conigliocon zampe molto corteed aveva il dorso coperto da una vera corazza di piastre ossee giallastre moltoresistentia quanto parevache gli scendevano fino ai fianchi. La sua testamolto piccolacon un musettino appuntitoera riparata da una specie di visierascagliosa. Le sue gambecome si disseerano corte e portavano unghierobustissime e lunghe. Appena caduto a terral'animaletto si era lestamenteripiegato su se stessofacendo scorrere le piastre che parevano dotate d'unacerta mobilità e ritirando la coda. In tal modo presentavasi come una pallaperfettamente difesa da quella corazza scagliosa.

«Molto strano!» esclamò l'amburghese. «Si èmeravigliosamente chiuso entro la sua corazza.»

«La quale non lo riparerà di certo contro di noi» disseCarmaux percuotendo violentemente l'animaletto col calcio del fucile.

Il povero armadillo aveva mandato un debole grido sotto quelcolpo e s'era subito disteso senza vita.

«Ecco l'arrosto!» esclamò Carmauxprendendolo per lacoda.

«Ma che razza di bestie sono queste?» chiese Wan Stiller.

«Animali assolutamente inoffensividi abitudini notturneordinariamente e che non danno fastidio a nessuno» rispose Carmaux.

«E di che cosa si nutrono? Di erbe forse?»

«Nosono carnivori e siccome riesce loro piuttostodifficile a procurarsi della selvagginanon essendo nè lestinè provvistiveramente di dentivivono per lo più di carogne. Si racconta anzi che gliarmadilliquando trovano un animale di grossa taglia mortovi si introducono elo divorano a poco a poco tuttolasciando però perfettamente intatta lapelle.»

«E tu mi assicuri che sono buoni a mangiarsi?»

«Come le testuggini. Amico Stillercontinuiamo la caccia.»

«Cosa speri di trovare ancora?»

«Faremo qualche scarica contro gli aironi.»

Persuasi di non trovare altri animali su quell'isolottopiegarono verso la riva dove udivano un gran baccano. Pareva che colà gliuccelli acquatici si trovassero in buon numero.

Infattigiunti presso i paletuvierividero svolazzare aldisopra di quelle piante delle bande di anitre e di splendidi aironi dalle piumeverdi. Con due scariche abbatterono una coppia di quei trampolieripoi siripiegarono verso l'accampamentoonde non impazientire il capitano. Quando vigiunseroMoko aveva abbattuto parecchi giovani alberi ed aveva recise numeroseliane che dovevano servire da corde.

Mentre Yara si occupava a spennare i due aironiifilibustieridopo essersi accertati che non vi erano caimani presso la rivadiedero subito mano alla costruzione della zattera.

Essendo tutti abilissimibastò un'ora per ottenere ungalleggiante capace di sostenerli tutti.

Per maggior precauzione circondarono i bordi con grossi ramionde impedire ai caimani di salire sul galleggiante e al centro inalzarono uncasottino formato di frasche e di grandi foglie di palme.

Alle otto del mattinodopo aver divorata la colazioneifilibustieri e la giovane indiana s'imbarcavanoremando vigorosamente opuntando sul fondo limaccioso del canale.

Oltrepassati gl'isolottiessi si trovarono dinanzi ad unaseconda lagunaingombra di piante palustri ed interrotta qua e là da banchi disabbia sui quali si vedevano sonnecchiare non pochi caimani.

Stormi di uccelli acquatici volavano al disopra dei cannetidescrivendo dei giri capricciosi e gridando a piena gola. Di quando in quandoquelle bande assordanti piombavano sulla laguna e davano la caccia ai pescioliniod ai piccoli granchi che si tenevano nascosti fra le sabbie.

Il Corsaroche era salito sul tetto della capannuccia perabbracciare maggior orizzontevide in lontananza una linea oscuranoninterrotta e che pareva indicasse qualche grande foresta.

«La terra ferma è là» disse. «Avremo però molto dafare per raggiungerla.»

La zattera avanzava lentamenteessendo l'acqua di quellalaguna assolutamente ferma e mancando il più lieve soffio d'aria.

L'amburgheseMoko e perfino il Corsaro puntavano fortementema con poco profittopoichè le lunghe pertiche che servivano di remi il piùdelle volte scivolavano sul fondo limaccioso della lagunaesponendoli anche adimprovvise cadute.

Alcuni caimanivedendo avanzarsi quella massa galleggianteattirati dalla curiositàvenivano di quando in quando a ronzare attorno ainavigantimostrando le loro formidabili mascelle irte di lunghi denti. Nonerano però aggressivi e s'allontanavano al primo colpo di bastone chel'amburghese e Moko appioppavano loro e molto solidamente. A mezzodì la zatteragiungeva in un nuovo canale il quale invece di dirigersi verso la linea oscuraindicante la terra fermapiegava verso il sudaprendosi il passo fra un numeroinfinito di banchi sabbiosi e d'isolotti coperti di paletuvieri e di cannealtissime.

Dal mezzo di quelle piantevere nuvole di volatilis'alzavano fuggendo dinanzi alla zattera.

Si vedevano numerosi pyrocephalus colle piume dellatesta color del fuoco e le gambe cortissime; bande di coclarnis somigliantiai nostri fringuelli e di sylvicole dalle splendide penne color dell'orodi aironidi anitre verdi e di stupidi beccaccinii quali guardavanotranquillamente i navigantisenza spaventarsi pei colpi di remo avventatidall'amburghese.

Allineati indolentemente sui banchisi vedevano pure nonpochi zopilotesspecie d'avvoltoipiccolicolle penne nere e che nelMessico fanno l'ufficio di spazzini. Sono uccelli cenciaiuoliche s'incaricanodella pulizia delle cittàdivorando ingordamente tutte le immondizie che gliabitanti gettano nelle vie. Dotati d'una voracità straordinariatuttoinghiottono e senza soffrire. Sarebbero capaci di dilaniare anche un colerososenza sentirne effetto alcunoal pari dei marabù che popolano l'India.

«Questo è il vero paradiso dei cacciatori» disse Carmauxil quale seguivacon occhi ardentile rapide evoluzioni di tutti quei pennuti.«Se non avessimo fretta ci sarebbero da fare delle belle scorpacciate. Cosadiciamico Stiller?»

«Io dico che tu mi fai venire l'acquolina in bocca»rispose l'amburghese. «Guarda quelle splendide arzavole.»

«Bocconi da remio caro.»

«E quell'uccellaccio d'aspetto guerrescocosa sarà? Lovedi Carmaux?»

«Quello che va frugando i canneti?»

«Sìlo vedi?... Si direbbe un guerriero alato!...»

«È un kamiki- disse Moko.»

«Ne so meno di primacompare sacco di carbone- disse WanStiller.»

«Sta' attento e saprai che specie d'uccello esso sia!...Guarda: si prepara a dare battaglia!...»

«A chi?»

«Aspettacompare bianco.»

L'uccello in questione era un bel volatilevivacesveltoarmato d'una specie di corno che si elevava sulla sua testa e colle alirobustissimecoperte di lunghe penne rigide e terminanti in sproni assaiaguzzi.

Quell'uccelloun superstite dell'antica etàsi eraprecipitato verso una macchia di cannearruffando le penne e mandando un gridoacutoun grido di guerra senza dubbio.

Il Corsaro Nero e Yara si erano pure avanzati verso ilmargine della zattera guardando curiosamente quello strano volatile.

«Il kamiki si prepara ad assalire» disse la giovaneindiana. «È un uccello valoroso che non teme il veleno.»

«Chi sta per assalire?» chiese il Corsaro.

«Il serpente che si nasconde fra le canne» rispose Yara.

«È un serpentario quel volatile?»

«Sìmio signore. Lo vedrai all'opera.»

Il kamiki si era precipitato nuovamente fra i cannetisbattendo vivamente le ali e cacciando innanzi la sua testa armata. Parevadeciso a scovare l'avversario che si teneva ostinatamente nascostosapendo giàcon quale pericoloso nemico aveva da fare.

Ad un tratto però fra le canne si vide rizzarsi un serpentenero come l'ebanogrosso come un pugno e con la testa assai appiattita.

Era un serpente alligatorerettile molto comune nelle paludidell'America centrale.

Vedendo il kamiki risoluto a dargli battagliagli siera avventato contro con coraggio disperatotentando di sorprenderlo e dimorderlo.

L'uccellonon nuovo a quelle lottesi era prontamenteriparato dietro le ali armate di speroniagitandole furiosamente per confonderel'avversario. Questifuriososibilava e dardeggiava la linguetta forcutacontorcendosiabbassandosi per poi allungarsi nuovamente con uno scattoimprovviso.

«Perbacco!... Che lotta!...» esclamò Carmauxil qualeseguiva attentamente le mosse dei due avversarii. «Come finirà?»

«Colla peggio del rettile» rispose Yara.

«Possibile che quel volatile debba aver ragione?... E sevenisse morso?»

«Non si lascerà cogliere.»

Il kamikidotato d'una agilità straordinarianonrimaneva un solo istante fermo. Balzava innanzi minacciando il rettile col beccoacutopoi indietreggiava vivamente facendosi scudo colle aliquindi tornava adassalire. La lotta durava da qualche minutoquando il kamikigiudicandol'avversario sufficientemente stanco e disorientatosi slanciò risolutamenteinnanzi.

Afferrare col robusto becco il serpente alligatorestordirlocon due poderosi colpi d'ala e portarlo in alto fu l'affare d'un istante.

Alzatosi a dieci o dodici metrilo lasciò caderebruscamente al suolopoi piombatogli nuovamente addossocon un colpo di beccogli sfondò il cranio.

Ciò fatto si mise tranquillamente a mangiarselocome se sifosse trattato d'una innocua anguilla.

«Buon appetito» gridò Carmaux.

Il coraggioso volatilesatollatosise n'era già andatocercando nuove prede.

 

 

Capitolo XVI

 

Una caccia al lamantino

 

Verso sera la zatterala quale non era ancora riuscita araggiungere la terra fermaveniva legata presso la riva d'un isolotto copertod'una fitta vegetazione.

Numerose palme di varie specie s'alzavano dietro aipaletuvieri ed alle canne palustrispingendosi molto altemescolate a felciarborescenti d'aspetto imponente e ad acagiù dal legno prezioso.

I filibustieriche avevano remato tutto il giorno sotto unsole implacabileerano sfiniti e anche molto assetatinon avendo potuto ancoratrovare una sola goccia d'acqua dolce. Assaggiata più volte quella della lagunal'avevano trovata sempre salmastrafacendosi sentire anche nei canali il flussoed il riflusso del mare.

«Temomiei braviche saremo costretti a passare questanotte senza bagnarci la bocca» aveva risposto il Corsaro. «Finchè nongiungeremo a qualche fiume non avremo acqua dolce.»

«Aspettate padrone» disse ad un tratto Mokoil quale daqualche istante guardava attentamente le piante dell'isolottoancora illuminateda un ultimo raggio di sole.

«Cosa speri di trovare; qualche sorgente forse?» chiese ilCorsaro. «Non se ne troveranno fra queste terre fangosesature d'acquamarina.»

«Mi sembra d'aver scorto una pianta che ci disseteràpadrone.»

«Un albero fontana?» chiese Carmauxridendo.

«Qualche cosa di similecompare bianco.

I tre filibustieri e Yara sbarcaronoseguendo il negroilquale si era già cacciato fra le pianteaprendosi faticosamente il passo frale radicile liane ed i rami dei cespugli.

Il suolo di quell'isolotto non era fangoso come quello deglialtri. Non era un banco di sabbia coperto di vegetazionebensì un vero branodi terra solidamolto probabilmente a fondo roccioso.

Le piantesottratte all'umidità impregnata di sale marinosi erano sviluppate rigogliosecoprendo tutta la superficie dell'isolotto eraggiungendo dimensioni straordinarie.

Dopo d'aver percorso circa duecento passiMoko si eraarrestato dinanzi ad una pianta bellissima la quale cresceva solitaria in mezzoad un piccolo spiazzo.

Era una specie di salicealto più di sessanta piedicon lacima rassomigliante ad una cupola immensaformata da foglie oblunghelarghenon però così grandi come quelle delle palme.

Dai rami e dal tronco di quella strana piantal'acquatrasudava in così grande quantità da formare al basso una piccola palude. Erauna pioggia continuaincessante e anche abbondante che cadeva al suolo con unrumore monotonoeguale.

«Una vera pianta fontana!» esclamò Carmauxstupito. «Ionon ho mai veduto una cosa simile.

«È realmente curiosissima» disse il Corsaro«che piantaè questa?»

«Un tamai-caspi() signore» rispose il negro.

«E da dove proviene tutta quest'acqua?» chiesel'amburghese.

«Probabilmente quest'albero assorbe e condensa l'umiditàdell'atmosfera per mezzo d'organi speciali» disse il Corsaro. «Anche nelleCanarie vi sono delle piante che danno acqua in abbondanza.

«E piange sempre quest'albero?» chiese Carmaux.

«Non cessa mai» rispose Moko. «Anzi emette maggiorquantità d'acqua quando i fiumi sono scarsi e le fontane asciutte.»

«Approfittiamone» disse Carmaux. «Quantunque Mokoassicuri che quest'albero piange sempreavrei paura che da un momento all'altrocessasse.»

Carmaux però non era solamente assetato; aveva anche moltafame e siccome le provviste erano state esaurite durante la giornata e non piùrinnovate in causa dell'assoluta proibizione di far uso delle armi da fuocosirivolse nuovamente al suo compare sacco di carbone:

«L'acqua è una gran buona bevanda» disse. «Però mi sonoaccorto che le lagrime di questo tamai-caspi non fanno altro che lavare imiei intestini. Se tuMokosei veramente un brav'uomodovresti trovarequalche altro albero che ci fornisse anche qualche cosa di più solido.»

Proprio in quel momento dalla parte della laguna si udì aecheggiare un grido stranoche pareva fosse stato mandato da qualche grossoanimale.

«Che è questo?» chiese Carmaux.

Il negro e anche Yara si erano voltati di colpo guardandoattraverso gli alberi.

«Un manato!» esclamò la giovane indianaguardando Moko.

«Sì» rispose questi.

«Vuoi dire un lamantino?» chiese il Corsaro.»

«Sìcapitano. Una preda squisita.»

«Ma altrettanto difficile a prendersi.»

«Noi l'avremocapitano.»

«Senza far uso dei fucili?»

«Basterà un arpione.»

«Se non ne abbiamo?»

«Ne faremo unosignore. Compare biancohai unacordicella?»

«Anche dieci se ne vuoi» rispose Carmaux. «Un marinaionon è mai sprovvisto di canapi.»

Un secondo grido era echeggiato più vicino. L'animale inquestione doveva trovarsi presso le rive dell'isolotto. Il negro spezzò unlungo ramo quasi dirittolo sbarazzò delle fogliepoi ad una estremità legòsaldamente la sua navajaformando così una specie di lancia lunga oltretre metri.

Il negro si era diretto verso il luogo ove si trovava lazattera. Giunto presso i paletuvieri che costeggiavano l'isolottosi eraarrestatoosservando attentamente l'acqua del canale.

Le tenebre erano già calateperò non essendovi nebbia inquel luogosi poteva scorgere benissimo quanto avveniva sulla laguna.

A breve distanza dalla zattera le piante acquatiches'agitavano come se qualche grosso animale cercasse di aprirsi un passaggio.

«È là» disse il negrovolgendosi verso i filibustieri.- Sta pascolando.

«Rimarremo nascosti qui?»

«Pel momento sì»- rispose Moko«Ah!... Eccolo!»

Il Corsaro Nero ed i suoi compagni si erano curvati suipaletuvieti. In mezzo alle erbe acquatiche era comparso un pesce enormerassomigliante un po' ad una focacol muso però allungato invece d'essererotondo.»

«Il manato?» chiese Carmauxsotto-voce.

«Sì» rispose Moko.

«È ben grosso.»

«Non lasciamolo fuggire» disse il Corsaro.

«Non muovetevi» rispose il negro.

Aveva brandita la lancia e si era inoltrato lentamente fra irami contorti dei paletuvierisenza produrre il menomo rumore.

Il lamantino si teneva mezzo sommerso; però di quando inquando alzava la testacome se cercasse di raccogliere qualche rumore. Si eraforse accorto della presenza dei nemici? Era probabileavendo interrotta la suacena.

D'improvviso si vide Moko rizzarsi di colpo all'estremitàdei paletuvieri. Si vide la lunga asta attraversare lo spazio e cadere propriosul dorso del lamantinoimmergendosi profondamente nelle carni.

«Alla zattera!» gridò il negro.

I tre filibustieri si erano precipitati verso il galleggianteassieme a Yara. Moko li aveva già precedutiimpugnando la scure.

Il lamantinoferito forse mortalmentesi dibattevafuriosamente fra le piante acquatichemandando dei grugniti che diventavanorapidamente fiochi.

Balzava in mezzo alle canne spezzandole sotto il propriopesos'inabissava fragorosamente sollevando delle vere ondate le quali andavanoad infrangersi rumorosamente fra le radici dei paletuvieripoi tornava aricomparire sbuffando e soffiando.

Malgrado quegli sforzi disperatila lancia rimaneva sempreinfissacagionandogli anzicon quelle scosse incessantimaggior dolore edaumentando la perdita del sangue.

«Addosso!... Addosso!...» aveva gridato il Corsaroslanciandosi a prora colla spada in pugno.

La zatteravigorosamente spinta innanzi da Carmaux edall'amburgheseattraversò rapidamente il canale e raggiunse il disgraziatomammifero il quale si era imbarazzato fra le radici dei paletuvieri.

Moko aveva alzata la scure. Si udì un colpo sordo come sequalche cosa fosse stato sfondatoseguito da un lungo grugnito.

«È nostro!» si udì a gridare.

Il lamantinocolla testa spaccata da un tremendo colpo discureera andato ad arenarsi su di un banco di sabbia e colà aveva esalatol'ultimo sospiro.

«Ecco la cena» disse Mokopreparandosi a fare a pezzi lapreda.

«E che cena!» esclamò Carmaux. «Bisognerebbe essere incento per mangiarla tutta.»

Il Corsaro si era curvato sul mammifero e lo osservavacuriosamente. Quell'abitante dei fiumi e delle lagune dell'America Centrale emeridionale era lungo cinque metriquindi non era dei più grossiraggiungendoquesti mammiferi anche i sette e talvolta gli otto metri.

Aveva la forma d'una focaperò il muso era allungato ed unpo' anche appiattito. Invece di pinne aveva due zampe larghe e la coda moltolarga e sotto il petto aveva delle mammelle ben rigonfie di latte.

Questi mammiferi sono diventati piuttosto rari oggidì. Se netrovano però ancora nell'Orenoconell'Amazzoniapresso le foci dei fiumidella Guiana e sulle rive dell'Honduras e qualcuno anche nel Messico. Sonoassolutamente inoffensivinon avendo armi di difesa e si nutrono esclusivamentedi piante acquatiche. Al pari delle fochevivono tanto in acqua quanto interraperò di rado salgono le rivesapendo che fuori dal loro elementoperdono la loro agilitànon essendo conformati per camminare.

Moko con pochi colpi di scure aveva troncata la parteinferiore del lamantino. Era un bel pezzo pesante una sessantina di libbrepiùche sufficiente a nutrire abbondantemente i filibustieri per alcuni giorni. Ilresto fu abbandonato sul bancoa pasto dei caimani.

Tornati sull'isolottoi filibustieri accesero un bel fuoco emisero ad arrostire un pezzo di lamantino infilzato in una bacchetta di ferrod'un fucile. E così fecero una cena squisita. La notte trascorse senza allarmiquantunque i caimani avessero più volte battagliato nei dintorni dell'isolotto.

All'indomani i filibustieri si imbarcavanocolla speranza dipoter raggiungere la terra ferma prima che tramontasse il sole.

Essendo il vento favorevoleper accelerare maggiormente lamarcia della zatteraal di sopra del casotto avevano collocati parecchi ramiassai frondosi i qualibene o malepotevano fare l'ufficio d'una vela. Amezzodìdopo d'aver percorsi numerosi canali e d'aver oltrepassate molteisoletteil Corsaro che erasi seduto sulla tettoia per meglio dominare lalagunascopriva una colonna di fumo la quale s'alzava fra gli alberi checoprivano la terra ferma.

«Saranno spagnuoli o indiani?» si chiese.

«Non devono essere spagnuoli» rispose il gigante. «Inquesti dintorniche io sappianon vi sono città. Decono essere indiani.»

«E tuYarache cosa mi consigli di fare?...»

«Di raggiungere quell'accampamentomio signore» risposela giovanetta. «Dagli indiani nulla abbiamo da temereanzi avremo forse delleinformazioni preziose.»

«Andiamo adunque alla costa» disse il Corsarodopo unabreve indecisione.

La zattera aveva allora imboccato un vasto canale il qualepareva che si dirigesse precisamente verso quella colonna di fumo.

Essendo il vento favorevolissimoil galleggiante s'avanzavacon una certa velocitàlasciandosi a poppa una larga scia gorgogliante. Isolee isolotti si stendevano sempre a destra ed a sinistra del canalealcunicoperti da canne e da paletuvieri ed altri da alberi altissimi e assai fronzuti.Sulle rive di quando in quando si vedevano famiglie di caimanioccupate agodersi il sole.

I piccoli giuocavano colle madriinseguendosimordendosicacciandosi in acqua reciprocamente.

Alle duesolamente un mezzo chilometro separava la zatteradella terra ferma. La spiaggia molto bassa era coperta da piante d'alto fusto.Si vedevano in gran numero palme di varie specieacagiùfelci arborescentisplendidissime e anche non pochi cedri.

La colonna di fumo non si scorgeva piùnondimeno il Corsarosperava di giungere egualmente al campo indianoavendone rilevata la posizione.

«Un ultimo sforzoamici» diss'egli a Carmaux ed ai suoidue compagnii quali puntavano faticosamentenon essendovi più ventofavorevole. «Dopo vi riposerete fino a domani.»

«Andiamo subito in cerca dell'accampamento?» chieseCarmaux.

«Tu preferiresti invece riposartiè vero marinaio?» disseil Corsaro.

«O meglio prepararci la cenacapitano» rispose ilfilibustiereridendo. «Abbiamo ancora un bel pezzo di lamantino da mettere sulfuoco.»

«Vada per la cena» disse il Corsaro. «Penseremo piùtardi a cercare l'accampamento.»

«Compare sacco di carbonetu puoi frugare la foresta. Cisaranno delle frutta fra queste piante.»

«E anche del miele» rispose il negroil quale da qualcheistante guardava in mezzo agli alberi con viva attenzione.

«Del mielehai detto!... Ventre di balenahai scopertoqualche alveare?»

«Nodei formicaicompare bianco.»

«Dei formicai!» esclamò Carmauxguardando il negro constupore. «Cosa c'entrano le formiche col miele che mi prometti?»

«Seguimicomparee lo saprai.»

«Seguiamolo» disse il Corsaroche non era meno stupito diCarmaux.

Il negro era scivolato fra due fitti cespugli fermandosidinanzi ad una piccola diga di sabbia lunga poco più d'un metro e alta otto odieci centimetrila quale s'estendeva dinanzi al tronco di un grosso palmizio.

«Cos'è quello?» chiese Carmaux.

«Un nido di formiche» rispose il negro.

Da un buco aperto nel centro di quella piccola digafoggiatoa imbutouscivano in quel momento alcune formiche molto più grosse dellenostre e col ventre assai rigonfioin modo da sembrare un piccolo grano d'uva.

Moko ne prese unala schiacciò fra le dita e l'accostòalle labbrasucchiandola avidamente.

«Puah! - fece Carmaux.

«È piena di miele- rispose Moko().

Poi colla navaja spezzò in due la diga e mise alloscoperto una serie di gallerie e di camerette divise da piccoli muri formati dasassolini impastati con fango. Continuando a scavare in direzione di quellegallerie brulicanti di formichecon un ultimo colpo sollevò una zolla diterramostrando ai filibustieri stupiti otto cellette di forma ovalelarghecinque o sei pollicilunghe quattro e alte circa uno nel centro. Queiripostigli erano ripieni d'una materia oscura la quale tramandava un leggeroodore acidulo.

«Il compare bianco intinga il dito e lo porti alle labbra»disse Moko.

«Non mi fido» rispose il marinaio.

«Proverò io» disse il Corsaro.

Affondò un dito in quella materia e lo accostò alla bocca.

«È miele dolcissimo» disse.

«Proprio mielecapitano?» chiese Carmaux.

«E buonissimoCarmaux. È solamente un po' aciduloincausa dell'acido formico di questi insetti.»

«Chi crederebbe che in questo paese le formiche producono ilmiele come le api? Se me lo avessero raccontatonon vi avrei certamenteprestato fede.»

«AssaggiaCarmaux» disse Wan Stiller. «È propriomiele.»

«Raccogliamolo e ci servirà di dolce dopo l'arrosto»disse il Corsaro.

Moko andò a prendere una foglia di palma molto larga efatto una specie di cartocciolo riempì.

«Ne abbiamo almeno quattro libbre» disse il negro.

«Peccato non avere dei biscotti» disse Carmaux.

«Li surrogheremo con banane» rispose il negro. «Spero ditrovarne.»

Saccheggiate tutte le cellei filibustieri fecero ritorno alloro accampamentoattraversando numerose colonne di formiche.

I poveri insetticacciati dal loro nidofuggivano in tuttele direzionicome un esercito sconfitto. Probabilmente aspettavano la partenzadei saccheggiatori per ritornare nelle gallerie e ricominciare le costruzioniatterrate dal negro.

Queste laboriose formiche sono abbastanza numerosenell'America Centraleparticolarmente nel Messico e nel Nuovo Messico e lungoil Colorado.

Dobbiamo però aggiungere anche che sono molto perseguitatesia dagli uomini che dagli animalispecialmente dagli orsi formichierii qualioltre a divorare ingordamente il mieledivorano pure le produttrici. Il mieleche depositano nelle loro celle di poco differisce da quello delle apiavendoun gusto molto gradevolema senza profumo. È una soluzione quasi pura dizuccherosenza però traccia di cristallizzazione. Solamente in estate èleggermente acidulo.

Quella materia la estraggono dalla gomma zuccherata dellanoce di galla prodotta dalla quercia ondulata e si calcola che siano necessarieoltre novecento formiche per produrne una libbra.

I messicani e sopratutto gl'indianine fanno un grandeconsumo e sanno anche estrarne un liquore molto alcoolico e assai gustoso.

 

 

Capitolo XVII

 

Vera-Cruz

 

Dopo di essersi riposati qualche ora e aver calmata la famei filibustieri si misero in marcia per cercare l'accampamento indiano.

Temendo però che invece d'indiani fossero spagnuoliMokoche era il più lesto di tuttifu mandato innanzi ad esplorare i dintorni. Laforesta che attraversavano era fittissima e formata da piante diverse le qualicrescevano così vicine le une alle altreda rendere talvolta assai difficileil passo.

Vi erano splendidi bananidalle foglie smisurate e cheportavano enormi grappoli di frutta succolente; superbe felci arborescentid'altezza prodigiosa; cedri colossali che spandevano profumi deliziosiessendoin fiore; bellissime palme alte trenta e perfino quaranta piedicoronate dalunghe foglie ricadenti elegantemente e ricche di spate d'una splendida tintaturchina a liste color del fuoco; poi acagiù dal legno preziosoarancipalmedella cera e cento altre di specie svariate. Un numero infinito di lianecircondava quelle pianteintrecciandosi in mille guiseserpeggiando a livellodel suolo od attortigliandosi attorno ai tronchi ed ai rami degli alberi.

Numerosi volatili cicalavano in mezzo all'immensa volta diverzura. Erano per lo più pappagallima non mancavano le splendide are dallebelle piume color del fuoconè i caninde dalle ali turchine ed il pettogiallo.

Di quando in quandolungo i tronchisi vedevano fuggirequelle brutte lucertolone chiamate iguane o lagartilunghequattro o cinque piedicolla pelle nerastra a riflessi verdastrirettili chefanno ribrezzo a vederli e che pure sono così ricercati per la delicatezzadelle loro carnile quali ricordano quella dei giovani pollicosì almenoaffermano i buongustai messicani e brasiliani.

Dopo aver marciato una buona oraaprendosi faticosamente ilpasso fra quel caos di vegetalii filibustieri s'incontrarono con Moko il qualeli aveva preceduti di tre o quattrocento metri.

«Hai veduto gl'indiani?» chiese il Corsaro.

«Sì» rispose il negro. «Il loro accampamento èvicino.»

«Sono molti?»

«Forse una cinquantina.»

«Ti hanno già veduto?»

«Ho parlato col loro capo.»

«Acconsentono a darci ospitalità?»

«Sìavendo io detto loro che noi siamo nemici deglispagnuoli e che fra noi si trova una principessa indiana.»

«Hai veduto dei cavalli nel loro campo?»

«Ne hanno una ventina.»

«Spero che ce ne venderanno» disse il Corsaro. «Andiamoamicie se tutto va bene vi prometto di condurvi domani a Vera-Cruz.»

Pochi minuti dopo i filibustieri giungevano all'accampamentoindiano. Esso si componeva di una ventina di capanneformate di frasche e dipali e abitate da una dozzina di famiglie.

Era una tribù minuscolache aveva preferita la libertànella foresta vergine al duro lavoro delle miniere a cui gli avidi conquistatorispagnuoli sottoponevano in quell'epoca tutte le pelli rosse.

Quei poveri indiani erano però assai miserabili. Nonvivevano che di caccia e di pesca e tutta la loro ricchezza consisteva in unaventina di cavalli ed in pochi montoni. Avendo saputo che i filibustieri eranonemici degli spagnuolifecero al Corsaro ed ai suoi compagni una lietaaccoglienzamettendo a loro disposizione le migliori capanne ed offrendo unmontone che fu subito sgozzato.

Dal capoun vecchio che conosceva molto bene il paeseilCorsaro potè avere preziose informazioni sulla via da tenere per recarsi aVera-Cruz. All'indomaniprima dell'albail drappello lasciava il villaggiodopo d'aver compensata largamente l'ospitalità offerta da quei buoni indiani.Il Corsaro aveva potuto ottenere cinque vigorosi cavalli di razza andalusaiquali promettevano di far molto cammino senza stancarsi.

A mezzodìdopo una corsa indiavolatai filibustieri cheavevano presa la via costieragiungevano già all'altezza di Jalapaunapiccola borgata di ben poca importanza a quell'epocaed oggi invece una dellepiù belle cittadine del Messico. Fecero una fermata d'un paio d'ore per lasciarriposare i cavalli che fumavano come zolfatare e alle due riprendevano la corsaansiosi di giungere finalmente nella città abitata dall'odiato Wan Guld.

Non fu che alle sette della sera che essi poterono scorgeresul luminoso orizzontele torri merlate del forte di S. Giovanni di Luz cheallora era armato di sessanta cannoni e che si reputava come imprendibile.

Scorgendoloil Corsaro Nero aveva trattenuto il suo cavallo.Un lampo terribile balenava nei suoi sguardi ed i suoi lineamenti si eranoalterati.

«Lo vediYara?» chiese con voce cupa.

«Sìmio signore» rispose la giovane indiana.

«Tu lo credi imprendibileè vero?»

«Si dice che sia la rocca più forte del Messico.»

«Ebbene fra pochi giorni noi abbasseremo lo stendardo diSpagna che sventola sulla grande torre.»

«Ed io sarò vendicata?»

«SìYara.»

Ciò detto cacciò gli sproni nei fianchi del cavallo epartì a gran galoppoattraversando le piantagioni di cacao che coprivano lepianure. Alle nove di seraun poco prima che si chiudessero le porteildrappello giungeva senza ostacoli in Vera-Cruz. Questa città ora è una dellepiù importanti e anche delle più popolose del Messicoma in quell'epoca nonaveva che la metà dei venticinquemila abitanti che conta oggidì. Tuttaviaanche nel 1683 era reputata come uno dei migliori e dei più ricchi porti delMessicosebbene anche allora godesse fama di essere uno dei più malsani delgran golfo e uno dei più battuti dalle tempeste. Gli spagnuoli ne avevano fattoun gran centro commerciale e vi avevano accumulate ricchezze immensemunendoloperò di solide fortificazionionde metterlo al coperto da un possibile assaltoda parte dei filibustieri.

Il Corsaro Neroguidato da Yarala quale conoscevabenissimo la città avendovi soggiornato più di due annisi fece condurre inuna posadaossia in un albergosituato nelle vicinanze del forte di S.Giovanni di Luz. Più che un albergo era una modesta trattoriafrequentata damarinai e da mulattieridove si poteva avere un pessimo letto ed un magropranzo per cinque piastre a testa.

Il padroneun grosso andalusoche doveva essere moltoamante del generoso vino spagnuoloa giudicarlo dalla tinta rubiconda del suonasofiutato nei nuovi arrivati dei buoni clientimise a loro disposizione ledue uniche camere d'albergo e la sua cucina.

«Abbiamo molta fame» disse Carmauxche fungeva damaggiordomo. «Ti domandiamo un pranzo eccellente e soprattutto delle bottigliesquisite. Don Guzman de Sotomio padroneè uomo da non lesinare le piastre.»

«Sua Eccellenza non avrà da lamentarsi di me» risposel'andalusoinchinandosi umilmente.

«Ah!... Mi dimenticavo una cosa» disse Carmauxassumendol'aria d'un personaggio importante.

«Cosa desidera S. E.?»

«Mia eccellenza voleva chiederti una informazione.»

«Sono tutto orecchi.»

«Volevo chiederti come sta l'amico del mio signoreil ducadi Wan Guld. È molto tempo che non l'abbiamo veduto.»

«Gode ottima saluteEccellenza.»

«È sempre in Vera-Cruz?»

«SempreEccellenza.»

«E dove abita?»

«Presso il governatore.»

«Grazieamico: ti raccomando il pranzo e sopratuttobottiglie buone.»

«Del Xères e dell'Alicante autenticoEccellenza.»

Carmaux lo congedò con un gesto maestoso e raggiunse ilCorsaro il quale stava parlando animatamente con Yarain una delle due stanzemesse a sua disposizione dal trattore.

«Il fiammingo è quicapitano» gli disse. «Me l'haconfermato or ora l'oste.»

«Allora tu Yara mi condurrai dalla marchesa di Bermejo.»

«Questa sera istessa?»

«Forse domani i filibustieri saranno qui.»

«E se questa notte il duca non andasse dalla marchesa?»disse Yara.

«Andrò ad assalirlo nel suo palazzo e lo uccideròegualmente.»

«Una impresa impossibilecapitano» disse Carmaux.

«Perchè dici questo?»

«L'oste mi ha detto che il duca è ospite del governatore.Come vorreste entrare nel palazzoche sarà guardato da numerose sentinelle?»

«È veroCarmaux» disse il Corsaro. «Però bisogna cheio lo trovi prima che giungano qui i filibustieri.»

L'oste in quel momento entròseguito da due giovani negrii quali portavano dei canestri ripieni di piatti e di bottiglie.

Deposero tutto su una tavola già apparecchiatapoi ad uncenno di Carmaux si ritiraronochiudendo la porta.

«L'oste ha fatto dei veri miracoli» disse Carmauxilquale ispezionava le vivande e le bottiglie da uomo che se ne intende.

«Ecco qui una bell'anitra in salsa piccante.»

«Ed ecco qui una grossa iguana arrostita» disse Moko.«Piatto da governatore.»

«E questo è un pezzo di manzo con fagiolini verdi.»

«E queste bottiglie!» esclamò Wan Stiller. «Capperi!...Xères del 1650!... Malaga del 1660 e Alicante del 1500!...»

I filibustierimessi di buon umore da un eccellentebicchiere di Malaga molto vecchioassalirono animosamente le vivande. Solamenteil Corsarotroppo preoccupatofece poco onore al pastocon granderincrescimento di Carmaux il quale non finiva mai di lodare la squisitezza dellevivande e sopratutto la bontà dei vini.

Verso le dieci della serail Corsaro s'alzòdicendo:

«È l'ora della vendetta: andiamo.

Vuotò d'un fiato un ultimo bicchiere di Xèressi cinse laspadasi avvolse nell'ampio mantello infioccato e aprì la porta. Tutti glialtri si erano alzati.

«Dobbiamo portare con noi anche i fucili?» chiese Carmaux.

«Basteranno le vostre pistole e le navaje» risposeil Corsaro. «Vedendoci armatigli spagnuoli potrebbero avere qualche sospettosu di noi.

Avvertirono il trattore che sarebbero tornati molto tardidovendo visitare molti amici e uscirono preceduti dalla giovane indiana. Le vieerano buie e pochissimo frequentateavendo l'abitudine gli spagnuoliinquell'epocadi ritirarsi per tempo nelle loro case. Solamente su qualcheterrazza si vedevano delle persone che stavano godendosi il fresco della notte.

Yaraa fianco del Corsaroprocedeva senza esitare.Quantunque mancasse da Vera-Cruz da qualche annoconosceva ancora a menadito lacittà.

«Avremo da camminare molto?» le aveva chiesto il Corsaro.

«Non più d'un quarto d'ora» aveva risposto la giovane.

Stavano per voltare l'angolo d'una viaquando il Corsaro fuviolentemente urtato da un uomo avvolto in un ampio mantello e che veniva dallaparte opposta.

«Tonnerre de Dieu!» esclamò lo sconosciutofacendo un balzo indietro e mettendosi sulla difensiva.

«Toh!... Un francese!» esclamò il Corsaro.

Lo sconosciuto udendo quella voce aveva aperto il mantellopoi si era avvicinato rapidamente al Corsaro guardandolo attentamente.

«Il signor di Ventimiglia!» esclamò. «Ecco una fortunainaspettata!...»

«Chi sei tu?» chiese il Corsaro mettendo la destrasull'impugnatura della spada.

«Un uomo di Grammontcavaliere.»

«E come ti trovi qui?» chiese il signor di Ventimiglia constupore.

«Venivo in cerca di voicavaliere.»

«Sapevi che ero qui?»

«Grammont lo sperava.»

«E cosa devi dirmi?»

«Vi venivo ad avvertire che i filibustieri sono giàsbarcati a due leghe da Vera-Cruz.»

«E quando assaliranno la città?»

«Domaniall'alba.»

«Quando sei giunto qui?»

«Da sole tre ore- rispose il francese.

«La mia Folgore s'è unita alla squadra?

«Sìcavaliereed ha sbarcato buona parte del suoequipaggio.

«Devi ritornare da Grammont?

«Subitocavaliere.

«Gli dirai allora che gli spagnuoli sono tranquilli e chenon hanno finora alcun sospetto.

«Null'altro?

«Aggiungerai che io questa notte sorprenderò Wan Guld e chepossibilmente lo ucciderò. Addio: domaniquando voi entreretesarò allavostra testa.»

«Buona notte e buona fortunasignor di Ventimiglia»rispose il franceseallontanandosi rapidamente.

«Affrettiamoci» disse il Corsarovolgendosi verso i suoiuomini. «All'alba Laurentdi Grammont e Wan Horn si slanceranno all'assaltodella città.»

Il drappello si rimise in marciainoltrandosi in una viuzzache serpeggiava fra alte mura che circondavano dei giardini. Attraverso allepalme si vedevano vagamente delle massicce costruzioniprobabilmente deipalazzoni.

Yara percorse cinquanta o sessanta metripoi si arrestòbruscamente dinanzi ad un cancello di ferro.

«Guardamio signore» disse. «Forse l'uomo che noi tantoodiamo e che tu uccideraiè là!»

Il Corsaro si era slanciato verso il cancello. Dietro siestendeva un vasto giardino ricco di palme splendide e di aiuole di fiori eall'estremità si distingueva un palazzo massicciosormontato da una torrequadrata. Due finestre del piano terreno erano illuminate vivamente. La lucefiltrava attraverso le persiane abbassatestendendosi sulle aiuole che siprolungavano dinanzi all'abitazione.

«Che sia là?» si chiese il Corsarocon voce terribile.

«Forsemio signore.»

«MokoCarmauxWan Stilleraiutateci.»

Il negro che era il più alto di tutti e anche il più agilesalì sul cancellopoi stese una mano al Corsaro e lo sollevò senza sforzoapparentedeponendolo dall'altra parte. Gli altri eseguirono la stessa manovrasenza alcuna difficoltà.

Quando si trovarono tutti riuniti sotto la fosca ombra dellepalmeil Corsaro snudò la spadadicendo ai suoi uomini:

«Avanti e silenzio!»

Un viale molto ampiofiancheggiato da due filari di palme eda aiuole di fiori esalanti acuti profumis'apriva dinanzi ai filibustieri. IlCorsarodopo d'aver ascoltato per qualche istanterassicurato dal profondosilenzio che regnava nel giardinorotto solamente dal monotono strido diqualche grillos'avanzò risolutamente lungo il vialetenendo gli occhi fissisulle due finestre illuminate. Si era sbarazzato dell'ampio mantello infioccatogettandoselo sul braccio sinistro e nella destra teneva la spada. Carmaux ed isuoi compagni avevano aperte le loro lunghe navaje e tenevano pronte lepistole che portavano alla cintola. Camminavano tutti con precauzioneonde nonfar stridere la ghiaia o le foglie secche cadute già in buon numero.

Giunto all'estremità del vialeil Corsaro s'arrestò unmomentoguardando a destra ed a manca.

«Non vedete nessuno?» chiese ai suoi uomini.

«Nessuno» risposero tutti.

«Mokotu t'incaricherai di Yara.»

«Cosa devo fare padrone?»

«Passarla sopra la finestra quand'io sarò entrato.»

«E noicapitano?» chiese Carmaux.

«Voiappena dentrovi metterete a guardia delle porte ondenessuno venga a disturbarmi.»

Il Corsaro aveva attraversato il piccolo piazzale chefronteggiava il palazzo e si era accostato ad una delle due finestre illuminate.Un gesto di gioia e ad un tempo di minaccia avvertì i filibustieri che l'uomoda tanto tempo cercato si trovava là dentro.

«L'hai vedutomio signore?» chiese Yara con voce sorda.

«Sì: guarda!» esclamò il Corsaro alzandola all'altezzadella finestra.

In una splendida stanzariccamente ammobiliatacon grandispecchi di Venezia e bellissimi cortinaggistavano due persone sedute dinanziad una tavola imbandita.

Di fronte ad un massiccio candelabro d'argentochesorreggeva una dozzina di candeleproprio in piena luce e comodamente sdraiatosu una poltrona di bambù lavoratostava un uomo sulla cinquantina.

Era di statura alta e ben complessocon una lunga barba giàquasi biancacogli occhi nerissimi e ancora pieni di fuoco ed i lineamentiarditi ed un po' duri.

Nonostante l'età si capiva che quell'uomo era vegeto erobusto quanto uno di quaranta e fors'anche meno e che non aveva ancora perdutonulla dell'agilità giovanile.

Il tempo aveva rugata la fronte e incanutiti i capelli e labarbama non aveva ancora piegata quella fibra robusta.

Di primo acchito sembrava uno spagnuolovestendo il riccocostume castigliano di seta rigata a larghe striscecolor violetto con maglianera alle gambeperò lo tradiva una larga fascia a ricamiusata inquell'epoca dai fiamminghi. Presso di luipure sedutastava una bellissimadonnasui trent'annidall'abbondante capigliatura neracogli occhi tagliati amandorla e la pelle leggermente abbronzatacertamente qualche andalusa oqualche sivigliana. Entrambi discorrevano tranquillamentecentellinando unliquore color dell'ambrache si trovava in una coppa di cristallo.

«Conosci quella donnaYara?» chiese il Corsaro con vocerotta.

«Sìla marchesa di Bermejo.»

«E l'altrolo conosci?»

«È l'uomo che ha distrutta la mia tribù.»

«E che ha ucciso i miei fratelli» disse il Corsaro.

Alzò violentemente la persiana e con un salto da tigrebalzò prima sul davanzalepoi nella stanzagridando con voce sibilante:

«A noi dueduca!»

La spada che stringeva si era tesa fra il vecchio e lamarchesafiammeggiando sinistramente alla vivida luce delle candele. Il ducavedendo comparire il Corsaro Neroaveva mandato un grido che tradiva ad untempo la sorpresa e lo spaventopoi con una mossa repentina s'era accostato aduna sedia sulla quale trovavasi la sua spada.

«Voi!» aveva esclamatoimpallidendo come un cencio lavato.

«Mi conosceteduca?» chiese il Corsarocon accentoselvaggio.

Il vecchio non rispose: guardava il suo avversario cogliocchi smisuratamente dilataticome se si vedesse dinanzi una spaventosaapparizione. La marchesa di Bermejo si era pure alzataguardando superbamenteil Corsaro.

«Cosa vuol dire ciòsignore?» chiese con accentosdegnoso. «Chi siete voi che osate entrarecolla spada in pugnonella casadella marchesa di Bermejo?... Credete forse che non abbia abbastanza servi perfarvi gettare dalla finestra?... Uscite!»

«Il signor di Ventimiglia e di Roccanera è abituato aduscire dalle porte e non già dalle finestresignoradovessi passare sul corpodi cento uomini» rispose fieramente il Corsaro.

«Il signor di Ventimiglia!... Il Corsaro Nero!...»balbettò la marchesarabbrividendo.

«Carmauxamici a me!» gridò il filibustiere.

I suoi tre marinai e Yara si erano precipitati nella stanza.Carmaux e Wan Stiller si erano subito slanciati verso le due porte per impedireal duca di fuggire ed ai servi di entrare.

La giovane indiana si era invece accostata al vecchiofiammingodicendogli con voce fremente:

«Ti ricordi di meduca?...»

Un grido strozzato era sfuggito dalle labbra di Wan Guld:

«Yara!...»

«Sìquella Yara che aveva giurato di vendicare un giornola distruzione della sua tribù. In questa nottele ombre dei miei fratellihanno abbandonato gli abissi del mare per assistere alla vostra morte.» gridòil Corsaro Nero. «Difendetevi perchè io vi uccido.»

«Volete assassinarmi?»

«Sono troppo buon gentiluomo per trucidarvi senza difesa.Carmauxconduci via la signora.»

«Signore» disse la marchesacon orgoglio. «I mieiantenati hanno combattuto più di cento battaglie ed io ho fatto fuoco suifilibustieri dalle mura di Gibraltar. Voglio assistere a quanto sta persuccedere in casa mia.»

«Avete ragionemarchesa» disse il signor di Ventimigliainchinandosi. «Vi prego di ritirarvi in un angolo onde io possa esserelibero.»

«Di uccidere il duca?»

«Sìmarchesa.»

«Sarà lui che ucciderà voi.»

«Lo vedremosignora.»

Durante quello scambio di paroleil duca era rimastoimmobile e mutoleggermente appoggiato alla sua spada. Era sempre pallidissimoperòvecchio uomo di guerraaveva riacquistata subito la sua calma e la suaaudacia dinanzi al pericolo.

«Ed ora a noiduca» disse il Corsarosalutandolo collaspada. «Uno di noi non uscirà più vivo da questa stanza.»

Un sorriso ironico spuntò sulle labbra del duca.

Stava per mettersi in guardiaquando alzando la spadadisse:

«E se io vi uccidessi?»

«Volete dire?»

«I vostri uomini mi assassinerebbero poi.»

«I miei uomini hanno avuto già l'ordine di non immischiarsinelle nostre faccende. Io sono un gentiluomosignore.»

«Allora badate: sono la prima lama delle Fiandre.»

«Ed io la migliore del Piemonteduca.»

«Alloraprendete!...»

Il ducacon un'agilità che non si sarebbe mai supposta inun uomo già così innanzi negli annisi era gettato improvvisamente addosso alCorsarocolla speranza di sorprenderlo.

Il signor di Ventimiglia però con una mossa fulminea avevaalzato il braccio sinistro difeso dal mantelloricevendo la stoccata fra lepieghe di esso.

«Ciò non è lealeduca» disse.

«Vendico mia figlia!» urlò il vecchio con voce terribile.

«Ed io i miei tre fratelli che tu hai assassinati!» gridòil Corsaro.

 

 

Capitolo XVIII

 

Colpi di spada e colpi di fucile

 

Quei due fieri uomininei quali l'odio era parisi eranoattaccati con vero furoredecisi a non accordarsi quartiere.

Entrambi valorosi ed esperti nella difficile arte dellaschermadovevano durare a lungoprima che le loro lame bevessero il sanguedell'uno o dell'altro. Il Corsarodopo i primi colpiera diventato prudente.Aveva compreso d'aver da fare con una lama formidabile che non la cedeva allasuaed aveva frenato i suoi impetuosi attacchiimponendo la calma ai nervi. Ilducaquantunque non fosse più giovanesi batteva splendidamenteparandodestramente le fulminee stoccate del suo avversario e vibrandone quando gli sipresentava l'occasione.

Tutti tacevano: la marchesaappoggiata ad una sediaseguivaattentamente le mosse dei due avversarii come una dilettante; i filibustieriappoggiati alle portecolle navaje però in pugnonon staccavano glisguardi dal loro capitano; solamente Yara pareva vivamente commossa.Rannicchiata in un angolo della stanzaguardava fissamente il Corsaro con dueocchi umidi. La povera giovane tremava forse pel suo vendicatore e protettore esussultava ogni volta che lo vedeva parare una botta o fare un passo innanzi.

Le due lamedestramente maneggiate da quei due formidabiliuoministridevano e fiammeggiavano alla viva luce delle candele.

Il cozzare dell'acciaio era il solo rumore che rompesse ilsilenzio che regnava nella sala.

Il Corsaro incalzava sempre con grande vivacitàcercando dicostringere l'avversario a rompere. Ogni volta che questi accennava ad unaripresamoltiplicava le stoccate e le finterendendo impossibile ognicombinazione già studiata. Il duca cominciava a perdere la calma e adesaurirsi. Un copioso sudore freddo gli bagnava la fronte e la sua respirazionediventava a poco a poco affannosa.

Invece il Corsaro pareva che si fosse messo in guardia appenaallora. Nessuna stilla di sudore e nessun indizio di stanchezzaanzi pareva chela sua agilità diventassedi momento in momentopiù impetuosa. Ad un trattoil ducastretto da vicino e tempestato di stoccatefece un primo passoindietro.

Un grido sfuggì alla marchesa di Bermejo.

«Ah!... Duca!...»

«Silenziosignora!» tuonò il Corsaro.

Il ducapunto forse sul vivo dal grido della bella marchesae che suonava come un rimproverocon un fulmineo attacco cercò di riguadagnareil passo perduto e ricevette invece una stoccata che gli lacerò la giubbaproprio in direzione del cuore.

«Morte dell'inferno!» gridòfurioso.

«Troppo corto» rispose il Corsaro.

«Sarà più lungo questo» rispose il duca andando a fondocon una botta di seconda.

«Allora prendi questa stoccata» rispose il Corsaro cheaveva parato.

E scartando bruscamentesi curvò fino quasi al suolospostando contemporaneamente la gamba sinistra. Era il così detto colpo del cartocciouno dei più pericolosi della scuola italiana.

Il duca che forse lo conoscevafu in tempo per evitarlofacendo un balzo indietro. La botta era stata parataperò aveva perduto altridue passi e si trovava quasi a ridosso al muro.

Il duca peròaccortosi di essere già giunto all'estremitàdella salaaveva rotta la sua lineaindietreggiando obliquamente verso unangolo. Voleva ritardare di qualche minuto l'istante in cui si sarebbe trovatoaddosso alla parete o aveva qualche segreto scopo?

Carmauxvedendolo prendere quella direzioneaveva corrugatala fronte ed aveva guardato attentamente quell'angolosenza trovare nulla chepotesse confermare il sospetto che gli era balenato nel cervello.

«Cosa vuol fare quel vecchio volpone?» si chiese. «Questamarcia obliqua non mi va.»

Apriamo gli occhi e teniamoci pronti.

Il Corsarointeramente occupato ad incalzare vigorosamentel'avversarionon aveva fatto alcun caso a quella marcia sospetta.

Il ducaconvinto ormai della superiorità del Corsarononassaliva più. Tutta la sua attenzione era concentrata nelle parate.Indietreggiava sempretastando prima il terreno col passo sinistro per nontrovarsi improvvisamente addosso a qualche sediaaccostandosi all'angolo dellastanza.

«Sei mio!» gridò ad un tratto il signor di Ventimigliaavanzandosi d'un altro passo. «Assassino dei miei fratellifinalmente titengo.»

Il duca si era trovato presso l'angolo e si era appoggiatoalla parete.

Carmaux che non lo perdeva di vistasospettando semprequalche sorpresavide che faceva scorrere la mano sinistra lungo la tappezzeriacome se cercasse qualche cosa.

«Badatecapitano!» gridò.

Aveva appena pronunciate quelle parole quando un lembo dimuro s'aprì dietro al duca.

«Traditore!» urlò il Corsarovibrandogli una stoccata.

Era troppo tardi. Il duca si era gettato indietro e la portasegreta si era repentinamente chiusa dinanzi a lui con gran fragore.

Un urlo terribileun urlo di belva ferita era sfuggito dallelabbra del Corsaro.

«Fuggito ancora!»

CarmauxWan Stiller e Moko si erano slanciati verso laparete.

«Moko!» urlò il Corsaro. «Sfondami questa porta!»

Il negro si era scagliato verso la parete coll'impeto d'unariete. Quella massa enormefece tremare l'intera stanza sotto un urtoformidabilema la portachiusa forse internamente da un congegno misterioso oda qualche sbarra di ferronon cedette sotto il fiero colpo.

«Cerchiamo la mollacapitano!» gridò Carmaux.

Fece scorrere le dita sulla tappezzeria e sentì una lievesporgenza. Non badando al dolore vibrò un pugno poderoso.

Si udì uno scattocome se una molla avesse agitoma laporta non cedette.

In quel momento nel giardino si era udita una voce a loro bennotaa gridare:

«Sono lì dentro!... Uccideteli come cani idrofobi!... Sonofilibustieri!...»

«Fulmini!» gridò Carmaux. «La marchesa!...»

Si volse gettando un rapido sguardo nella stanza. La marchesadi Bermejo approfittando della confusione era fuggita ed aveva svegliati iservi.

«Capitano» disse Carmaux. «Credo che sia il momento dilasciare in pace il duca e di pensare alla nostra pelle.»

Non aveva ancora terminata quella frase quando unadetonazione rimbombò ad una delle finestrefacendo spegnere di colpo lecandele.

La pallamal direttafischiò agli orecchi del Corsaro.

«Alle finestre!» gridò Carmaux. «Chiudiamo le imposte!»

Vedendo un uomo che cercava di arrampicarsi sul davanzalearmò precipitosamente la pistola e fece fuoco.

Lo sparo fu seguito da un grido di dolore.

«Uno di meno!» gridò Carmauxchiudendo frettolosamente leimposte.

Intanto il negro aveva chiuse quelle della seconda finestraevitando un colpo d'alabarda vibratogli da un servo che era giunto suldavanzale.

L'aggressore aveva però pagata cara la sua audacia poichèil negro gli aveva dato un tale pugno da farlo rotolare nel giardino mezzoaccoppato.

«Barricate ora le porte!» gridò il Corsaroil quale siprovava per la centesima volta e senza riuscire a far scattare il bottone delpassaggio segreto.

I tre filibustieri senza perdere tempo spinsero verso le dueporte la tavolapoi due pesanti armadii ed un sofà molto massiccio.

Avevano appena terminato quando udirono a picchiarerumorosamente ad una delle porte.

«Aprite!» gridò la marchesa con voce imperiosa. «Aprite ofaccio subito chiamare i soldati!...»

Il Corsarorassegnato momentaneamente a lasciare in pace ilducail quale doveva ormai essere già lontanosi era slanciato verso laportagridando:

«Cosa volete voisignora?»

«Che vi arrendiate.»

«Allora mandate i vostri uomini a prendercise l'osano.

«Il duca fra poco sarà qui coi soldati del governatore.

Il Corsaro osservò l'orologioe rivolto ai suoi:

«Sono le due» disse. «A quest'ora i filibustieri diGrammontdi Wan Horn e di Laurent marciano sulla città. Noi dobbiamo resistereun paio d'ore.»

«Lo potremo noicapitano?» chiese Carmaux. «Le impostenon sono solide e cederanno al primo colpo di trave.»

«È veroCarmaux» disse il Corsaroil quale eradiventato pensieroso.

In quell'istante si udì al di fuori la marchesa a gridare:

«Vi arrendete sì o nosignor di Ventimiglia?»

«Sìsignora marchesa» rispose il Corsaro.

Poi volgendosi verso i tre filibustieridisse lorosottovoce:

«Appena compare la marchesaimpadronitevene e conducetelaqui dentro; sarà un ostaggio prezioso.»

«Ed i servi?» chiese Carmaux.

«Io e Moko li affronteremo e vedremo se saprannoresisterci.»

«Mio signore» disse Yaraavvicinandosi al Corsaro. «Tucorri incontro alla morte.»

«Non temeremia brava fanciulla.»

«Hanno dei fucili.»

«Ed io la mia spada; è più infallibile delle palleYara.Ritirati in un angolo onde qualche colpo di fucile non ti colga.»

Mentre la giovane indiana si riparava a malincuore dietro uncassettoneMokoCarmaux e Wan Stiller rimuovevano i mobili che barricavano unadelle due porteprocurando però di non spostarli troppoonde all'occorrenzapotessero ancora servire per improvvisare una barricata.

«Avete finito?» chiese il Corsaroimpugnando la spadacolla destra ed una pistola colla sinistra.

«Un momento» disse Moko.

Con uno strappo violento aveva staccata una traversa dellatavolauna sbarra di legno molto massiccia e molto grossaun'arma terribilenelle mani di quell'atleta.

«Ecco una mazza che fa per me- disse. - Mi servirà asbarazzare il terreno dagli avversarii.

«Aprite» comandò il Corsaro.

Carmaux fu pronto a obbedire. Appena i due battenti furonospinticomparve la marchesa tenendo nella destra una pistola e nella sinistraun doppiere d'argento. Dietro ad essa si videro comparire otto o dieci servi perla maggior parte mulattiarmati alcuni di fucili ed altri di alabarde e dispade.

Carmaux con uno slancio fulmineo si era scagliato contro lamarchesa. Strapparle la pistolasollevarla fra le robuste braccia e portarlanella stanza fu l'affare di pochi secondi.

Subito il CorsaroWan Stiller e Moko si erano precipitatiaddosso ai servitoristupiti da tanta audaciaurlando a piena gola:

«Arrendetevio vi uccidiamo!»

La sbarra dell'erculeo negro si alza e piomba furiosamenteaddosso a quegli uomini spezzando fucilialabarde e spadementre il Corsaro el'amburghese scaricano le loro pistole.

Era troppo pel coraggio di quei servi. Atterritidall'improvvisa comparsa di quel negro gigantesco e spaventati da quei due colpidi pistolaabbandonano la loro padrona e fuggono disperatamente su per le scalegettando le armi.

«Fermatevi!» grida il Corsarovedendo l'amburghese ed ilnegro slanciarsi verso la scala. «Chiudete la porta e barricatela. Abbiamoormai l'ostaggio che ci occorreva!»

Rientrato nella stanzavide la marchesa pallidafrementeappoggiata ad una poltrona. Il signor di Ventimiglia ringuainò la spada e silevò galantemente il feltro piumatodicendole:

«Perdonatesignorase noi vi abbiamo giuocato questopessimo tiroma la nostra salvezza lo esigeva. D'altronde rassicuratevi e nontremate: il signor di Ventimiglia è un gentiluomo.»

«Un gentiluomo spagnuolo non avrebbe agito come voi!»gridò la marchesarossa di collera.

«Permettete di dubitarnesignora» rispose il Corsaro.

«Ma già non mi stupisce il vostro procedere sleale»continuò la marchesa. «Si sa che cosa sono i filibustieri della Tortue.»

«E cioèsignora?»

«Dei miserabili ladroni.»

«Ecco una parola che non mi tocca affattosignora» disseil Corsaroalzando la testa. «Il signor di Ventimiglia ha nei suoi paesiabbastanza castelli e feudi per non aver bisogno di fare il ladro. Iosignorasappiatelosono venuto in America per compiere una sacra vendetta e non giàper saccheggiare i galeoni che portano l'oro nel vostro paese o per sfruttare ipoveri indiani come fanno i vostri compatriotti.»

«E cosa pretendete di fare ora di me? D'impormi qualchegrosso riscatto? Parlate: la marchesa di Bermejo è sufficientemente ricca perpagare anche il signore di Ventimiglia.»

«Date il vostro oro ai vostri servi e non a me» risposefieramente il Corsaro. «Io vi ho fatta rapire per difendermi contro le truppespagnuole che fra poco verranno forse ad assalirci.»

«Ed il Corsaro Nero si fa scudo d'una donna per ripararsidai colpi dei nemici? Lo credevo più valoroso.»

A quell'ingiuria sanguinosa quanto immeritataun lampoterribile guizzò negli occhi del prode gentiluomoma subito si spense.

«Il signor di Ventimiglia si copre dietro la sua spadasignora» rispose. «E fra poco ve lo mostrerò.»

«Sìquando vi vedrò capitolare dinanzi alla guardia delgovernatore» rispose la marchesacon ironia.

«Io!... Sarà il governatore invece che vedrete capitolaresignora.»

«Avete detto?»

«Che non saremo noi che ci arrenderemobensì la cittàintera.»

«E per opera di chi?» chiese la marchesa impallidendo.

«Dei filibustieri della Tortue.»

«Se credete di spaventarmi v'ingannate.»

«I filibustieri sono già alle porte di Vera-Cruzsignora.»

«È impossibile.»

«Ve lo dice un gentiluomo che non ha mai mentito.»

«Vi sono tremila soldati in città.»

«Cosa importa?»

«E altri sedicimila nel Messico.»

«Quelli giungeranno troppo tardisignora.»

«Ed i forti hanno numerosi cannoni.»

«Che noi prenderemo e che inchioderemo.»

«E vi è anche il duca.»

«Quello spero d'incontrarlo iosignora» rispose ilCorsaro con voce sibilante. «Non sfuggirà la seconda volta alla mia spada comeè fuggito vilmente poco fa.»

«E se fosse già lontano?»

«Non sfuggirebbe egualmente alla mia vendetta. Dovessi farassalire tutte le città costiere del golfo del Messico o frugare tutte leselvequell'uomo un giorno o l'altro cadrà nelle mie mani. Il suo destino èormai scritto sulla punta della mia spada.»

«Quale uomo!» mormorò la marchesavinta dall'ammirazioneche gl'ispirava la fierezza del gentiluomo piemontese.

«Bastasignora» disse ad un tratto il Corsaro.«Lasciateci fare i nostri preparativi di difesa.»

«E contro chi?» domandò la marchesa ridendo.

«Contro le guardie del governatore che fra poco ciassaliranno.»

«Ne siete ben certosignor di Ventimiglia?»

«Lo avete detto voipoco fa.»

«Nessuno dei miei servi ha ricevuto quest'ordine.»

«Devo credervi?»

«La marchesa di Bermejo non ha mai mentitocavaliere.»

«E perchè non l'avete fatto? Eravate nel vostro diritto.»

«Non ho dato l'ordine perchè speravo di farvi prendere daimiei servi.»

«Mentre ora?»

«Sono persuasa che per vincere il Corsaro Nero nonbasterebbero cento uomini.»

«Grazie della vostra opinionesignora; però vi faròosservare che se ne sarà incaricato qualche altro di avvertire il governatoredella mia presenza in questo luogo.»

«E chi?»

«Il duca.»

«Il passaggio segreto non mette in città ed è così lungala galleria che occorreranno molte ore prima che il duca possa giungere dalgovernatore.»

«Che sia fuggito!» gridò il Corsaro.

«Ecco quello che io stessa ignoroperò dubito che un uomovaloroso come il duca possa aver abbandonata la cittànon sapendo d'altrondeche i vostri filibustieri muovono all'assalto di Vera-Cruz. Vi tornerà di certocolla speranza di farvi arrestare.»

«Ah!... Sì» disse il Corsarocome parlando fra sè.«CarmauxYaraamicipartiamo!... Forse potremo incontrarlo prima che comincil'assalto.»

«Badate» disse la marchesa.

«Cosa volete dire?»

«I miei servi si saranno imboscati o si saranno nascosti neipiani superiori. Essi hanno dei fucili.»

«Non temo i vostri uomini.»

«Io non rispondo di quello che può succedere- disse lamarchesa.»

«Non vi terrò responsabile» rispose il Corsaro.

La marchesa era rimasta stupita. Con un rapido gesto si levòda un dito un anello d'oro con uno splendido smeraldo di gran valore e lo porseal Corsarodicendogli con grande nobiltà:

«Serbatelo in memoria del nostro incontrocavaliere. Nondimenticherò mai il gentiluomo a cui devo la libertà e forse la vita.»

«Graziesignora» rispose il Corsaro passandoselo in undito. «Addiosignora.»

Carmaux aveva aperta una finestra. Il Corsaro balzò suldavanzale e saltò nel giardinomentre la marchesa gridava ai suoi servi:

«Che nessuno faccia fuoco!»

CarmauxYara e gli altri due avevano seguito il Corsaro.

I quattro filibustieri e la giovane indiana si eranoslanciati verso il viale per giungere al cancello. Già l'avevano percorso quasituttoquando d'un tratto si videro parecchi uomini scendere dalle mura dicinta.

Carmaux aveva mandato un grido:

«I soldati!... Troppo tardi!...»

Quasi nel medesimo istante rimbombarono alcuni colpi difucile seguìti da un grido di dolore.

Il Corsaro che era sfuggito miracolosamente alla scaricasiera voltato per vedere chi era stato colpito.

Un urlo di belva gli sfuggì dalle labbra:

«Mia povera Yara!»

La giovane indiana era caduta al suolocoprendosi il visocon ambe le mani.

«Yara!» gridò il Corsaroprecipitandosi verso di leimentre CarmauxMoko e l'amburghese si scagliavano furiosamente contro isoldatiscaricando le pistole.

La povera figlia delle foreste già agonizzava. Una palla leaveva attraversato il pettoed il sangue sgorgava in gran copia arrossandole ilgiubbettino di percallina azzurra.

Il Corsaro la prese fra le braccia e la trasportòcorrendoverso il palazzo.

Sulla gradinata s'incontrò colla marchesa la quale eraaccompagnata da due servi che portavano delle fiaccole.

«Cavaliere!» esclamò la spagnuolacon voce alterata.«Dio è testimone che io non vi ho traditove lo giuro.»

«Vi credosignora» rispose il Corsaro. «Ve l'hannouccisa?»

Il Corsaro invece di rispondere si era curvato sulla giovaneindiana.

Yara aveva aperto gli occhi e li teneva fissi sul Corsaromaquegli occhi a poco a poco perdevano il loro splendore. La morte s'avvicinavarapida.

«Mia povera Yara!» esclamò il Corsaro con voce rotta.

La giovane mosse le labbrapoi facendo uno sforzo supremobalbettò:

«Vendica... la mia... tribù...»

«Te lo giuroYara...»

«T'amo...» sospirò Yara. «T'a...»

Non potè finire la parola; era spirata.

Il Corsaro si era alzatopallido come uno spettro.

«Io sono fatale a tutti» disse con voce cupa. «Abbiatecura di questa fanciullamarchesa.»

«Ve lo promettocavaliere.»

Il Corsaro raccolse la spadastette un momento immobilepoisi slanciò come una tigre verso un angolo del giardino dove si udiva un cozzaredi ferri.

«Andiamo a vendicarla!» gridò.

Quasi nel medesimo istante un colpo di cannone rombavacupamente sugli spalti del forte di S. Giovanni de Luz.

Il mostro di bronzo aveva fatto fuoco contro le prime squadredi filibustieri che correvano all'assalto di Vera-Cruz.

 

 

 

Capitolo XIX

 

L'assalto di Vera-Cruz

 

I filibustieri della Tortuedecisi più che mai ad espugnarequella grande e ricchissima città del Messicoprotetti da una fortunaveramente insperataerano riusciti ad accostarsi alle coste senza che glispagnuoliche pur si tenevano sempre in guardiase ne fossero accorti.

Per meglio ingannare gli avversariiessi avevanoapprofittato d'una circostanza fortunata.

Avendo appreso che a Vera-Cruz si attendevano due vascelliprovenienti da S. Domingoi filibustieri avevano arrestato il grosso dellaflotta in alto mare e con due sole navisulle quali avevano imbarcati i piùrisoluti combattentisi erano spinti audacemente nel portoinalberando ilgrande stendardo di Spagna.

Lo stratagemma era riuscito al di là d'ogni speranza. Gliabitanticonvinti che fossero i due vascelli attesinon si erano dati alcunpensiero di verificare la cosa e tanto meno le autorità del porto.

Le due navi corsare si erano ancorate sul cader del giornoverso l'estremità del portofuori tiro dei fortionde in caso di pericolopoter prendere sollecitamente il largo. Calata la notteLaurentGrammont e WanHorn avevano fatto mettere in acqua le scialuppecominciando lo sbarco. Undrappello d'uomini sceltisbarcato poco primaaveva già sorprese e uccise leguardie costiereimpedendo così che gli abitanti ed il governatore potesserovenire avvertiti del grave pericolo che sovrastava alla città addormentata.Operato lo sbarcoi filibustieridivisi in tre colonnes'erano cacciatisilenziosamente sotto i boschi che in quell'epoca circondavano la piazzaguidati da alcuni schiavi che avevano fatti prigionieri. Essendo però la cittàchiusa da bastioni che la difendevano dalla parte di terraunitamente ad unforte armato di dodici cannoni di grosso calibrosi videro costretti adattendere l'apertura delle portenon avendo scale per varcare le mura.

LaurentGrammont e Wan Hornfatti nascondere i loro uomininegli orti che circondavano la cittàsi radunarono per decidere sul da farsiprima d'impegnarsi fra le mura.

«Una cosa sola ci rimane da fare» disse pel primoGrammontil qualeavendo appartenuto all'armata regolare francesegodeva unacerta influenza sui suoi due compagni. «Dare innanzi a tutto l'assalto al forteche domina la città dalla parte di terra.»

«Impresa difficile» rispose Wan Horn.

«Ma non impossibile» disse Laurent che non trovava alcunaimpresa temeraria.

«Ha dodici grossi cannoni sugli spalti» osservò Wan Horn«mentre noi non abbiamo nemmeno una colubrina.»

«Le nostre sciabole vinceranno le bombe.»

«E le nostre granate allontaneranno i difensori» aggiunseGrammont. «I nostri uomini ne sono ben provvisti.»

«Volete affidare a me l'impresa?» disse Laurent. «Primache l'alba sorga vi assicuro che il forte cadrà in mia mano.»

«E noi?» chiese Wan Horn.

«Vi rovescerete sulla città appena aperte le porte.»

«Sia» disse Grammontdopo una breve esitazione. «Ilforte ci è necessario per non farci schiacciare fra le mura della città.»

«Allora andiamo» disse Laurent. «I minuti sonopreziosi.»

Un quarto d'ora dopouna colonna formata di trecentofilibustieriscelti fra i più risoluti della squadralasciava silenziosamentele ortaglieguidata da due schiavi. Il forte che doveva assaltare si trovava sudi un'altura dominante la città e si ergeva a ridosso delle mura di cinta. Erauna costruzione massicciafornita di merlature assai grosse e presidiata dacinquecento uominii quali avrebbero potuto resistere lungamente se si fosseroaccorti della presenza dei loro accaniti avversarii.

L'ardita colonnaprotetta dalle tenebres'avvicinavarapidamente per tema di venire sorpresa dai primi albori. Era ancora molto scuroquando giunse nei fossati dei bastioni.

«Sorprenderemo la guarnigione» disse Laurent aifilibustieri che gli stavano presso.

I bastionida quella parteerano in parte diroccatisicchè una scalata non era difficile per quegli uomini abituati a inerpicarsisugli alberi delle navi coll'agilità degli scoiattoli.

«La sciabola fra i denti e avanti» comandò Laurent.

Per primo s'aggrappa alle sporgenze del bastione e sale. Glialtri gli tengono dietro afferrandosi agli sterpipuntando i piedi nei crepaccie aiutandosi vicendevolmente.

La catena umana s'allungaserpeggiandorompendosiriallacciandosi e raggiunge felicemente la cima del bastione: restava però dasuperare la muraglia del fortealta non meno di dieci metri e perfettamenteliscia. Quell'ostacolo fece titubare quegli audaci. Guai se gli spagnuoli liavessero sorpresi sul bastione!... Forse neppur uno sarebbe sfuggito alla morte!

«Bisogna salire prima che sorga l'alba- dice Laurent aisotto-capi che lo circondano- e non abbiamo che mezz'ora di tempo!

Infatti verso oriente l'oscurità cominciava a diradarsilievemente. La luce degli astri impallidiva ed una striscia biancastra sidiffondeva pel cielo. Il momento è terribile. Da un istante all'altro un gridod'allarme può rompere il silenzio e far accorrere l'intera guarnigione.

Un'idea attraversa il cervello di Laurent. Aveva veduto unapalizzata eretta dietro al bastionesormontata da due antennelunghe quanto eforse più dell'altezza della muraglia.

Manda alcuni uomini a levarle e le fa appoggiareconinfinite precauzioniai merli del forte.

«All'abbordaggio! - comandò.

Per primo s'aggrappa ad un'antenna e aiutandosi colle mani ecoi piedi si spinge in alto. Marinaio valentenon trova alcuna difficoltà agiungere sulla cima. Appena superato il merlosi trova dinanzi ad unasentinella spagnuola armata d'alabarda. Il soldato rimane così sorpreso perquell'improvvisa apparizione che non pensa nemmeno a far uso della proprialancianè a dare l'allarme.

Laurent con un salto da tigre gli è sopra e con un colpo disciabola lo getta a terra moribondo. Il soldato però raccoglie le ultime forzeper mandare un grido d'allarme: «I filibustieri!...»

La guarnigione del fortesvegliata di soprassaltodà manoalle armi e si precipita nel cortile del forte per accorrere alle artiglierie.

È troppo tardi!... I trecento corsari si sono già radunatie l'assaltano con furoresgominandocon una carica irresistibilele primefile. Intanto alcuni filibustieri sfondano la porta della polveriera e fannorotolare fuori i barili disponendoli intorno al fabbricato centralenel cuiinterno trovasi ancora la maggior parte della guarnigione.

Da ogni parte s'alza il grido:

«Arrendetevio vi facciamo saltare in aria!»

Quella terribile minaccia produce maggior effetto dellacarica. Gli spagnuolisapendo di quanto erano capaci quei tremendi scorridoridel mare e vedendosi già impotenti a far fronte all'assaltodopo una breveresistenza abbassano il grande stendardo di Spagnache ondeggia sulla più altatorre e depongono le armi dopo d'aver ricevuta la promessa d'aver salva la vita.

Laurent fa rinchiudere i prigionieri nelle casematte delfortedispone intorno numerose sentinellepoi ordina di puntare le artiglierieverso la città gridando:

«Prima un colpopoi una scarica generale. È l'annunciodella vittoria!

Una cannonata rimbombapoi gli altri undici pezzis'infiammano contemporaneamente con orribile frastuonofacendo piovere unagrandine di palle sulla disgraziata città ancora immersa nel sonno.

Grammont e Wan Horn avevano atteso quel segnale in preda adun'angoscia che è facile immaginare. Dalla presa del forte dipendeva lavittoria od una disastrosa sconfitta.

Udendo quegli sparibalzano attraverso le siepi delleortaglie.

«Avantiuomini del mare! Vera-Cruz è nostra!

I filibustieri abbandonano i loro nascondigli e si slancianosulla strada che conduce alla città. Sono seicentoarmati di fucilidisciabole d'abbordaggio e di pistole e decisi a tuttoanche a dare l'assalto alformidabile forte di S. Giovanni de Luzse sarà necessario.

Lungo la via arrestano i contadini che si dirigono verso lacittà coi loro cavalli e muli carichi di provviste e di erbaggi e giungonodinanzi alla porta nel momento in cui veniva aperta.

Il loro assalto è così improvviso che le guardie nonpensano nemmeno a opporre resistenza. Alcune però riescono a fuggire attraversola cittàurlando:

«Alle armi!... I filibustieri!

Mentre i filibustieri si rovesciano entro la città come untorrente che dilagasulla loro destradalla parte dei primi giardiniodonoalcuni spariquindi vedono dei soldati fuggire a rompicollo inseguiti daquattro uomini che tirano stoccate e colpi di navaja con furoreterribile.

Grammont che era alla testa della prima colonnasi slanciada quella partecredendosi assalito di fianco.

Un grido gli sfugge:

«Il Corsaro Nero!

Era infatti il signor di Ventimiglia il quale aiutato daisuoi tre valorosiaveva fugato i soldati che avevano uccisa Yarapoi superatoil muro di cinta si era slanciato dietro ai fuggiaschiebbro di vendetta.

«Grammont!» esclamòvedendo il gentiluomo francese.

«Giungete in buon momentocavaliere» gridò Grammont.«Venite!»

«Eccomi» disse il Corsaro.

«Ed il duca è morto?»

«Fuggito ancoramentre stavo per inchiodarlo al muro con uncolpo di spada» rispose il Corsaro con voce sorda.

«Lo ritroveremosignor di Ventimiglia. All'assaltouominidel mare! Il Corsaro Nero è con noi!»

La battaglia era incominciata per le vie della cittàterribilesanguinosa.

I soldati e gli abitantipassato il primo momento di stuporee di terroresi erano precipitati nelle strade per contrastare il passo aicorsari. Da tutte le parti si combatteva con rabbia estremamentre i cannonidel forte tuonavano senza posaabbattendo campanili e case e facendo pioveresui tetti una grandine di bombe.

In mezzo al fragore orrendo delle abitazioni che diroccavanosotto quei tiri incessantialle scariche di moschetteriaalle urla deicombattenti ed alle grida lamentevoli dei feritisi udivano le grida dei capi atuonare senza posa:

«Avanti!... Abbruciate!... Distruggete!

Intanto dalle finestre cadono sulle loro teste vasi di fioriscrannetavolemacigni e dai tetti partono colpi di fucile. Ad ogni momentoturbe di soldati li assalgono ai fianchi od alla coda impegnando sanguinosicombattimenti. Non importa!... Avanti sempre!...

«Uno sforzo ancora e Vera-Cruz è nostra!» gridano i capi.

Le ultime viecon uno sforzo supremosono superate ed ifilibustieri irrompono dove si ergeva in quell'epoca una bellissima cattedrale.Le truppe spagnuole ammassate sulla piazzadi fronte al palazzo del governotentano di far argine all'irruzione dei corsari. Hanno piazzati alcuni pezzi dicannoni e chiamata parte del presidio del forte di S. Giovanni de Luzfortediventato affatto inutile avendo le difese volte verso il mare.

«Avanti!» gridano il Corsaro NeroGrammont e Wan Horngettandosi animosamente nella mischia. La lotta diventa selvaggiaferoce. Glispagnuolispalleggiati dagli abitantiresistono tenacementema più nullaormai arresta i filibustieri. Con scariche bene aggiustate spazzano il terrenodinanzi a loro e uccidono sui loro pezzi gli artiglieripoi piombano sullecolonne spagnuole colla sciabola d'abbordaggio in pugno.

Nessuno resiste ai fieri scorridori del maregiàimbaldanziti dai primi successi. Gli spagnuolirottiscompaginatis'arrendonoo fuggono attraverso le vie della cittàtravolgendo nella loro pazza corsadonne e fanciulli. I filibustieri assaltano il palazzo del governo e fannostrage di quanto trovano entropoi lo incendiano; altri danno l'attacco aipalazzisfondano con travi le porte o frantumano le grosse inferriateafferrano gli abitanti e li trascinano nella cattedrale nonostante i pianti e leurla.

Dei barili di polvere vengono messi alle porte assieme adegli uomini muniti di micce accese. Hanno ricevuto l'ordine di far saltarel'edifizio al primo tentativo di rivolta da parte dei prigionieri.

Intanto gli altri saccheggiano i palazzile caseimagazzinile chiesei monasteri e perfino le navi ancorate in porto.

Bisogna far presto. Tutti sanno che nei dintornia non molteleghevi sono grosse guarnigioni le quali possono piombare improvvisamente suVera-Cruz.

Mentre i filibustieri si abbandonavano al saccheggio piùsfrenatoil Corsaro Nero seguito da Carmauxda Mokodall'amburghese e da unaquindicina d'uomini della Folgorevisita i palazzile caseperfino ipiù umili tuguri. Non ha che un solo desiderio: scovare il suo mortale nemico.

Cosa importa a lui dei tesori che si trovano in Vera-Cruz?Tutti li avrebbe dati per poter riavere nelle mani l'odiato fiammingo.

Vane ricerche. Nelle case non trova altro che donnepiangentifanciulli strillantiuomini feriti e filibustieri minacciosioccupati a derubare i miseri abitanti.

«Nulla!... Nulla!...» rugge il Corsaro.

Ad un tratto un'idea gli balena nel cervello.

«Dalla marchesa di Bermejo!» grida ai suoi uomini.

Attraversa di corsa la città aprendosi il passo fra icittadini fuggenti ed i filibustieri che li inseguono e giungeun quarto d'oradopodinanzi al giardino.

Il cancello era stato abbattuto ed alcuni corsari erano giàgiunti dinanzi al palazzo per metterlo a sacco.

Con grida minacciose avevano intimato ai servi di aprire laporta che era stata sbarratama non avevano ricevuto risposta alcuna. Credendoche gli abitanti volessero fare resistenzagià stavano per scagliarsi controle finestre del pianterreno quando comparve il Corsaro.

«Via di qua!» gridò il signor di Ventimigliaalzando laspada.

I filibustieri si dileguarono tosto.

«Graziecavaliere» disse una voce a lui ben nota.

La marchesa di Bermejo era comparsa ad una finestra del pianosuperioreassieme ai due servi armati di fucile.

«Apritesignora» disse il Corsarosalutandola collaspada.

Un momento dopo la portache era stata barricatalasciavail passo al Corsaro.

La marchesa era già scesa e l'attendeva nel medesimo salottodove aveva avuto luogo il duello col duca.

«È perduta la cittàè verocavaliere?» disse lamarchesacon voce alterata.

«Sìsignora» rispose il Corsaro. «Ve lo avevo detto chela guarnigione si sarebbe arresa dinanzi all'assalto dei filibustieri.»

«Triste guerracavaliere.»

Il Corsaro non rispose. Si era messo a passeggiare per lastanza con viva agitazione. Ad un tratto si fermò dinanzi alla marchesadicendole:

«Io non l'ho trovato.»

«Chi?»

«Il duca.»

«L'odiate molto quell'uomo?»

«Immensamentesignora.»

«E siete tornato qui colla speranza di trovarlo nascosto.»

«Sìmarchesa.»

«Non è più tornato.»

«Dite il vero?»

«Ve lo giuro.»

«Dove si sarà rifugiato quell'uomo adunque?»

La marchesa lo guardò in silenzio; pareva che esitasse arispondere.»

«Voi ne sapete qualche cosasignora- disse il Corsaro.»

«Sì» rispose la marchesacon voce recisa.

«Voi amate quell'uomo?»

«Nocavaliere.»

«Chi dunque v'impedisce di dirmi dove potrei trovarlo?»

«Egli era ai servizi della Spagna.»

«Per opera d'un infame tradimento- proruppe il Corsaro conira.»

«Lo so- mormorò la marchesachinando il capo.»

Poi dalla borsetta di velluto cremisi che le pendeva dalfianco levò un biglietto e lo porsedopo una breve esitazioneal Corsarodicendo:»

«L'ho ricevuto due ore fa: leggetelo.»

Il Corsaro s'era impadronito vivamente di quella carta. Nonvi erano che poche righe.

 

"Sono riuscito a raggiungere l'Escurial ed aprendere il largo. Farete le mie scuse al governatorema motivi urgenti micostringono a recarmi nella Florida.

Diego vi dirà il resto.

Wan Guld"

 

«Partito!» esclamò il Corsaro. «Egli mi sfuggeancora!...»

«Saprete dove ritrovarlo» disse la marchesa.

«Voi conoscete l'Escurial

«Non so che nave siacavalierema da Diego potreteavere molte informazioni preziose.»

«Chi è quell'uomo?»

«Un confidente del duca.»

«Dove si trova?»

«Nel forte di San Giovanni de Luz.»

«Il forte non ha capitolatosignora.»

«Cercate un mezzo per avere in mano quell'uomo. Egli samolte cose sul duca che io stessa ignoro e forse potrà spiegarvi il motivo percui il duca si reca nella Florida.»

«Infatti questa partenza per quella lontana regione mi èinesplicabile.»

«Ed a me purecavaliere» disse la marchesa. «Era qualchetempo che mi parlava di questo viaggio e...»

«Continuatemarchesa» disse il Corsarovedendolaesitare.

«Vorrei raccontarvi una strana istoriache vi puòinteressare.»

«È probabile.»

«Voi allora sapete molte cose che...»

«Non ioDiego.»

«Allora bisogna che io abbia nelle mie mani quell'uomo.»

«Per ora ascoltatemicavaliere.»

«Di cosa si tratta?...»

«Ve l'ho già detto. È una istoria che v'interessa.»

Poi guardandolo fissodisse lentamente:

«Di Honorata!...»

 

 

Capitolo XX

 

La marchesa di Bermejo

 

Il Corsaro udendo quel nome si era lasciato cadere su di unasedianascondendosi il viso fra le mani. Un sordo gemito gli era uscito dallelabbra assieme ad un singhiozzo soffocato. Egli rimase alcuni istanti comeaccasciatoimpotente a pronunciare una sola parola od a ripetere il nome dellapovera fiamminga che aveva così immensamente amata e pianta come morta.

Ad un tratto si alzò di scatto. Era livido ed i lineamentidel suo volto erano spaventosamente alterati. Guardò per alcuni istanticometrasognatola marchesapoi facendo uno sforzodisse con voce rotta:

«Volete straziarmi il cuoresignora? A quale scopo parlarmidi quella giovane? È morta e dorme in pacenegli abissi del marea fianco deimiei fratelli.»

«Forse v'ingannatecavaliere» disse la marchesa.

«Volete farmi balenare la speranza che la giovane fiammingasia viva?» chiese il Corsaroavvicinandosi bruscamente alla marchesapiùpallido che mai.

«Diego Sandorf ne è convinto.»

«Chi è quest'uomo?»

«Ve l'ho detto: il confidente del duca: un vecchiofiammingo»

«E fu lui a parlarvi di Honorata?»

«Sìcavaliere.»

«Allora voi sapete...»

«Tuttotutto... Fu una terribile vendetta la vostrama...»

«Tacetemarchesa» disse il Corsaro ricadendo sulla sediae ricoprendosi il viso.

Stette alcuni minuti silenziosoimmerso in cupi pensieripoi scuotendosi e rialzandosidisse:

«NoHonorata Wan Guld è morta.»

«Chi ve lo assicuracavaliere? Avete veduto il suo cadavereondeggiare sulle acque del golfo?»

«Noma la notte in cui io l'abbandonai nella scialuppasoffiava forte il vento e l'uragano stava per scoppiare. Anche a me fu narratoche la fiamminga era stata raccolta e per molto tempo ho speratoho credutoalla vocema ora... è una delle tante leggende del golfo.»

«Diego Sandorf mi ha assicurato che la duchessa era stataveramente raccolta da una caravella spagnuolanaufragata più tardi sullespiagge della Florida.»

«Ed a me fu raccontatoda don Pablo de Ribeiraintendentedel duca a Puerto Limonche la scialuppa montata dalla duchessa era stataincontrata verso le coste occidentali di Cuba. A chi credete ora?»

«A Diego Sandorfcavaliere» disse la marchesa. «Voiforse avete dimenticato che il duca è partito per la Florida.»

«E voi credete?...» chiese il Corsarocolpito da quelleparole.

«Che egli sia andato a cercare sua figlia.»

Un'ondata di sangue era montata in viso al Corsarotingendovivamente quella pelle ordinariamente pallidissima.

«Viva!» esclamò. «Honorata viva!... Che Dio abbia potutocompiere questo miracolo?... Marchesami è necessario questo Sandorf. Bisognache io lo interroghi.»

«Vi ho detto che è rinchiuso nel forte di San Giovanni deLuz.»

«Andiamo a rapirlo!» esclamò il Corsarocome se avessepreso una rapida decisione.

«Quale audacia!... Ma non sapete che nel forte vi sonosessanta cannoni e ottocento uomini?

«Che importa?»

«Vi ucciderannocavaliere.»

«Sono abituato a sfidare la morte.»

«Bisogna vivere.»

«Oh!... Sìper vendicare i miei fratelli» disse ilCorsaro con voce cupa.

«E per Honorata.»

Il Corsaro ebbe un fremitoma non rispose. Si era rimesso apasseggiare per la stanzacome una fiera rinchiusa nella gabbia.

«Addiosignora» disse ad un tratto.

«Siete sempre deciso?»

«Sìmarchesa. Andrò a rapire quell'uomo.»

«Aspettatecavaliere: chi sa!...»

«Cosa volete dirmi ancora?»

La spagnuola si era accostata ad una scrivania d'ebano adintarsi di madreperla ed aveva vergato alcune righepoi porse il foglio alCorsarodicendo:

«Trovate il modo di farlo avere a Diego Sandorf.

Il Corsaro si era impadronito vivamente del bigliettosu cuila marchesa aveva scritto le seguenti parole:

 

"Un gentiluomo mio amico desidera parlarvi. Egliattenderà questa notte sotto l'ultimo torrione di levantedalle dodiciall'alba.

È venuto coi filibustieri e ripartirà assieme a loro. Siateall'appuntamento.

 

Ines De Bermejo"

 

«Graziemarchesa» disse il Corsaro«ma voi correte ilpericolo di compromettervi.»

«E perchècavaliere? Forse che vi do il mezzo perimpadronirvi del forte? Anzi evito ai miei compatriotti questo pericolo.»

«Avete favorito un filibustiere.»»

«Noun gentiluomocavaliere. Voi non siete un nemico dellamia patria.»

«Ossia non lo sarei mai statose il mio triste destino nonm'avesse gettato dinanzi al duca.»

Addiosignoraforse ci rivedremo prima che io salpi per laFlorida.»

«Una parolacavaliere.»

«Pariatesignora.»

«Se Honorata fosse viva... cosa fareste del ducadi suopadre?»

Il Corsaro la guardò fissoa lungopoi disse:

«Credete voisignorache le anime dei miei fratelli sianoplacate? Quando il mare diventa fosforescente il Corsaro Rosso ed il Verdelevittime del ducarimontano a galla: essi chiedono vendetta.

Quando l'uragano viene dall'orientein mezzo alle urla delventoio odo una voce che viene dalle spiagge della Fiandra: è quella di miofratello maggioreassassinato a tradimento dal duca e quella voce chiede purevendetta.»

La marchesa provò un brivido.

Il Corsarodopo un breve silenzioproseguì:

«Fra cinque giorni sarà un anno che la salma del CorsaroRossostaccata da me dalla forca di Maracaibo è scesa negli abissi del mare.Se quella notte il mare fiammeggerà Wan Guld non avrà grazia da me.»

«E Honorata?» chiese la marchesa.

«Il mio destino è scritto» rispose il Corsaro con vocetriste«ma io sono pronto a sfidarlo.»

«Cosa volete direcavaliere?»

Il Corsaro invece di rispondere le strinse la manopoi uscìa rapidi passi senza aggiungere sillaba.

Nel giardino lo aspettavano i filibustieri con CarmauxMokoe Wan Stiller.

«Che gli uomini della Folgore se ne vadano» disse.«Rimangano solo i miei fidi.»

Stava per inoltrarsi nel gran viale seguito da Carmauxdalnegro e dall'amburghesequando fu veduto arrestarsi.

«E Yara?» mormorò con un sospiro.

Ritornò sui proprii passi e rientrò nella sala pianterrenadel palazzo. La marchesa di Bermejo era ancora làappoggiata ad una sediatristepensierosa.

«Dov'è?» le chiese il Corsarocon un leggero tremito.«Voglio vederla un'ultima volta.»

«Seguitemicavaliere» rispose la spagnuolache l'avevacompreso.

Lo guidò in una stanza attiguariccamente ammobiliata.

Adagiata su di un sofà di velluto verdefra due alticandelieri e coperta di un lenzuolo di fiandragiaceva la povera indiana.

I suoi lineamenti delicati non erano stati alterati dagliultimi spasimi della morte. Pareva che dormisse o che sognassepoichè lelabbra erano schiuse ad un lieve sorriso.

Un filo di sangue era uscito al disotto del lenzuolo e si eraraggrumato sul tappeto.

Il Corsaro contemplòcon triste sguardoquel bel visopoicurvandosi sulla mortale impresse sulla fronte un ultimo baciomormorando:

«Tu pure sarai vendicataYara; il Corsaro manterrà ilgiuramento.»

Poi fuggì e raggiunse i suoi uominicome se avesse volutonascondere alla marchesa la profonda emozione che gli aveva alterato il volto.

«Venite» disse con voce brusca a Carmaux ed ai suoi duecompagni.

Attraversò quasi correndo il giardino e si cacciò fra leviuzze della cittàdirigendosi verso la piazza maggiore.

Quantunque la notte cominciasse a calareil saccheggiocontinuava da parte dei filibustieri. In ogni casa che entravanogettavano allaporta gli abitanticostringendolicon minacce di mortead abbandonare i loroaveri ed a lasciare la cittàsicchè le vie erano ingombre di fuggiaschi.

Il Corsaro pareva che nulla vedesse. Continuava a camminare apassi rapidiimmerso in profondi pensiericercando solamente di farsi largofra i fuggenti. Carmaux ed i suoi compagni lo seguivano con non poca faticasagrando contro la gente che ostacolava la loro corsa.

«Vedremo dove si fermerà» diceva Carmaux. «Il capitanoè in burrasca!... Per bacco! Non l'ho mai veduto correre in questo modo!»

«Sarà successo qualche cosa di grave» diceval'amburghese. «Quando il capitano è uscito dal palazzomi pareva sconvolto.»

«Chissà che rabbia gli bolle dentroamico Stiller. Capiraiche non deve essere lieto di aver perdute le tracce di quel dannato duca.»

E l'aveva già sulla punta della spada!...

«Già la terza volta che ci guizza di mano. Prima aMaracaibopoi a Gibraltar ed ora qui.»

«Finirà però per cadere nelle nostre mani» concluseCarmaux.

Erano allora giunti sulla piazza maggioredove ifilibustieri avevano stabilito il loro quartier generale.

La vasta piazza era ingombra di prigionieridi artiglieriedi armi e di ammassi di merci rubate dai grandiosi depositi delle dogane.

Duecento filibustieriarmati di fuciliavevano occupato ilpiazzale del palazzo del governatore per impedireda parte dei prigionieriqualsiasi tentativo di ribellione e altri cento avevano circondata lacattedralenel cui interno erano stati chiusi i personaggi più ragguardevolidella città e dai quali si contava di trarre dei grossi riscatti.

Ad ogni istante giungevano drappelli di filibustiericonnuovi prigionierio spingendosi innanzi colonne di schiavi negri o di mulatticarichi di merci preziose o di viveri che venivano tosto consumati dai corsaridi guardia.

«Dov'è Grammont? - chiese il Corsaro ad un filibustiere cheera seduto su di un barile di polveretenendo in mano una miccia accesa.

«Nel palazzo del governatorecavaliere» rispose lasentinella.

«E Laurent?»

«Tiene sempre il forte.»

«E Wan Horn?»

«Guarda il presidio di San Giovanni de Luz.»

Il Corsaro attraversò la piazza ed entrò nel palazzo delgovernatoreuna costruzione massiccia che aveva l'aspetto d'un forte e chenondimeno aveva capitolato al primo assalto dei filibustieriquantunque difesada un presidio numeroso. In una salagià per metà piena di verghe d'oro ed'argento e di gioielli preziosifrutto del saccheggiotrovò il gentiluomofrancese.

«L'oro affluisce come un fiumecavaliere» disse Grammontappena scorse il Corsaro. - Ne abbiamo già per quattro milioni di piastre.»

Non sono venuto qui per contemplare le ricchezze diVera-Cruz.»

«Lo so» disse il franceseridendo. «Mi rincrescedirveloil vostro nemico non si è trovato fra i prigionieri. Però quando ilsaccheggio sarà finitofarò frugare tutte le case della città. In qualchenascondiglio noi lo troveremocavaliere.»

«Sarebbe tempo sprecato.»

«E perchè?»

«È già al largo.»

«Partito!» esclamò il signor di Grammontcon stupore.

«Sìa bordo d'un legno che si chiama l'Escurial.»

«E quando?»

«Fino da ieri sera.»

«E voi?»

«Mi preparo ad inseguirlo» rispose il Corsarocon tonorisoluto.

«Ci lasciate?»

«Non ora però. Devo fare qualche cosa d'altro in Vera-Cruze venivo in cerca di voi per consigliarmi.»

«Cosa volete tentare ancora?»

«Devo recarmi a S. Giovanni de Luz.»

«Nel forte!» esclamò il gentiluomo francesefacendo unatto di stupore.

«SìGrammont.»

«Quale pazzia state per commettere?»

«Non è una pazzia; devo andarci per avere una informazioneurgente.»

«Che riguarda il duca?»

«Lui e... Honorata.»

«La fiamminga?... Che sia vera la leggenda?»

«Si dice che sia viva.»

«Lo credete?»

«Ve lo dirò quando avrò parlato coll'uomo che si trova nelforte di San Giovanni.»

«Vi sono gli spagnuoli nella rocca.»

«Lo so.»

«Vi andrò egualmente.»

«Vi prenderanno.»

«Forse no.»

«Avete qualche talismano?»

«Un semplice biglietto che farò recapitare all'uomo chedesidero interrogare.»

«E da chi?»

«Da qualche soldato spagnuolo.»

«Ne abbiamo tre o quattrocento fra i prigionieri.»

«Benissimo: ora ascoltatemidi Grammont. Se io domaniall'albanon dovessi ritornareritenetemi come morto oalla meno peggioprigioniero.»

«Allora so che cosa mi resta a fare.»

«Spiegatevidi Grammont.»

«Preparare i miei filibustieri per l'assalto della rocca.»

«Voi non lo farete.»

«Non orama domani mattina. Se all'alba voi non sarete quiioLaurent e Wan Horn daremo la scalata alla rocca e vivaddio la prenderemomalgrado il presidio ed i sessanta cannoni che la difendono.»

«Non voglio che si sacrifichino inutilmente i nostri uomini.Se io non sarò di ritornoavvertirete Morgan d'incrociare al largo colla mia Folgoreper una settimana interadopo la quale andrà dove vorrà.»

«E voi credetecavaliereche i nostri filibustieri se neandrebbero tranquillisapendovi nelle mani degli spagnuoli? Non speratelo.»

«Faranno ciò che vorranno. D'altronde non sarò cosìsciocco da lasciarmi prendere.

Agirò con prudenza. Orsùdatemi un prigioniero.

Il signor di Grammont uscì e poco dopo rientrava conducendoun giovane soldato spagnuolo. Il povero uomocredendo forse che lo si volessefucilareera pallido come un cencio lavato e guardava il filibustiere con occhiterrorizzati.

«Eccone uno che può fare per voi» disse Grammontspingendolo verso il signor di Ventimiglia.

Questi lo guardò per qualche istantepoi ponendogli unamano su una spallagli disse: «Io ti accordo la libertà senza riscattononsoloma ti regalo cinquecento piastre se mi rendi un servizio.»

«Parlatesignore» disse lo spagnuolorinfrancato daquelle parole.

«Tu conosci la marchesa di Bermejo.»

«E chi non la conosce in Vera-Cruz?»

«E Diego Sandorf?»

«Il confidente del duca fiammingo?»

«Sì.»

«Lo conoscosignore.»

«Tu ti recherai all'istante al forte di S. Giovanni de Luz econsegnerai al signor Sandorf questo biglietto. Gli dirai che glielo manda lamarchesa di Bermejo. Io aspetterò la tua risposta alla base del torrione dilevantedal lato del golfo e riceverai le cinquecento piastre. Bada però chese tu cerchi di tradirminoi espugneremo il forte per farti morire fra i piùatroci tormenti.»

«Preferisco la libertà e le cinquecento piastresignore.»

«Alla mezzanotte ti troverai all'appuntamento.»

«Vi prometto che vi saròsignore.»

«Va'!»

«Mi lasceranno il passo libero i filibustieri?»

Grammont chiamò un corsaro che era ritornato portando uncesto di verghe d'argento.

«Ehiamico» gli disse. «Accompagna questo prigionierofino ai nostri avamposti. Dirai a Wan Horn che porta ordini del signor diVentimiglia.»

Poi volgendosi verso il Corsaro che stava per uscire dietroal soldato:

«Siate prudentecavaliere.»

«Lo saròdi Grammont.»

«Spero di rivedervi prima dell'alba.»

«Se la sorte non avrà disposto diversamente.»

«In tal caso noi espugneremo la rocca e vi libereremo o vivendicheremo.»

 

 

 

Capitolo XXI

 

La scalata a S. Giovanni de Luz

 

Tre ore dopoquando i filibustieristanchi di saccheggiosi accampavano alla meglio sui bastioni della città e nelle piazze maggioriuna piccola barca montata da quattro uomini si staccava dalla spiaggiaavanzandosi rapidamente nel piccolo golfo. La notte era oscurissima e cattiva.Un forte vento soffiava dalla parte del grande golfospingendo sopra le dighedelle grosse ondatele quali andavano ad infrangersicon lunghi muggiticontro le navi ancorate lungo le calate e contro i numerosi barconi.

Quella scialuppa era montata dal Corsaro Nero e dai suoi trevalorosi marinai. Il primo si era coperto il viso con una piccola maschera diseta nera e si era avvolto il corpo in un ampio mantello pure nero; gli altriavevano indossati costumi spagnuoli. Tutti avevano la spada al fianco e allacintura un paio di pistole. Moko alla suaaveva aggiunta una scure.

Il Corsaro teneva la barra del timone; gli altri tre remavanovigorosamente per vincere la violenza delle onde.

Nel porto l'oscurità era completanon brillando alcun lumesulle navi ancorate. Solamente all'estremità della digaal disotto del fortescintillavaad intervallila luce verde e bianca del faro. Di quando in quandoperòall'orizzonteun rapido lampo illuminava fugacemente il mare tempestososeguito da un lontano rullìo.

Il Corsaroogni volta che quella luce livida rompeva letenebrealzava vivamente la testa guardando la massa imponente del forte di SanGiovanni de Luzgiganteggiante in alto coi suoi formidabili bastionied i suoitorrioni merlati.

La scialuppa rollava disperatamente sotto gli incessanticolpi di mareora affondando negli avvallamenti ed ora librandosi sulle crestespumeggianti. Certi momenti subiva tali scosse che i tre marinai correvano ilpericolo di venire sbalzati fuori dal bordo.

Sotto però quei poderosi colpi di remoriuscì a superarela bocca del portomettendosi tosto al riparo sotto la diga.

Giunta all'estremitàsuperò l'ultimo trattogiungendosotto le scogliere del fortee precisamente alla base dell'alta torre dilevante.

«Pronti a prendere terra» disse il Corsaro.

Con un'ultima spinta la scialuppa si cacciò in una specie dicaletta che s'apriva sotto il torrione.

Carmaux si slanciò sulla scogliera tenendo stretta la fune ela legò saldamente alla sporgenza d'una roccia.

Il CorsaroMoko e l'amburghese sbarcarono.

In quel momento un lampo ruppe le tenebreilluminando ilporto.

«Il soldato!» esclamò Carmauxil quale si era arrampicatosu di una specie di piattaforma che s'estendeva alla base del torrione.

Un uomo si era alzato dietro una rocciamuovendo verso ifilibustieri.

«Siete le persone che attendono al forte? - chiese.

«Sìsiamo noi» rispose il Corsarofacendosi innanzi.«Hai consegnata la lettera della marchesa a Diego Sandorf?»

«Sìsignore» rispose il soldato.

«E che cosa ti ha detto?»

«Che è a vostra disposizione.»

«Dove ci aspetta?»

«Sulla terrazza del torrione.»

«Perchè non è venuto qui?»

«Non avrebbe potuto abbandonare il forte senza che venissenotata la sua assenzaed essendo uno dei comandantinon ha osato farlo.»

«Chi crede che noi siamo?»

«Spagnuoliamici della marchesa di Bermejo.»

«Non ha alcun sospetto?»

«Nosignoredi questo sono certo.»

«Come faremo a salire sul torrione?» chiese il Corsaro.

«Sandorf ha gettato una scala di corda.»

«Sta bene: saliremo.»

«Devi fare qualche segnale a Sandorf per annunciargli ilnostro arrivo?»

«Sìsignore.»

«Affrettati a farlopoi monterai la scala dinanzi a noi.»

Lo spagnuolo accostò due dita alle labbra e mandò unfischio acuto.

Un momento dopo sulla cima del torrione si udì un fischiosimileche si confuse tra il rullare del tuono.

«Ci aspetta» disse il soldato.

«Cammina davanti a noi e non dimenticare che io non tiperderò di vista un solo istante» disse il Corsaro.

Attraversarono la piccola spianata e giunsero alla base deltorrione. Colà scorsero una scala di corda che pendeva lungo le paretimassicce. Carmaux alzò la testaguardando le merlature che si distinguevanovagamente fra le tenebre.

«Che scalata!» esclamòrabbrividendo. «Non vi sono menodi quaranta metri dai merli alla base.»

Anche il Corsaro pareva che fosse rimasto un po'impressionato dall'altezza di quel gigantesco torrione.

«Dobbiamo andare molto in alto» disse.

Poi volgendosi verso Carmaux che esaminavada uomo che se neintendela scala:

«È solida?» gli chiese.

«Le funi sono nuove e d'una notevole grossezza.»

«Ci potranno sopportare tutti?»

«Anche se fossimo in numero maggiore.»

«Monta» comandò il Corsaro al soldato. «Se ci farannofare un capitomboloverrai anche tu nell'abisso.»

«Sandorf ignora chi voi siete» rispose lo spagnuolo. «Misono guardato bene dal dirglielopremendomi la pelle.»

Si aggrappò alla scala e cominciò a salire senza dar segnidi esitazione. Il Corsaro gli si era messo dietropoi venivano CarmauxWanStiller e ultimo il negro.

La salita non era facile. Il vento che soffiava fortementeinvestiva la scala facendola ondeggiare vivamente e sbattendo i cinque uominicontro la parete del torrione.

Di quando in quando essi erano costretti a fermarsi e puntarei piedi contro i mattoni per frenare quelle scosse.

Di passo in passo che s'alzavanouna viva ansietàs'impadroniva dei filibustieri. La paura di fareda un momento all'altrounospaventevole capitombolosi era fortemente radicata nei loro cuorisapendo ditrovarsi in piena balìa dei loro nemici.

Carmaux sudava freddo; l'ambughese aveva dei brividi che nonriusciva a frenare; il negro era diventato pensieroso.

Anche il Corsaro non era tranquillo e quasi quasi si pentivadi aver intrapresa quell'audace spedizione.

A metà altezza si erano tutti arrestati. La scala avevasubita una oscillazione violentissima e che pareva provenisse dall'alto.

«Che sia questo il momento del capitombolo? - si chieseCarmauxaggrappandosi disperatamente ad una pietra che sporgeva dalla muraglia.

«È il vento» disse il Corsarotergendosi colla sinistraalcune stille di sudore freddo. «Avanti!»

«Aspettate un momentosignore» disse lo spagnuolo la cuivoce tremava. «Mi pare che la mia testa giri.»

«Stringi forte la corda se non vuoi precipitarenell'abisso.»

«Accordatemi un momento di ripososignore. Io non sono unmarinaio.»

«Un solo minutonon di più» disse il Corsaro. «Hofretta di giungere sulla piattaforma della torre.»

«Ed anch'iocapitano» disse Carmaux. «Amerei megliotrovarmi a cavalcioni d'un pennone di contrapappafico durante un abbordaggioche qui!»

S'aggrappò strettamente alla scala e guardò giù.

L'abisso stava sotto di luipronto ad inghiottirlonerocome il fondo d'un pozzo. Non si vedeva più nulla; si udivano solamente imuggiti delle onde che pareva fossero diventati più spaventosi.

Sopra la sua testa inveceil vento ululava sinistramente frai merli del torrione e le corde della scala.

«Se esco sano e salvo da questa terribile situazionemanderò un cero alla cattedrale di Vera-Cruz» mormorò.

«Avanti» disse in quel momento il Corsaro.

Lo spagnuolo che si era un po' riposatoriprese la scalataaggrappandosi strettamente alle corde.

Il Corsaro si teneva pronto a sorreggerlotemendo che da unmomento all'altro lo cogliesse un capogiro.

Finalmente con un ultimo sforzo il soldato giunse sull'orlosuperiore del torrione.

«Aiutatemi» dissevedendo apparire fra i merli un uomo.Questi stese le braccia e lo trasse sulla piattaforma. Il Corsaro che nonsoffriva le vertigini s'aggrappò all'orlo del merlo più vicino e balzòagilmente sulla torremettendo subito mano alla spada.

L'uomo che aveva aiutato il soldatogli era mosso incontrodicendogli:

«Siete voi l'amico della marchesa di Bermejo?»

«Sì» rispose il Corsarotirandosi da un lato per lasciarposto ai suoi uomini già giunti fra i merli.

Si guardarono entrambi per qualche istantecon una certacuriosità. Diego Sandorfil confidente del ducaera di statura piuttostobassacon spalle molto larghebraccia muscolose. Dimostrava cinquant'anni. Isuoi capelli e la sua barba erano brizzolati; i suoi lineamenti piuttosto duri;i suoi occhi piccoli e grigi come quelli d'un gattocon un certo lampo colordell'acciaio.

Sbirciò il Corsaro dalla testa ai piedialzando unalanterna che aveva presa fra i merlionde osservarlo megliopoi disse con uncerto malumore:

«Non era necessario che vi copriste il viso colla maschera;come vedete io mostro il mio volto.

«Le precauzioni non sono mai troppe» si limitò arispondere il Corsaro.

«Chi sono questi uomini? »chiese Sandorfindicando Carmauxe gli altri.

«Miei marinai.»

«Ahi voi siete allora un capitano di marina.»

«Sono un amico della marchesa di Bermejo» risposeasciuttamente il Corsaro.

«Che desiderate sapere da me?»

«Una cosa della massima importanza.»

«Sono ai vostri ordinisignore.»

«Io so che voi sapete qualche cosa della figlia del duca WanGulddella signorina Honorata.»

Diego Sandorf aveva fatto un gesto di stupore.

«Perdonate» disse«ma io desidererei prima sapere chisiete voi per interessarvi della figlia del duca.»

«Per ora sono un amico della marchesa di Bermejo; piùtardiin altro luogonon quivi dirò chi io sono.»

«Sia pure. Ditemi allora cosa desiderate sapere.»

«Volevo chiarire se era vera la voce che la signorinaHonorata sarebbe ancora viva.»

«Ed a quale scopo?»

«Ho una nave e degli uomini risoluti e potrei riusciremeglio di qualunque altro forsea rintracciare la giovane duchessa.»

«Allora voi siete un amico del duca per interessarvi tantodi sua figlia?»

Il Corsaro non rispose. Diego Sandorf interpretò quelsilenzio come un'affermazione e prosegui.

«Allora ascoltatemi.

Due mesi or sonoio mi trovavo in missione all'Avanaquandoun giorno venne da me un marinaio dicendomi di aver da farmi delle comunicazionidella massima importanza. Credetti dapprima che si trattasse di qualcheconfidenza riguardante i filibustieri della Tortueinvece si trattava diHonorata Wan Guld. Avendo saputo che io ero il confidente del ducaerasi decisoa venirmi a trovare per darmi delle preziose informazioni sulla giovaneduchessa. Seppi adunque da lui che la tempestascoppiata la notte in cui ilCorsaro Nero l'aveva abbandonata in una scialuppa per vendicarsi del ducal'aveva risparmiata. La nave che montava quel marinaio aveva incontrata lagiovane duchessa a sessanta miglia dalla costa di Maracaibo e l'aveva raccoltanon ostante l'infuriare delle onde. La caravella doveva recarsi nella Florida ela condusse con sé. Disgraziatamente era allora l'epoca degli uragani. Lacaravellagiunta presso le coste meridionali della Floridanaufragò sullescogliere e l'equipaggio fu massacrato dai selvaggi. Solamente il marinaio chevenne a trovarmi era sfuggito miracolosamente alla morteessendosi tenutonascosto fra i rottami della navecioè non lui solo. Anche la giovane duchessaera stata risparmiata. Quei selvaggicolpiti forse dalla sua bellezzainvecedi trucidarla le avevano manifestato segni non dubbi di un rispettostraordinario. Dal suo nascondiglioil marinaio vide quei feroci antropofaghiinginocchiarsi dinanzi alla giovane duchessacome se fosse qualche divinitàdel marequindi adagiarla su di un palanchino adorno di penne e di pelli dicaimano e condurla con loro.

Il marinaio vagò parecchie settimane su quella costainospitalefinchètrovato un canotto abbandonato fra le sabbiepotèprendere il largo e farsi raccogliere da una nave che veniva da S. Agostinodella Florida.

Eccosignorequanto ho potuto sapere.»

Il Corsaro Nero l'aveva ascoltato in silenziocol capo chinosul petto e le braccia strettamente incrociate. Quando Diego Sandoff ebbefinitoalzò vivamente la testachiedendogli con un accento che tradiva unaviva ansietà:

«Avete creduto a questa istoria?»

«Sìsignore. Quel marinaio non aveva alcuno iscopo perinventarla.»

«Ed il duca non ha subito mandata qualche nave a cercarla?»

«Egli si trovava qui in quell'epoca e non potei informarloche pochi giorni facioè subito dopo il mio arrivo.»

«Eppure don Pablo de Ribeira aveva pur saputo qualchecosa.»

«Come conoscete don Pablo?» chiese Sandorfcon stupore.

«Sono andato a trovarlo alcune settimane or sono.»

«L'avevo informato io» disse il fiammingo. «Credendo cheil duca si trovasse nei suoi possedimenti di Puerto Limonmi ero prima recatocolàmentre egli invece era già partito per Vera-Cruz.»

«Mi hanno detto che il duca si è imbarcato l'altra notteper la Florida.»

«È verosignore.»

«Non si fermerà in alcun luogo prima di recarsi laggiù?»

«Credo che si arresterà a Cardenasnell'isola di Cubadove ha molte possessioni e molti interessi da regolare.»

«Voi mi avete detto che la caravella è naufragata sullecoste meridionali della Florida.»

«Sìsignore» rispose Sandorf.

Il Corsaro gli stese la manodicendogli:

«Grazie: se domani scenderete a Vera-Cruzvi dirò il mionome.»

«Vi sono i filibustieri in città.»

«Domani non vi saranno più.»

Poi volgendosi verso i suoi uomini disse:

«Andiamo.»

Carmauxche aveva già fatto il giro della piattaforma peraccertarsi che non vi erano soldati nascostiscese per primopoi dietro di luiWan Stillerquindi il Corsaro e ultimo Moko.

Erano già discesi di dieci o dodici metriquando un gridosfuggi a Carmaux.

«Fulmini!» esclamò. «Ed il soldato?»

«È rimasto sul torrione!» gridò Wan Stiller.

«Ci tradisce!»

Il Corsaro Nero s'era arrestato. Se il soldatoche dovevaricevere le piastre promessegli alla base del torrione non li aveva seguitiv'era da temere un tradimento. La paura che la scala potesse venire tagliataprecipitandoli tutti nell'abisso che muggiva sotto i loro piedigelò il sanguenelle loro vene.

«Risaliamo!» gridò il Corsaro. «Prestose vi preme lavita.»

S'aggrappano alla scala e rimontano precipitosamente.

Mokoche era il primos'aggrappò al merlo più vicino.Aveva appena appoggiate le mani quando udì una voce a dire:

«Siamo ancora in tempo per farli cadere!»

Il negro d'un balzo si slanciò fra i merli ed impugnò lascure.

Due uomini attraversavano in quel momento la piattaformadirigendosi precisamente là dove era legata la scala.

Erano il soldato spagnuolo e Diego Sandorf.

«Indietromiserabili!» gridò il negroalzando la scure.

Lo spagnuolo ed il fiammingosorpresi da quell'improvvisaappariziones'arrestarono. Quel momento bastò per lasciare tempo al Corsaro edai suoi due marinai di raggiungere le cime del torrione.

Carmauxvedendo una colubrinad'un colpo solo la fecegirare puntandola verso le piattaforme delle alte torri e accese rapidamente unamicciamentre il Corsaro si slanciava verso Diego Sandorf colla spada in pugno.

«Cosa volete ancora?» chiese il fiammingoche aveva puresnudata la spada.

«Dirvi che siete giunto troppo tardi per precipitarcinell'abisso» rispose il Corsaro.

«Chi vi ha detto questo?» chiese Sandorffingendosistupito.

«Vi ho uditosignor Sandorfquando dicevate allospagnuolo: Siamo ancora in tempo per farli cadere».

«Voi siete il Corsaro Neroè vero?» chiese il fiammingocoi denti stretti.

«Sìil nemico mortale del duca vostro signore» risposeil cavalierelevandosi la maschera.

«Allora vi uccido!» gridò il fiammingocaricandolofuriosamente.

Nel momento che lo attaccavail soldato erasi gettato giùdalla piattaformasaltando su di un ponte che comunicava con un secondotorrione.

«All'armi!» aveva gridato a piena gola. «Ifilibustieri!...»

«Ah!... canaglia!» gridò Wan Stillerprecipitandoglisidietro.

Il Corsaroa cui premeva sbarazzarsi del fiammingo perorganizzare la difesa della piattaforma o tentare la discesa del torrionese neavevano il tempoaveva caricato con grande impeto l'avversariocostringendoloa retrocedere verso il ponte.

Il fiammingo si difendeva vigorosamentema non era dellaforza del Corsaroquantunque fosse un abile spadaccino.

Giunto presso il primo gradino del pontefu costretto avoltarsi indietro per non cadere. Il Corsaropronto come la folgoregliallungò una stoccata fra le costolefacendolo ruzzolare giù dalla scala.

«Avrei potuto passarvi da parte a parte» gli disse. «Viho risparmiata la vita perchè m'avete date delle informazioni preziose eperchè siete amico della marchesa.»

Era tempo che si fosse sbarazzato di quell'avversario. Moko eWan Stillerche non avevano potuto raggiungere il soldatotornavano correndomentre su tutte le piattaforme e sui bastioni si udivano le sentinelle agridare:

«All'armi!... All'armi!... I filibustieri!»

Il Corsaro aveva gettato attorno a sè un rapido sguardo. Inun angolo della piattaforma aveva scorto una scala di pietra che parevaconducesse nell'interno del torrione.

«Cerchiamo un riparo» disse. «Fra poco le artiglierie delforte fulmineranno questo luogo.»

«Se fuggissimo per la scala di corda?» chiese Carmaux.«Forse ne avremmo il tempo.»

«È troppo tardi» rispose Wan Stiller. «Gli spagnuolivengono!...»

«Signore» disse Carmauxvolgendosi verso il Corsaro.«Salvatevi!...»

«Noi non ci arrenderemo finchè voi non sarete giunto nellascialuppa.

«Abbandonarvi!» gridò il Corsaro. «Mai!...»

«Affrettatevicapitano» disse Wan Stiller. «Siete ancorain tempo per salvarvi!...»

«Mai!» ripetè il Corsarocon incrollabile fermezza. «Iorimango con voi. Veniteci difenderemo come leoni e aspetteremo l'assalto deifilibustieri di Grammont.»

 

 

Capitolo XXII

 

Fra il fuoco e l'abisso

 

Il Corsaro aveva già messo un piede sul primo gradinoquando un pensiero improvviso lo trattenne.

«Io stavo per commettere una viltà!» esclamò volgendosiverso i suoi uomini.

«Una viltà!» esclamò Carmauxguardandolo stupito.

«Gli spagnuoli e soprattutto Sandorf non perdonerebbero allamarchesa di Bermejo di aver protetto dei filibustieri e sopratutto me. Noil''abbiamo compromessa.»

«È necessario che uno vada ad avvertirla di quanto èsuccesso onde possa mettersi al riparo dalle vendette dei suoi compatriotti.»

«Ragione di più per andarvi voicapitano. Salvereste lamarchesa e voi stesso.»

«Il mio posto è quifra voi» disse il Corsaro. «WanStilleraffido a te l'incarico di andare dalla marchesa e poi di avvertireGrammont della nostra situazione.»

«Sono pronto a obbedirvicapitano» rispose l'amburghese.

«Noi resisteremo finchè tu sarai al sicuro. Va'spicciati:il tempo stringe» disse il Corsaro.

L'amburghese che non era abituato a discuterescavalcòl'orlo superiore della torres'aggrappò alle corde e sparve nell'oscurità.

«Quando sarai sullo scoglioci darai il segnale con uncolpo di pistola» gli gridò Carmaux.

«Sìcompare» rispose l'amburghese che discendeva aprecipizio.

«Prepariamoci alla difesa» disse il Corsaro. «Tu Carmauxalla colubrina e noiMokodifendiamo il ponte.»

«Gli spagnuoli vengonocapitano» disse Moko. «Li vedoscendere il bastione che sta di fronte a noi.»

Gli spagnuoli avvertiti dall'allarme dato dalle sentinelle edalle grida del soldatosi erano svegliati subitoafferrando le armi.

Avendo dapprima creduto che i filibustieri tentassero unassalto dalla parte delle torri e dei bastioni di ponentes'erano precipitaticonfusamente da quella partelasciando così al Corsaro ed ai suoi compagnialcuni minuti di tregua. Avvertiti dal soldato del loro errore e saputo che sitrattava di pochi filibustieriil governatore del forte aveva dato ordine aduna compagnia di dare l'assalto alla piattaforma del torrione di levante ed'impadronirsi di quegli audaci. Cinquanta uominiarmati parte di fucili eparte d'alabardesuperati i bastionis'erano affrettati a muovere verso ilpontementre alcuni artiglieri puntavano due pezzi in quella direzione persostenere la colonna d'assalto. Il Corsaro e Moko si erano appostatiall'estremità del pontetenendosi riparati dietro l'angolo del parapettomentre Carmauxche era stato un tempo un valente artigliereaveva puntata lacolubrina in modo da spazzare il passaggio.

Vedendo avanzarsi i soldatiil Corsaro colla destra impugnòla spada e colla sinistra una pistolagridando:

«Chi vive?»

«Arrendetevi» rispose l'ufficiale che comandava ildrappello.

«È a voi che intimo la resa» disse il Corsaroaudacemente.

In quell'istante in fondo alla scala si udì una voce fioca adire:

«Addosso!... avanti!... È il Corsaro Nero!»

Era Diego Sandorfil qualequantunque non fosse statogravemente feritonon era ancora riuscito ad attraversare il ponte. Udendoquelle parolegli spagnuoli si erano arrestati.

«Il terribile Corsaro!» avevano esclamatocon ispavento.

La fama del fiero scorridore del mare era diventata popolarein tutte le colonie spagnuole del golfo del Messicoe tutti conoscevano leaudaci imprese di quell'uomocome conoscevano il terribile odio che esistevafra lui ed il duca fiammingo.

I soldati del fortesapendo d'aver di fronte il formidabileCorsarosi erano arrestatititubando fra l'avanzarsi ed il retrocedere perchiamare nuovi rinforzi. Il Corsaro non lasciò loro il tempo di prendere laprima decisionevolendo innanzi a tutto guadagnar tempo.

«Avanti miei prodi!» aveva gridato. «Carmaux lancia ventiuomini attraverso il ponte e tuMokodà l'assalto a quel bastione con altriquindici!... Alla carica uomini del mare.»

E scaricò la sua pistolaslanciandosi verso il ponte.

Gli spagnuoliingannati da quei comandicredendo davvero diaver dinanzi tanti uominiretrocessero precipitosamenterimontandoconfusamente il bastione non ostante le grida di Sandorf il quale ripeteva:

«Avanti!... Addosso!... Non sono che in quattro!

Carmaux vedendoli scalare il bastione e volendo far lorocredere di essere in buon numero sul torrionefece tuonare la colubrinasmantellando un merlo della seconda cinta e facendo piovere i rottami addosso aifuggiaschi.

Un momento dopo due colpi di pistola rintronavano sullascogliera.

«Wan Stiller è in salvo!» esclamò Moko.

«E noi abbiamo ottenuto il nostro scopo» disse Carmaux.

Ad un tratto due colpi di cannone rimbombarono sull'ultimatorre di ponente e due palle passarono sopra la piattaforma. Una diroccò unmerlo a soli cinque passi da Moko; l'altra fracassò una ruota della colubrinaperdendosi poi in mare.

«Venite» disse il Corsaro.

Si slanciarono tutti e tre verso la scala di pietramentreuna terza pallae questa di grosso calibrosollevava una delle pietre dellapiattaformamandandola in frantumi.

Discesi cinquanta gradinii filibustieri si trovarono in unostanzone a voltacon due feritoie difese da grosse sbarre di ferro e cheguardavano una verso il mare e l'altra su di un cortile del forte che si trovavaquasi a livello dell'apertura.

Una porta di quercia assai grossa e coperta di lamine diferro chiudeva la scala.

«Pensiamo a premunirci le spalleinnanzi a tutto» disseCarmaux.

Aiutato da Moko chiuse con fracasso la portasbarrandola condue spranghe di ferro.

«Per di qua non entreranno di certo» disse. «È a provadi scure.»

«E le inferriate delle due finestre sono solide» disseMoko.

Il Corsaro aveva fatto il giro dello stanzone per vedere sevi erano altri passaggima non ne trovò.

«Forse potremo resistere fino all'arrivo dei filibustieri»disse.

«Anche una settimanasignore» rispose Carmaux. «Lepareti hanno un tale spessore da sfidare il cannone.»

«Non abbiamo nè un sorso d'acquanè un biscotto.»

«È vero!» esclamò Carmauxcon un gesto di scoramento.

«ConsolatiCarmaux: ecco i vivandieri che arrivano.Disgraziatamente non ci offriranno che delle pagnotte di ferro.»

«Non mi piacciono perchè sono troppo indigeste.»

«Allora guardati!»

Il Corsaro Neroche si trovava appostato dietro una delledue feritoieaveva veduto un drappello di spagnuoli spingere un cannone versol'estremità del cortile. Stava per ritirarsi dietro l'angolo del muroquandodalla parte della scala si udirono dei passi.

«Pare che vogliano prenderci fra due fuochi» disse.«Fortunatamente la porta è massiccia e la scala non permette di collocare uncannone e...»

Un colpo furioso dato contro la porta e che fece rintronaretutta la torregli troncò la frase.

«Aprite!» gridò una voce.

«Mio caro signore» disse Carmaux«bussate un po' troppoforte voi.»

«Aprite!» ripetè la medesima voce.

«Ohe! Badate che siamo in casa nostra e che abbiamo ildiritto di non venire disturbati da chicchessianemmeno dal re di Spagna.»

«Ah! siete in casa vostra!»

«Per bacco!... Abbiamo già pagata la pigione al signorSandorfcon due pollici di vero acciaio di Toledo.»

«Non importaarrendetevi.»

«A chi?» domandò il Corsaro Nero.

«Al comandante del fortedon Esteban de Joave.»

«Dite allora al signor de Joave che il cavaliere diVentimiglia non ha per ora alcuna intenzione di arrendersi.»

«Pensate che noi siamo in cinquecento» disse lo spagnuolo.

«E noi in trema pronti a lottare fino all'estremo dellenostre forze.»

«Il governatore vi promette salva la vita.»

«Preferisco giuocarla in un combattimento. Andate elasciateci tranquilli.

«Ah! desiderate di rimanere tranquillo! Me ne dispiacecavalierema noi non vi accorderemo un solo istante di tregua.»

Si udirono delle persone a rimontare le scalepoi piùnulla.

«Pare che abbiano rinunciato a forzare la porta» disseCarmauxrespirando a pieni polmoni.

«Ma non hanno rinunciato a bombardarci» rispose ilCorsaro. «Guarda!»

Lo spinse verso la feritoia che guardava sul cortile.

All'opposta estremità Carmaux videalla luce di parecchietorcedue pezzi d'artiglieria puntati verso la torre e numerosi soldati.

«Vedi?» chiese il Corsaro.

«Diavolo!» esclamò Carmauxpizzicandosi gli orecchi. «Lacosa si fa seria.»

«IndietroCarmaux: soffiano sulle micce.

«Non mi lascierò coglierecapitano» rispose il marinaiofacendo un salto indietro.

I tre filibustieri attesero lo sparoma i cannoni cheparevano pronti a vomitare le loro masse metalliche contro la torrerimaseromuti.

«Come va questa faccenda?» si chiese Carmaux. «Che glispagnuoli ci tengano a non guastare questo torrione o che vogliano prendercivivi?»

«È probabile» rispose il Corsaroil quale s'eraavvicinato alla feritoia a rischio di farsi spaccare in due da una palla dicannone. «Sìpare che abbiano rinunciato a bombardarci. I soldati stannoconfabulando fra di loro. Vi sono parecchi ufficiali con loro e fors'anche ilcomandante del forte.»

«Spereranno di farci capitolare senza ricorrere allaviolenza e perdere un solo uomo.»

«Sanno che manchiamo di viveri.»

«Ma non sanno che i nostri amici all'alba verranno aliberarci.»

«AdagioCarmaux» disse il Corsaro. «Mancano ancora treore allo spuntare del sole ed in questo intervallo di tempo possono succederemille cose.»

«Cosa temetecapitano?»

«Che gli spagnuoli ci costringano a capitolare prima chesorga il sole.»

«Io sono del vostro parerepadrone» disse Mokoche finoallora erasi tenuto dietro la porta ferrata. «Gli spagnuoli sono occupati inqualche lavoro misterioso.»

«Cos'hai udito?» chiesero Carmaux ed il Corsaroconinquietudine.

«Si direbbe che stanno rotolando dei barili.»

«Giù dalla scala?» chiese Carmaux impallidendo.

«Sì» rispose Moko.

«Dei barili!» esclamò il marinaio. «Che siano pieni dipolvere?»

«È probabileCarmaux.»

«Noi non lo permetteremocapitano.»

«Cosa vorresti faremio bravo?»

«Aprire la porta e piombare sugli spagnuoli prima chepossano preparare la mina.»

«L'idea non mi sembra cattivaperò non credo che otterremograndi cose.»

«Preferisco morire colle armi in pugnopiuttosto di saltarein aria come un sacco di stracci.»

«Allora venitemiei bravi» disse il Corsarosguainandola spada.

Prima di dare il comando di levare le sbarre di ferroaccostò un orecchio alla porta e ascoltò a lungo.

«Giù le sbarre» disse a Mokoa mezza voce.

Il negro le fece cadere d'un colpo solo e aprì violentementela massiccia porta.

Il Corsaro s'era già scagliato sui primi gradiniurlando apiena gola:

«Avantiuomini del mare!...»

A metà della scala quattro soldaticomandati da unsergentestavano rotolando un barile.

Il Corsaro piomba in mezzo a loro e con una stoccata abbatteil più vicinoma il sergente gli sbarra il passo attaccandolo vigorosamentecolla spada in pugnomentre i suoi compagni salgono a precipizio urlando:

«I filibustieri!... All'armi!»

Il barileabbandonato a sè stessoera rotolato giù dallascala con gran fracassomandando Carmaux a gambe all'aria.

«Sgombra!» aveva gridato il Corsaroal sergente. «Sgombrao ti uccido!»

«Sebastiano Maldonado muore sul posto ma non fuggemiosignore» rispose lo spagnuoloribattendo con grande abilità una stoccata cheavrebbe dovuto passarlo da parte a parte.

Moko e Carmaux si erano slanciati pure innanziperò avevanodovuto subito fermarsi in causa della strettezza della scala e della inaspettataresistenza opposta dal sergente.

«Una pistola certe volte val meglio d'una spada» disseCarmauxlevandosi l'arma dalla cintura.

Stava per far fuoco sul valoroso sergentequando questicadde mandando un grido. Il Corsaro lo aveva colpito in mezzo al petto.

«Avanti!» gridò.

In quel momentoallo svolto della scala comparvero glispagnuoli. Accorrevano in buon numero per ricacciare i filibustieri.

Due colpi di fucile rimbombarono. Una palla tagliò netta lalunga piuma nera del Corsaromentre la seconda sfiorava la guancia destra diMokotracciando un leggero solco sanguinoso.

«In ritirata!» grida il Corsaroscaricando la sua pistolacontro gli archibugieri.

I tre filibustieri in due salti scesero la scala e sirinchiusero nello stanzone salutati da altri due colpi di fucile le cui pallerimbalzarono sulle piastre di ferro della porta.

«Prepariamoci a difenderci estremamente» disse il Corsaro.

Nel medesimo istante alcuni colpi di cannone rimbombaronodalla parte del mare. Il Corsaro si era slanciato verso la feritoia che guardavasul porto. Un grido di gioia gli irruppe dalle labbra.

«Cosa avetecapitano?» chiese Carmaux.

«GuardaCarmaux!... Guarda!...»

«Tuoni!» esclamò il bravo marinaio. «I nostrifilibustieri!»

La Folgore entrava in quel momento nella radascaricando le sue artiglierie contro le torri ed i bastioni del forte di SanGiovanni de Luz!...

 

 

 

Capitolo XXIII

 

La presa di S. Giovanni de Luz

 

Wan Stillerappena giunto sulla scogliera che si prolungavaalla base del torrionenon aveva perduto tempo.

Comprendendo che il Corsaro ed i suoi due compagni nonavrebbero potuto opporre una lunga resistenza al numeroso presidio del forteera subito balzato nella scialuppa che aveva ritrovata nella piccola cala e siera messo ad arrancare con lena affannosadirigendosi verso la calata centraledella città.

Soffiando il vento dalla parte del golfola scialuppa venivaportata dalle onde che irrompevano attraverso le dighespingendola verso terra.Senza questa circostanzal'amburghesequantunque robustissimoavrebbe dovutoimpiegare parecchio tempo a condurre da solo la scialuppa fino alla piùprossima gettata.

Era già giunto a metà della radaquando volgendo losguardo intornosi accorse di una grossa scialuppa la quale seguiva esattamentela sua rotta.

«Che gli spagnuoli mi abbiano seguito?» pensò.

Stava per gettarsi fra i barconi ancorati nella radaquandoudì una voce a gridare:

«Ehialt o facciamo fuoco!»

L'amburghese udendo quella voce aveva ritirati i remi.

«Luserni!» esclamò. «Ohe! Siete della Folgore?»

«Toh!» esclamò la medesima voce. «Che uno squalo midivori vivo se quell'uomo non è l'amburghese!»

La grossa scialuppa che era montata da dodici marinaiconun'ultima spinta aveva abbordata l'imbarcagione dell'amburghese ed un uomo siera slanciato a proragridando con un marcatissimo accento ligure:

«Sei proprio tuWan Stiller?»

«Sìmastro Luserni.»

«Ed il cavaliere?»

«Sta per essere preso.»

«Dici?...»

«Che se non prendiamo il forteil signor di Ventimigliacadrà nelle mani degli spagnuoli.»

In quel momento un colpo di colubrina rimbombò sulla torredi levante di San Giovanni de Luz.

«È Carmaux che sbaraglia gli spagnuoli» disse WanStiller. «Ma non sono che in tre e non hanno che una sola carica. Dammi due deituoi uomini mastro e tu corri ad avvertire Morgan. Il capitano è rinchiusonella torre di levante.»

«E tu dove vai?»

«Ad avvertire il signor di Grammont. All'alba i filibustieridaranno l'assalto al forte. Vieni dal mare?»

«Sì» rispose il ligure. «Mi ha mandato il signor Morganper avere ordini dal capitano.»

«Dove si trova la Folgore?»

«Incrocia dinanzi alla rada.»

«Dirai al signor Morgan d'assalire il forte dalla parte delmarementre il signor di Grammont lo attaccherà dalla parte di terra. Addio enon perdere tempo!...»

«Due uomini con Wan Stiller» disse il mastro. «Pronti ariprendere il largo!»

Un momento dopo l'imbarcazione dell'amburgheserinforzata dadue robusti rematoricorreva verso la gettatamentre la grossa scialuppariprendeva la lotta contro le ondedirigendosi verso le dighe del porto. Appenasbarcatol'amburghese si volse verso i due filibustieri dicendo loro:

«Recatevi subito al palazzo del governatore ed avvertite ilsignor di Grammont che il Corsaro Nero si trova assediato nella torre dilevante. Fra poco vi raggiungerò anch'io.

Poi partì correndocercando di orientarsi fra le numerosevie della città che conosceva a malapena.

Non fu cosa facile ritrovare il palazzo della marchesa diBermejoma finalmente riuscì a giungervi.

Nel momento in cui entrava nel giardinodue uomini chemontavano due bellissimi e vigorosi cavallistavano per uscire.

«Dov'è la marchesa?» chiese Wan Stiller.

«È partita» rispose uno dei due.

«Da quando?»

«Da tre ore.»

«Non cercate d'ingannarmi» disse l'amburghesecon voceminacciosa. «Ho da farle una comunicazione della massima importanza.»

«Vi ripeto che è partita.»

«Per dove?»

«Per Tampicoda cui s'imbarcherà per la Spagna.»

«La rivedrete voi?»

«Andiamo a raggiungerla.»

«Le direte che tutto è stato scopertoche Sandorf è statogravemente ferito e che il signor di Ventimiglia si trova assediato e cheaspetta il signor di Grammont.»

«Io sono il suo maggiordomo» disse lo spagnuolo che avevaparlato. «Le vostre parole le saranno riferite.»

«Ditele che io sono stato mandato espressamente dal signordi Ventimiglia per avvertirla del tradimento e che si guardi

Poi uscì sempre correndodal giardinomormorando:

«Una donna astutaquella marchesa. Ha preso in tempo le sueprecauzioni.

Quando giunse al palazzo del governo stava per albeggiare.

Una viva agitazione regnava sulla vasta piazza. Bande difilibustieri giungevano da tutte le partitrascinando cannonirotolando barilidi polvereportando scale lunghissime tolte dalle chiese.

Ufficiali e mastri d'equipaggio entravano ed uscivano dalpalazzo del governomentre nelle vicine vie si udivano le trombe ed i tamburisuonare a raccolta. Di quando in quando dei grossi drappelli partivano a passodi corsadirigendosi verso l'estremità della radadove giganteggiava la massaimponente di San Giovanni de Luz.

«Grammont è uomo di parola» mormorò Wan Stiller. «Siprepara ad espugnare il forte.»

Si aprì il passo fra i filibustieri che entravano e uscivanodal palazzo del governatore e salì nella sala che guardava sulla piazzadovevide Grammont discutere animatamente con Laurent e con parecchi comandanti dinavi.

Il gentiluomo francese appena lo vide gli mossesollecitamente incontroesclamando:

«Finalmente!... Cosa è accaduto adunque al signor diVentimiglia? I due marinai che mi hai mandato ne sapevano quanto me.»

«Quando l'ho lasciatola guarnigione del forte si preparavaad assalirlosignore» rispose Wan Stiller.

«Che sia già stato preso?»

«Ne dubitosignore. Stava per barricarsi in una stanza deltorrione di levante.»

«OrsùLaurentnon perdiamo tempo e prepariamoci adassalire vigorosamente il forte.»

Stava per uscirequando alcuni colpi di cannone rimbombaronodalla parte del porto.

«Che significa ciò?» si chiesearrestandosi. «Che inostri uomini abbiano già cominciato l'attacco senza attendere noi?»

«Ve lo dico iosignore» disse Wan Stiller. «Queste sonocannonate della Folgore.»

«Anche la nave del Corsaro Nero è della partita?»

«Sìsignore; ho fatto avvertire Morgan.»

«Ecco un potente aiuto sul quale io non avevo contato.»

Poi volgendosi verso i numerosi ufficiali che ingombravano lasalagridò:

«Andiamosignori!... L'attacco è cominciato!»

Le bande dei filibustieri si erano già ammassate sullapenisolettaalla cui estremità s'ergeva il forte di San Giovanni de Luze sierano preparate per dare l'assalto alle torri di ponentele quali presentavanominor robustezza di quelle che guardavano la baia di Vera-Cruz. Quei torrioniperòrinforzati da bastioni merlati altissimi e da lunettee armati danumerosi cannoni di grosso calibroavevano un aspetto così imponente daspaventare i più audaci filibustieri.

L'alba era appena sortaquando i filibustieriarmatisolamente di pistole e di sciabole d'arrembaggiocominciarono ad avanzare sottola condotta di Laurent e di Grammont.

Quantunque tutti avessero compreso le gravi difficoltà chepresentava quell'impresapure quegli arditi uomini avevano accettato conentusiasmo la proposta fatta loro dai capitrattandosi di liberare il CorsaroNeroil più popolare ed il più amato di tutti i filibustieri della Tortue.

Grammont e Laurentd'accordo con Wan Hornil quale erastato incaricato di sorvegliare la cittàonde impedire una sollevazione daparte degli abitantiavevano deciso di assalire il formidabile castello da duepartiper dividere il presidio.

Il primo però doveva dare vigorosamente l'assaltomentre ilsecondoche aveva minor numero d'uominidoveva limitarsi a tormentare idifensori e minacciare i torrioni che guardavano verso il mare. Erano le settequando le squadre di Grammont giunsero a tiro di fucile dai bastioni di ponente.Gli spagnuoli si erano raggruppati in buon numero dietro agli spaltidecisi adopporre una resistenza disperata ed a farsi uccidere piuttosto che arrendersi.Dalla parte del mare non avevano lasciato che poche squadriglie per far frontealla Folgorei cui cannoni tuonavano senza posadiroccando le merlaturedelle torri e tempestando gli spaltidietro ai quali si trovavano le grosseartiglierie del forte.

All'apparire delle prime squadre dei filibustieri diGrammontle artiglierie di grosso calibro degli spagnuoli avevano subitocominciato un fuoco infernalebattendo tremendamente le spianate che siestendevano dinanzi alle torri ed alle cinte di ponente e fracassando gli alberidietro i quali si erano appostate le avanguardie.

I filibustieri invece di risponderesi erano limitati adisperdersiappiattandosi fra le alte erbe o dietro ai cespuglima dopo ogniscarica s'affrettavano a guadagnarestrisciando come serpentidieci o quindicipassiper poi tornare a sdraiarsi al suolo.

Quella manovrasuggerita da Grammontlimitava immensamentele perditepoichè di rado le grosse palle dell'artiglieria spagnuolapiùatte a sconquassare grosse navi che uomini isolaticolpivano nel segno.

Quando però i filibustieri giunsero dinanzi all'ultimaspianatalontana soli trecento metri dai fossati dei bastionile cosecominciarono a volgere subitamente alla peggio per gli assalitori.

Le piccole artiglierie erano entrate in scenatirando amitraglia e quei nembi di scheggesparate rasente al suolo dalle feritoieaperte alla base dei torrionispazzavano alla lettera la spianatamutilando ofulminando i filibustieri.

Grammont si era alzato in piedigridando:

«All'assalto!... Il Corsaro Nero ci aspetta!»

Un urlo immensoselvaggioscoppia fra gli assalitori.

«Alla carica!... Morte agli spagnuoli!»

I quattrocento uomini che formavano il corpo del gentiluomofrancese si scagliano innanzi portando le scale ed incoraggiandosi con clamorispaventevoli.

Non vi erano che trecento metri da attraversare per giungereai fossatima erano trecento metri senza riparo.

Il fuoco degli spagnuoli raddoppia. Dai bastionidalleferitoiedai merli delle torri le artiglierie tuonano con un crescendoassordante. Le pallele granatela mitraglia cadono dovunque solcando esollevando il suolo e facendo larghi vuoti fra gli assalitori.

I filibustierimalgrado le grida dei loro capiesitano.Alcunipiù audacisono giunti nei fossati e hanno rizzate le scalema nonosano spingersi in alto e affrontare quel fuoco d'inferno che semina la mortedovunque.

«Avanti!» grida Grammontmettendosi alla testa d'undrappello di bucanieri. «Il Corsaro Nero è lassù.»

Si slancia arditamente in mezzo al fumo e fa gettare sulfossato un ponte volante. Una scarica di mitraglia colpisce in pieno coloro chelo seguono e la squadriglia audace si sfascia come un castello di carta. In quelmomento una nuova truppa di filibustieri si precipita sulla spianata. Sono gliuomini di Laurent. Respinti a loro volta si erano affrettati a raggiungere lebande di Grammontsperando di riuscire meglio da quel lato. Quel soccorsoinfonde un coraggio disperato alle bande del gentiluomo francese. Scendono neifossatipiantano le scale e si slanciano all'assaltotentando di allontanaregli spagnuoli a furia di bombe lanciate a mano. Vani sforzi. I difensorirovesciano le scale nei fossati e fanno piovereaddosso agli assalitorimacigni e acqua bollentementre le artiglierie continuano a spazzare lespianate.

La partita sembra ormai perduta! I filibustieristremati daquegli inutili tentativifulminati dai cannoni e dai moschetti dei difensoridel castellosi ripiegano sulla seconda spianata portando con loro i feriti.

I due capi della filibusteriacon una banda composta diuomini sceltitentano ancora uno sforzo supremoma a loro volta si vedonocostretti a indietreggiare per non farsi sterminare da quella tempesta di ferroe di piombo.

Ad un tratto delle urla acute scoppiano dietro alle ultimebande. Sono pianti di donne e grida d'uomini spaventatiatterriti.

«Che succede? - grida Grammont.

Uno spettacolo stranoinaspettatosi presenta agli sguardidel gentiluomo francese.

Quattro o cinque dozzine di personeparte frati e partemonaches'avanzanofra grida e piantiportando delle lunghe scale. Dietro aloro ed ai fianchi marciano un centinaio di filibustieri colle armi in manosagrando e minacciando.

«Cosa vengono a fare qui quei frati e quelle monache?»chiese Grammontstupito.

«È stata un'idea di Morgan» risponde un filibustiere.»

«Morgan!... È sbarcato dalla Folgore

«È giunto or ora.»

«E cosa vuole farne di quei religiosi?»

«Li manda a piantare le scale nei fossati.»

«I frati!...»

«Egli spera che gli spagnuoli sospendano il fuoco. Sonotroppo religiosi per ucciderli().»

«Io credo invece che il governatore di San Giovanni de Luznon li risparmierà e compiango fin d'ora quei disgraziati.

I frati e le monachefra le urla e le minacce deifilibustierimalgrado lo spavento che li invades'avanzano attraverso laspianata portando le scale. Invano chiedono grazia e cercanocon pianti elamentid'impietosire i loro guardiani.

Gli spagnuoli vedendoli avanzarsisospendono per un momentoil fuoco. Essi esitano a sterminare quei miseri.

«Risparmiateci!» gridano le monachealzando le bracciaverso i soldati affollati sulle torri.

«Grazia!... Non fate fuoco!» gridano i frati.

Quel momento d'esitazione dura poco.

Il governatore del castello ha compreso il progetto infernaledei filibustieri. Deciso a difendersi ed a risparmiare la sua guarnigionefagiuocare le sue artiglierie contro i religiosi ed i loro guardianifacendostrage degli uni e degli altri.

Le banderiorganizzate da Grammont e da Laurentprotette daquella schierasono però giunte nuovamente sull'ultima spianata.

Una rabbia tremenda anima tutti. Senza badare al fuoco sempretremendo degli spagnuolisi rovesciano nei fossatiissano le scale e montanoall'assalto con slancio meraviglioso.

Gli spagnuoli rovesciano su di loro massipalle di ferro efanno fuoco coi moschettinon potendo più far uso delle artiglierie e liaccolgono a colpi d'alabarda e di spada.

Più nulla trattiene i filibustieriormai giunti sui primibastioni.

Con granate cacciano gli spagnuoli dai merli e dallepiattaforme e irrompono furiosamente nel forte. L'ostinata resistenza delpresidio e le gravissime perdite subite li avevano resi feroci. Quanti nemicicadono in mano vengono spietatamente trucidati. Gli spagnuolirespintifuggonoverso le ultime torricercando di opporre una disperata resistenza e diarrestare lo slancio dei filibustieri colle colubrine piazzate sulle terrazze.Le artiglierie della Folgore li obbligano a sgombrare ed a rifugiarsi neicortili interni.

Grammont e Laurent fanno puntare su quei disgraziati tutte leartiglierie della fortezzaintimando la resa. Di cinquecento non erano ridottiche a duecento e per la maggior parte feriti. Il governatore ed i principaliufficiali si erano fatti bravamente uccidere sulle terrazze delle torri.

Ritentare la lotta sarebbe stata una follia inutile es'arreseroammainandocolla morte nel cuoreil grande stendardo di Spagna cheavevano così valorosamente difeso.

Wan Stillerche aveva sempre combattuto a fianco diGrammontsi era volto verso il gentiluomodicendogli:

«Andiamo a trovare il Corsaro Nerooramio signore. Quinon vi è più nulla da fare.»

«Credi che sia ancora vivo?»

«Non soloma io sono convinto che si trovi ancora barricatonel torrione di levante.»

«Ti seguomio bravo amburghese» disse Grammont.

Mentre i filibustieri disarmavano i prigionieril'amburgheseed il gentiluomo si diressero verso il torrionele cui merlature erano statesmantellate dalle artiglierie della Folgore.

Alla base della scala che conduceva sulla piattaformainciamparono in un cadavere.

«Io conosco quest'uomo» disse l'amburghesecurvandosi.

«Forse il soldato che vi ha condotti qui?» chiese Grammont.

«Nosignoreè Diego Sandorf.»

«Il fiammingo che doveva fare delle preziose rivelazioni alCorsaro?

«Sìsignor di Grammont. Aveva ricevuto una stoccata dalcapitano.

Salirono sulla piattaforma e scesero la stretta gradinata chemetteva nell'interno della torre.

A mezza discesa trovarono un altro cadavere. Era quello d'unsergente spagnuolo.

«Ecco qui un altro che ha ricevuto una stoccata in pienopetto» disse Wan Stiller. «Il capitano non ha risparmiato nemmeno questopovero diavolo.»

Giunti in fondo alla scala si trovarono dinanzi alla portaferrata.

«Che siano chiusi qui dentro?» si chiese Wan Stiller.

Alzò il fucile che teneva in mano e percosse furiosamente laporta. Questa subito cedettenon essendo stata chiusa internamente.

«Tuoni d'Amburgo!» esclamò Wan Stillertergendosi collasinistra alcune gocce di sudore. «Non vi è nessuno qui!...

«L'avete trovato?» chiese in quel momento una voce.

Il signor di Grammont e l'amburghese si volsero e videroMorgan il quale scendeva precipitosamente la scalaseguito da alcuni marinaidella Folgore.

«Pare che qui non vi sia più il Corsaro» risposel'amburghesecon voce strozzata. Armò il fucile e si slanciò risolutamentenella vasta cameraseguìto dal signor di Grammont e da Morgan.

«Tuoni e uragani!» esclamò. «Il Corsaro è scomparso!»

 

 

Capitolo XXIV

 

La caccia all'Alambra

 

In quell'ampio stanzone doveva essere avvenuta una lottatremendadisperata. Il pavimento e perfino le pareti erano chiazzate di sanguee qua e là si vedevano spade e alabarde spezzateelmetti fracassatiscurischeggiatesbarre di ferro contorte e brandelli di stoffa e piume sbrindellate.In un angolo giacevano due cadavericol cranio sfondatoin un altro v'era unsergente spagnuolo col petto squarciato o da un formidabile colpo di sciabola oda un colpo di scure e presso la feritoia che guardava verso il mare ve n'eranoaltri due.

L'amburghese ed i suoi compagnicon un solo sguardo si eranoaccertati che fra quei cadaveri non vi era alcuno degli uomini che cercavano.

«Che siano stati presi vivi?» si chiese Wan Stiller. «Cosane ditesignor Morgan?»

«Io dico chese sono stati fatti prigionieriliritroveremo in qualche torre del castello.»

In quel momento udirono una voce fioca a mormorare:

«Da bere!...»

Quella voce era partita dall'angolo più oscuro della stanza.Morgan con due salti si era slanciato verso quel luogo.

Un altro soldato giaceva dietro ad alcuni barili e ad unvecchio affusto di colubrina. Era un giovane ancora imberbedai lineamentidelicatiquasi un ragazzo. Aveva ricevuto un colpo di spada nel fianco destroed aveva le vesti macchiate di sangueil quale doveva essergli uscito in grancopia dalla ferita. Vedendo Morganaveva subito allungata la destra perimpugnare una spada che si trovava a portata della mano.

«Lascia stare quell'armagiovanotto» gli disse Morgan.«Noi non vogliamo farti alcun male.»

«Non siete voi dei filibustieri?» chiese il giovane soldatocon voce fioca.

«È veroperò non siamo qui venuti per ucciderti.»

«Credevo che voi voleste vendicare il Corsaro Nero.»

«Siamo venuti a cercarlo.»

«È ormai lontano» mormorò lo spagnuolo.

«Cosa vuoi dire?» chiese il signor di Grammont che avevaraggiunto Morgan.

«Che è stato condotto lontano.»

«Dove?»

Il soldato colla destra indicò la feritoia che guardavaverso il mare.

«Vuoi dire che è stato imbarcato?» chiese Morganimpallidendo.

Lo spagnuolo fece col capo un cenno affermativo.

«Tuoni d'Amburgo!» esclamò Wan Stiller.

«Spiegati» disse il signor di Grammontcon voceminacciosa.

Il soldato cercò di sollevarsimormorando:

«Da bere... da bere... prima...»

Wan Stiller si levò dalla cintura una fiaschetta quasi pienad'acqua mescolata abbondantemente a rhum di Giamaica e la porse al feritoil quale la vuotò avidamenteintanto che Morgan colla sua fascia di seta gliarrestava il sangue che usciva ancora lentamente dalla ferita.

«Grazie» mormorò lo spagnuolo.

«Potrai ora parlare?» gli chiese Grammont.

«Ora mi sento meglio.»

«Spicciatiadunque; io ardo d'impazienza.»

«Come vi ho dettoil Corsaro Nero non si trova più a SanGiovanni de Luz- disse il ferito. - Egli si trova già in marea bordo d'unvascello spagnuoloin rotta per Cardenas di Cubaonde consegnarlo al ducafiammingo.»

«A Wan Guld!» esclamarono i tre filibustieri.

«Sìa Wan Guld.»

«Per Plutone e Vulcano!» gridò Morgan.

«Tu menti» disse Grammont. «Quando io assalivo il forteil Corsaro doveva trovarsi ancora qui.»

«Nosignore» rispose lo spagnuolo. «E poi a quale scopomentire? Non sono io in vostra mano? Ingannandovi non salverei certamente la miavita.»

«Eppure qualche ora prima che giungesse la Folgore eche aprisse il fuoco contro il castelloil Corsaro Nero si trovava in questatorre» disse Wan Stiller.

«Questo è vero» rispose lo spagnuolo. «Si era rinchiusoin questo stanzone assieme ad un marinaio che chiamavasi Carmaux e ad un negrodi statura gigantesca.

Il nostro primo assalto per impadronirci di loro era andato avuoto; quando però udimmo le cannonate della Folgorerinnovammo iltentativorisoluti ad averli nelle nostre mani. Approfittando d'un passaggioche i filibustieri ignoravanopiombammo alle loro spalleimpegnando uncombattimento disperato.

Il Corsaro Nero ed i suoi due compagni si difeseroterribilmenteuccidendo parecchi dei nostri; ma finalmente furono oppressi dalnumerodisarmati e legati.

La Folgore bombardava allora il torrione ed i vostriuomini assalivano i bastioni di ponente; ci restava però libera la via delsettentrione. Il governatoreindovinando lo scopo dell'attaccofece imbarcarei prigionieri su di una scialuppa che si trovava nascosta fra le scogliereesotto buona scorta li fece condurreinosservatinelle lagunedinanzi allequali incrociava un vascello spagnuolo in attesa di nostri ordini.»

«Come sai tu questo?» chiese Morgan.

«Tutti conoscevano questo progetto del governatoreondesottrarvi il Corsaro Nero.»

«Il nome di quella nave?» chiese Morgan.

«L'Alambra.»

«La conosci tu?»

«Sono venuto nel Messico a bordo di essa.»

«È una nave da guerra?»

«E buona veliera anche.»

«Quanti cannoni?»

«Una decina.»

«La raggiungerò» disse Morganvolgendosi verso il signordi Grammont.

Chiamò alcuni filibustieri affidando il ferito alle lorocurepoi uscì seguito da Morgan e da Wan Stiller. La notizia che il CorsaroNero non era stato trovato nel castello si era ormai propagata fra ifilibustierirendendoli così furiosi da temere che trucidassero tutti iprigionieri spagnuoli. Ci volle tutta l'autorità di Grammont e di Laurent perfrenare la loro collera e impedire un massacro. Le informazioni date dal giovanespagnuolo riuscirono esattissime. Interrogati separatamente numerosi ufficialitutti furono concordi nell'affermare che il Corsaro Nerodopo una lottatremendaera stato fatto prigioniero assieme ai due compagni ed imbarcato su diuna scialuppa per tradurlo a bordo dell'Alambra.

«Non vi rimane che una cosa sola da faremio caroMorgan» disse il signor di Grammontvolgendosi al luogotenente della Folgore.«Prendere il largo senza perdere tempo e dare la caccia al vascellospagnuolo.»

«È quello che faròsignore» rispose l'inglese.«Dovessi combattere contro l'intera squadra del Messicoio salverò ilcavaliere di Ventimiglia.»

«Metto a vostra disposizione uomini e cannoni.»

«Non ne ho bisognosignor di Grammont. La Folgore èarmata formidabilmente e montata da centoventi uomini che non temono la morte.»

«Quando prendete il largo?»

«Subitosignore. Non voglio che quella nave guadagni troppavia. Se giungesse a Cardenas prima di mepel Corsaro Nero la sarebbe finitapoichè il duca non lo risparmierebbe.»

«Non mi consolerei giammai che quel valoroso dovesseterminare la sua gloriosa carriera su una forca infamecome i suoi disgraziatifratelli.»

«La Folgore è buona velierasignor di Grammont egiungerà prima a Cardenas.»

«Guardatevi dai cattivi incontri.»

«Non temo nessuno. Quando partirete voisignore?»

«Non più tardi di domani c'imbarcheremo tutti per laTortue. Abbiamo saputo che un grosso corpo spagnuolo s'avanza a marce forzateper sorprenderci in Vera-Cruz e noi non saremo così sciocchi d'aspettarlo.»

«Direte al Corsaro Nero che il sacco della città hafruttato sei milioni di piastre e che altri due ne ricaveremo dal riscatto deiprigionieri. Io serberò la parte che gli aspetta.»

«Voi sapete che il signor di Ventimiglia non ci tiene aldenaro e che la sua parte l'abbandona al suo equipaggio.»

« AddioMorganspero di venirvi incontro più tardi. Cubanon è molto lontana dalla Tortue e dalla punta di Samana.»

Si strinsero la mano; poi l'inglese lasciò il forte che ifilibustieri stavano saccheggiando e fece ritorno in città assieme a WanStiller ed a cinquanta uomini della Folgore.

Quattro imbarcazioni li aspettavano sul molo.

I filibustieri s'imbarcarono eattraversato il portoraggiunsero la Folgore che si era messa in panna all'estremità dellagettatain vicinanza del faro.

Appena giunto a bordoMorgan fece schierare l'equipaggiodicendo:

«Il nostro capitano è in mano degli spagnuoli e naviga aquest'ora nel Golfo del Messico per essere consegnato al suo mortale nemicoilduca fiammingol'assassino del Corsaro Rosso e del Corsaro Verde. Desidero chevoi mi aiutiate nell'impresa difficile che io sto per tentare onde sottrarlo aduna morte certa. Che ognuno faccia il suo dovere d'uomo valoroso.»

Un grido immenso di furore aveva accolto quel tristeannuncio.

«Andiamo a salvarlo!» urlarono tutti.

«È quello che io tenterò» rispose Morgan. «Rompete lefile e mettiamoci in caccia senza perdere tempo!»

Pochi minuti dopo la Folgore si rimetteva alla velasalutata dagli hurrà dei filibustieri affollati sui torrioni e sui bastioni delforte e da alcuni colpi di cannone.

Usciti dal portoMorgan mise la prora direttamente all'estper giungere innanzi a tutto al capo Catoche che separa l'Yucatan dalla puntaestrema di Cuba.

Vi era il pericolo di incontrare in quei paraggi la flottadel Messico o di dare dentro agli incrociatori che vegliavano dinanzi all'Avanama Morgan contava sulla velocità della Folgore per sfuggire l'una e glialtri.

Il vento era favorevole ed il mare quasi tranquilloquindivi era la speranza di raggiungere in brevissimo tempo le coste della grandeisolala così detta Perla delle Antilledi piombare su Cardenas prima chearrivasse l'Alambra e prepararle un agguato dinanzi al porto.

«Giungeremo in tempo» disse Morgan a Wan Stiller che lointerrogava. «La nave spagnuola non deve avere più di ventiquattro ore divantaggio su di noiuna vera miseria per la nostra Folgore.»

«E quel dannato duca?

«Questa volta non ci sfuggirà piùWan Stiller. Dovessimettere a ferro ed a fuoco tutte le coste settentrionali di Cuba.»

«Ha una fortuna strana quell'uomo. È già la terza voltache il capitano lo tiene sotto la punta della sua spada e che gli sfugge. Sidirebbe che è protetto da Belzebù.»

«Anche la fortuna si stancherà di essergli propizia»disse Morgan.

Intanto la Folgoretagliata la grande corrente delGulf Stream che saliva verso il nord costeggiando le spiagge dell'AmericaCentralesi era slanciataleggera come un gabbiano e rapida come una rondinemarinasulle acque del Golfo Campèche.

I marinaiquantunque fossero certi di non scoprire cosìpresto la nave spagnuola che conduceva il loro capitanosi erano messi insentinella sui pennonisulle coffe e sulle crocetteansiosi di segnalarla.Occhi e cannocchiali scrutavano attentamente l'orizzonte cercando un puntobianco o nero che indicasse la presenza dell'Alambra. Vane ricercheperòperchè la notte scese senza che alcun vascello si fosse scoperto inalcuna direzione.

Morganda uomo prudentenon accese i fanali regolamentari.L'equipaggio dell'Alambra avrebbe potuto vederlisospettare la presenzadi qualche nave lanciata sulle loro tracce e cambiare rotta.

L'indomani ancora nulla di nuovo e nemmeno nei giorniseguentinon ostante l'attenta vigilanza dei marinai. Era forse la naveavversaria salita molto al nord per ingannare gli inseguitori od invece erascesa molto al sudtenendosi presso le coste? Comunque fossela Folgore giunseal capo Catoche senza averla veduta.

La traversata dello stretto di Yucatan si compì senzacattivi incontri e venti ore dopospinta da un fresco vento dell'ovestla navecorsara toccava il capo S. Antonio che è il più occidentale dell'isola diCuba.

Proprio da quel momento perciò dovevano cominciare i veripericoli e che si doveva raddoppiare la vigilanza a bordo della Folgore.

Le coste settentrionali dell'isola anche in quell'epoca eranomolto frequentate dalle navi spagnuoleanzi i governatori dell'Avanamantenevano continuamente una flottiglia nei dintorni della capitale perimpedire qualsiasi colpo di mano da parte dei filibustieri.

Quindi Morganstabilì una guardia permanente sulle coffecomposta di alcuni gabbieri muniti di cannocchiali di lunga portatafecespiegare quanta più tela potècompresi i coltellacci e gli scopamarifececaricare le artiglierie e si gettò risolutamente verso il nord-est per passareal largo dei paraggi frequentati dalle navi nemiche.

Fu una corsa splendidameravigliosacondotta con sommaperizia da quell'abile luogotenenteche doveva più tardi acquistarsi una cosìgrande fama e come marinaio e come condottiero. La Folgorecarica divele fino ai contropappafichinon ostante la violenza dei colpi di vento chesono sovente così pericolosi anche per le navi meglio equilibratepassò quasiinosservata dinanzi agli incrociatori che stazionavano a guardia dell'Avanasfuggendo lestamente alla caccia datagli da una nave d'alto bordorimasta benpresto indietro. Due giorni dopo Morgan piegava bruscamente verso il sudmettendosi in panna a meno di tre miglia da Cardenasquasi all'entratadell'ampia baia formata dai capi Hicanos e Cruz del Padre.

La prudenza lo consigliava a non accostarsi troppo allespiaggeonde non farsi sorprendere e bloccare da navi provenienti dal largo.

«Si tratta ora di sapere se l'Alambra è già entratanel porto o se si trova ancora in mare» disse Morgan all'amburghese che lointerrogava.

«Io ho un bel guardaresignor luogotenente» rispose WanStiller«ma non mi riesce di scorgere alcuna nave nella baia.»

«Siamo troppo lontani e la costa è così sinuosa che riescedifficile a poterle scoprire.»

«E come faremo noi a sapere se l'Alambra si trovaqui?»

«Si fa una visita alla cittadella» rispose Morgan con vocetranquilla.

«E gli spagnuoli? Si dice che vi siano anche dei fortini benarmati qui.»

«Si evitano.»

«In qual modo signore?»

«Sono le sette» disse Morganguardando il sole prossimo atramontare dietro il Pan de Matanzasenorme cono roccioso che giganteggiavaisolato verso l'ovest. «Fra un'ora le tenebre piomberanno ed il mare diventeràcolor dell'inchiostro. Chi potrà vedere una scialuppa?»

«Andremo a visitare Cardenas in una barca?»

«Sìtu andrai a terramio bravo amburghese.»

«E cosa dovrò fare?»

«Interrogare qualcuno per sapere se Wan Guld è ancora qui evedere se l'Alambra si trova in porto.»

«Vado a fare i miei preparativisignore.»

«Affrettati: la nave che cerchiamo può giungere qui da unmomento all'altro.»

Mentre l'amburghese sceglieva i suoi uomini che dovevanoaccompagnarlo in quella pericolosa spedizioneil sole scompariva rapidamentedietro al Pan de Matanzas e le tenebre cominciavano a calare.

L'oscurità era appena scesa che già l'amburgheseabbandonava il ponte della naveseguito da otto uominiscelti fra i piùcoraggiosi ed i più abili rematori dell'equipaggio. Una balenierascialupparapidissimastretta di fianchi e molto leggeraera stata già calata in marea tribordo della Folgore.

«Mi raggiungerai al capo Hicanos» disse Morganche siera curvato sul bordo. «Sii prudente e bada di non farti cogliere.»

«Lascerò in pace gli spagnuoli» rispose l'amburghese.

Si sedette a poppaalla barra del timone e fece segno airematori di prendere il largo.

La Folgore intanto si era rimessa al vento e correvagià verso il capo Hicanosessendo da quella parte che doveva giungere l'Alambraammesso che non fosse già entrata in porto.

La baia di Cardenas è una delle più ampie che si trovanonella grande isola di Cuba. Essa è formata da due lunghissime penisole che siestendono per parecchie miglia verso il settentrionecollegandosi quasi a variigruppi d'isolette le qualimolto opportunamentefanno argine all'irrompere deimarosi. Proprio all'estremità meridionale che si trova la cittadella diCardenas. In quei tempi però non aveva l'importanza che ha oggidìnonconsistendo che in un gruppo di abitazioni ed in parecchie raffinerie dizucchero difese da due fortini di legno. Serviva però di stazione alle navicostieretrovandosi a non molta distanza dall'Avana e quasi di fronte allaFloridaallora colonia spagnuola.

La scialuppaprotetta dalle tenebreattraversò velocementela baia in quel momento deserta e andò ad approdare al molosenza che nessunol'avesse scorta. La prima cosa che i filibustieri videro fu una grossa nave atre alberiuna fregata a giudicarla dalla formaancorata di fronte allacittadella. Aveva le vele imbrogliatecome se aspettasse l'alta marea od ilvento favorevole per prendere il largo.

«Tuoni d'Amburgo!» esclamò Wan Stillerscorgendola. «Sela Folgore entrava in portotrovava del pane pei suoi denti. Cosa fa quiquesta nave?»

«Mio caro amburghese» disse un marinaio che gli sedevavicino«mi nasce un sospetto.»

«QualeMartino?»

«Che gli spagnuoli ci aspettino qui!»

«È la presenza di questa nave che te lo fa supporre?»

«SìWan Stiller.»

«Ebbenevuoi che te lo dicaMartino? Io sono del tuoparere.»

«In tal caso qualcuno avrà avvertito il governatoredell'Avana che il Corsaro Nero è stato catturato» disse un altro marinaio.

«Certo» rispose Wan Stiller.

«In quale modo?»

«Non vi può essere che una sola supposizione.»

«Ossia?»

«Che l'Alambra sia appoggiata all'Avana.»

«E che invece di quella nave il governatore abbia mandatoqui questo vascello?»

«Sì» rispose l'amburghese.

«Brutto affare per noi» disse Martino.

«Appureremo però subito se i nostri sospetti sono giusti.Vedo una barca di pescatori che si accosta alla riva.»

«Andremo ad abbordarla?»

«Sì» rispose Wan Stillercon voce decisa. «Badate peròche non vi sfugga nè una parola italiananè francese od inglese. Noi dobbiamofarci credere spagnuoli che vengono dall'Avana o da Matanzas.»

«Acqua in bocca a tutti» disse Martino. «Lasceremoparlare te soloche parli lo spagnuolo come un vero castigliano.»

La barca da pescache doveva essere entrata in porto dopo iltramontonon era lontana più di quattrocento metri e manovrava in modo dapassare fra il vascello e la baleniera.

Era un piccolo veliero ad un solo alberosostenente una granvela latina al pari delle orche della Spagna settentrionale e non doveva esseremontato da più di una mezza dozzina di pescatori.

Wan Stillerche desiderava abbordarlo prima che toccasseterragli tagliò abilmente la viaintimando all'equipaggio di mettersi inpannaossia attraverso il vento. Vedendo che la baleniera era montata da uominiarmatii pescatori non esitarono ad obbedirecredendo probabilmente d'aver dafare con marinai appartenenti alla nave d'alto bordo.

«Cosa desideratesignor comandante?» chiese il timonieredel piccolo velierogettando una fune onde la baleniera potesse ormeggiarsi.

«Venite dal largo?» chiese l'amburghese cercando disopprimere l'accento tedesco.

«Sìcomandante.»

«Avete incontrato nessuna nave?»

«Ci è sembrato d'aver scorto un vascello verso il capoHicanos.»

«Da guerra?»

«Almeno ci parve tale» rispose il pescatore.

«A quanti alberi?»

«A due.»

«Hanno veduto la Folgore» pensòl'amburghesefacendo una smorfia.

Poi aggiunse a voce alta:

«Non deve essere quello che aspettiamo. Conoscete l'Alambra?»

«La corvetta?»

«Sì» disse Wan Stiller.

«È stata qui qualche volta.»

«Non è ancora giunta?»

«Nessuno l'ha veduta.»

«Ed il duca Wan Guld è ancora qui?»

«È sempre a bordo di quella fregatama... non appartenetea quella nave?»

«Noi siamo giunti or ora da Matanzas con ordini di quelgovernatore per S. E. il duca.»

«Lo troverete a bordo.»

«Credevo che quella fregata fosse già partita.»

«Sta completando le sue provviste dovendo recarsi allaFlorida e poi si dice che attenda una nave che è già stata segnalata dalgovernatore dell'Avana.»

«Sarà l'Alambra.»

«Io non ve lo posso assicurare signorema può darsiche sia proprio quella. Si dice che conduca un capo filibustiero molto famoso.»

«Tuoni d'Amburgo!» mormorò Wan Stiller. «Graziebuonanotte. Vado ad abbordare la fregata.»

Lasciò andare la gomena e mentre il piccolo velieroriprendeva la corsadirigendosi verso il molola baleniera virò sul postomettendo la prora in direzione della fregata.

Non era che una semplice mossa eseguita per ingannare ipescatorinon avendo l'amburghese alcuna intenzione di mostrarsi all'equipaggiospagnuolo di quel colosso.

Quando vide che i pescatori si erano ormai ormeggiati almolotornò a virare di bordo e si diresse verso il capo Hicanos dovel'attendeva la Folgore.

«Arrancate a tutta lena- diss'egli ai suoi uomini. -Noi stiamo per giuocare una carta disperata.

La baleniera correva come una focenabalzando agilmentesopra le onde che entravano attraverso gli isolotti sparsi all'imboccatura delporto.

I marinaiconsapevoli del grave pericolo che correva il lorocomandantefacevano sforzi prodigiositendendo i muscoli in modo da far quasiscoppiare la pelle delle loro braccia. I colpi di remo si succedevanoaffrettatiperfettamente regolari peròpoichè se quegli uomini erano i piùfamosi bersaglieri del mondo erano pure abilissimi canottieri.

Non erano ancora trascorsi tre quarti d'orada chel'amburghese aveva interrogati i pescatoriche già la baleniera giungevapresso l'estremità della penisola che forma il capo Hicanos.

La Folgore era làin pannasorvegliando l'entratadel portocolla prora volta a ponentecome se si preparasse a correre incontroal suo signore ad aprirgli la prigione con un tremendo colpo di sperone.

«Oheuna gomena!» gridò l'amburghese.

«Notizie buone?» gridò Morgan che si era curvato sulbordo.

«Preparatevi a partiresignore» rispose l'amburghese.«Stiamo per venire presi fra due fuochi.»

 

 

Capitolo XXV

 

La Folgore fra due fuochi

 

Mentre Morgansenza attendere maggiori schiarimentidavaordine di mettersi immediatamente alla vela e di mettere la prora versoMatanzasl'amburghese ed i suoi uomini salivano rapidamente a bordo. Labaleniera fu subito issata coi paranchi e saldata alle grue di cappone.

«Gravi notizie dunque?» chiese Morgan conducendol'amburghese sul ponte di comando.

«Il duca sa già che il Corsaro è a bordo dell'Alambrasignore»disse Wan Stiller.

«Me l'ero immaginato. E dove si trova quella nave?»

«Ha appoggiato sull'Avananon può quindi tardare agiungere.»

«L'assaliremo subito.»

«Non in queste acquesignore. Il duca è a bordo d'unafregata.»

«Ecco una notizia che mi dà molto fastidio. Due navi ed ilcavaliere da salvare!... Un'impresa difficile.»

«Corriamo verso l'Avanasignore. Prima che la fregata simuova noi avremo già liberato il capitano.»

Morgan imboccò il porta-voce e comandò:

«Accendete i fanali e due gabbieri sulle crocette.»

Quindi scese sul cassero e si mise a fianco del pilota perdirigere personalmente la navesapendo che la costa era sparsa di numeroseisolette e di banchi di sabbia molto pericolosi. Il vento era favorevole tantoper la Folgore quanto per una nave che fosse partita dall'Avanasoffiando dal sud.

Morgansuperata la punta d'Hicanosdiresse la Folgore versoponentein modo però da poter passare dinanzi a Matanzaspotendosi dare ilcaso che l'Alambraper tema di essere seguìta da qualche navefilibustierasi fosse rifugiata in quel porto in attesa dell'alba.

«Speriamo che non vi sia» disse Morgan a Wan Stillerilquale lo aveva raggiunto. - Mi spiacerebbe dare battaglia sotto la costa ed acosì breve distanza dall'Avana e da Cardenas. I colpi di cannone metterebberoin allarme tutte le guarnigioni e potrebbe giungerci addosso una squadra intera.

«Credete che sospettino la nostra presenza in questeacque?»

«Non ancora» rispose Morgan. «Abbiamo fatto un viaggiorapidissimo e senza aver destato sospetti. Io sono convinto che ci credonoancora nel Golfo di Campèche e che...»

La frase gli fu tagliata da una voce che partiva dallacrocetta dell'albero maestro:

«Badate!» aveva gridato il gabbiere di guardia. «Fanalidinanzi a noi!»

«Morte e sangue!» esclamò Morganbalzando verso lamurata. «Sarebbero i fanali dell'Alambra!...»

«E non siamo che a tre miglia da Cardenas!» esclamòl'amburgheseimpallidendo. «Mi pare già di vedere la fregata alle nostrespalle.»

«Scorgi la nave?» gridò Morganimboccando il porta-voce.

«Sìvagamente» rispose il gabbiere.

«Esce da Matanzas?»

«Nomi pare che venga da ponente.»

«E si dirige qui?»

«Punta verso Hicanos.»

«Allora non può essere che l'Alambra» disseMorgancoi denti stretti.

«Non lasciamola entrare in Cardenas o avremo addosso duenavi invece d'una» disse Wan Stiller.

«La costringerò a prendere il largo» disse Morgan convoce risoluta. «La fregata ci sarebbe di troppo in questo momento.»

Imboccò nuovamente il porta-vocegridando:

«Ai pezzi gli artiglieri e gli altri a posto dicombattimento.»

Respinse il pilota ed afferrò la ribolla del timonementregli artiglieri accendevano le miccegli archibugieri si disponevano dietro allemuratesul castello di prora e sulle coffe e gli uomini della manovra ai braccidelle vele e sui pennoni.

I due fanaliavvertiti dal gabbiere dell'albero maestrosicominciavano a discernere anche dal ponte della Folgore: risaltavanonettamente sul fondo tenebroso dell'orizzonteriflettendosi in acqua contremolii vaghi che ora s'allungavano come se dovessero toccare il fondo del maree che ora s'accorciavano.

Dalla loro direzionesi capiva anche a prima vista chequella nave cercava di avvistare il capo Hicanos per entrare poi in Cardenas.

«La vedi?» chiese Morgan a Wan Stiller.

«Sì» rispose l'amburghese.

«Se fossi certo di aver da fare coll'Alambra nonesiterei un momento ad assalirla.»

«E la fregata? Siamo ancora troppo vicini a Cardenassignore.»

«Allora accontentiamoci di darle la caccia. All'alba vedremocosa ci converrà di fare.»

Morgan spingeva la Folgore verso la costastringendoil vento più che potevaonde impedire alla supposta corvetta di virare dibordo e di rifugiarsi nel vicino porto di Matanzas. Gli era necessario che siallontanasse da quelle spiagge per poterla più tardi catturare fuori di portatadalla nave di Wan Guld. Uomo valentissimo in cose di mareMorgan si tenevaquasi certo della riuscita. Lasciò che la Folgore continuasse la suacorsa fino all'altezza di Matanzaspoi virando bruscamente di bordo mossevelocementecon vento in poppaaddosso alla nave segnalataminacciandole ilfianco.

Quella manovramolto sospettadoveva aver allarmato giàgli spagnuoli. Temendo già la comparsa dei filibustieriappena si avvidero chela Folgore mostrava l'intenzione di abbordarlinon esitarono più amettere la prora al nordunica via di scampo che oramai rimanesse loro.

Morgan aveva operato in modo da impedire loro di retrocedereverso Matanzas e di rifugiarsi in Cardenas. Avendo tutto il vento in favorepoteva ormai tagliare la via verso ponente e levante.

La nave spagnuola peròanche fuggendoaveva sparato uncolpo in bianco per intimare alla filibustiera di fermarsi e di farsi conoscere.

«Che nessuno risponda!» comandò Morgan. «Fuori gliscopamari ed i coltellacci e diamole vigorosamente la caccia.»

La spagnuola vedendo che la Folgore non obbedivaall'intimazioneanzi che cercava di stringerla da vicinolanciò in aria duerazzi e poi diede fuoco ai suoi otto pezzi d'artiglieria.

Quella scarica simultanea non poteva avere che uno scoposolotrovandosi la Folgore ancora fuori di portata dai proiettili:avvertire la guarnigione di Cardenas e la fregata del pericolo che correva erevocare aiuto.

Il rimbombo di quegli otto pezzi doveva infatti udirsi nonsolo al di là della punta di Hicanosbensì anche a Matanzas e forse piùlontano ancora.

Morgan aveva mandato un grido di gioia.

«Il Corsaro è a bordo di quella nave!»

«Sì» disse l'amburghese che alla luce dei lampi avevapotuto scorgere sufficientemente la nave. «È la corvetta!»

«Non ci sfugge più.»

«Ma ci ha segnalatisignore. A momenti avremo alle spallela fregata di Wan Guld.»

«Daremo battaglia ad entrambese sarà necessario.»

«Uomini del mare!... Il Corsaro è là... Andiamoall'abbordaggio!»

Un urlo immenso s'alzò a bordo della filibustiera:

«Viva il Corsaro!... Andiamo a salvarlo!»

L'Alambrapoichè non v'era più alcun dubbio che sitrattasse veramente di quella navefuggiva a tutte vele sciolte verso il nordcome se avesse intenzione di cercare un rifugio in mezzo alle innumerevoli isolee isolette che fanno argine alla Florida.

Sapendosi molto meno armata della Folgore e anche menosolidanon aveva osato impegnare la lottadubitando forse del prontointervento della fregata. Era d'altronde una nave dotata di eccellenti qualitànautiche e d'una tale velaturada poter gareggiare colle più rapide navi delgolfo del Messico.

Morgan si era subito accorto che aveva a che fare con unavera nave da corsapoichè la Folgorequantunque avesse spiegate tuttele sue veleperfino i coltellacci e gli scopamarinon era riuscitaalmeno diprimo slancioa guadagnare via sull'avversaria.

«Morte e sangue!» esclamò. «Ecco una nave che ci faràcorrere per bene e che non si lascerà raggiungere così facilmente. Ma bah! lanostra Folgore finirà per prenderla! Lo sparviero avrà ben prestoragione della rondine marina!»

«Abbiamo trovato pane pei nostri dentisignore» disse WanStiller.

La filibustiera seguiva già con poco vantaggio l'Alambrache correva sempre verso il nord.

«Tuoni d'Amburgo!...» esclamò qualche ora dopo WanStiller.

«Dei punti luminosi?»

«Sìsignor Morgan.»

«Dove?»

«In direzione di Cardenas.»

«Fulmini! È la fregata che si prepara a darci la caccia!»

«Udite?»

In lontananza si era udita una cupa detonazione prodotta daqualche grosso pezzo d'artiglieria.

«Bisogna aumentare la corsa o domani noi ci troveremo fradue fuochi» disse Morgan.

«Abbiamo spiegate tutte le velesignore.»

«Fa' spiegare qualche fiocco sul bompresso e qualchestraglio fra il maestro ed il trinchetto. Il posto non mancherà.»

«Proviamoci signore» disse l'amburghese scendendo incoperta.

Mentre i filibustieri tentavano di aggiungere nuove vele allaloro navel'Alambra continuava a fuggire mantenendo vittoriosamente ladistanza. Non aveva che un paio di miglia di vantaggioma tale distanza erasufficiente per mantenersi fuori del fuoco nemiconon avendo le artiglierieusate in quell'epoca l'immensa portata di quelle d'oggi. Il suo comandante nonaveva fatto alcun tentativo per piegare verso le coste di Cuba e cercare unrifugio in qualche porto. Comprendendo che cambiando rotta avrebbe perduto ilvantaggio del ventosia pure per pochi minutiaveva continuata la sua corsaverso il nord. Probabilmente aveva il suo scopo per mantenere quella direzione.Sapendo che il duca aveva divisato di recarsi in quei paraggi per cercare lagiovane fiammingaaveva presa quella direzione colla speranza di venireprestoo tardiraggiunta dalla fregata e di prendere i filibustieri fra due fuochi.Morganfurioso di veder la Folgore tenuta in scacco da quella corvettamentre aveva creduto di poterla subito abbordare e di costringerla a rendere ilCorsarosi sfogava con terribili minacce.

Anche i suoi uomini erano diventati furibondi. Ingiuriavanola spagnuolaprorompevano in minaccespiegavano nuovi velacci che aggiungevanoalle estremità dei pennoni e di quando in quandoimpotenti a frenarsifacevano qualche scarica.

Guai se in quel momento fossero venuti all'abbordaggio!

«Morte e sangue!» esclamò Morganvolgendosi versol'amburghese che non lo lasciava un solo momento. «È incredibile! La nostra Folgorenon riesce a spuntarla!»

«Puresignoremi sembra che qualche cosa abbiamoguadagnato» disse Wan Stiller.

«Gettate il loch gridò Morgan.

Il mastro d'equipaggio aiutato da due marinai gettò a poppala funicellatrattenuta subito da un pezzo di legno quasi triangolare e lalasciò filare contando i nodimentre uno dei suoi aiutanti rovesciava le duefialette di vetro contenenti la finissima sabbial'antico orologioma ridottoa minime proporzioni.

«Stop!» gridò il marinaioquando tutta lasabbia fu passata.

«Quante miglia?» chiese Morgan al mastroche contava inodi della funicella.

«Undicisignore.»

«Una bella velocità in fede mia» disse l'amburghese.«Quella corvetta fila bene.»

«Troppo bene» rispose Morgan. «Ci tiene in iscacco.»

«E la fregata?»

«Vedo ancora i due punti luminosima è ancora benlontana.»

«Ohe! Badate ai banchi!... Due uomini a prora e pronti ascandagliaree quattro gabbieri sulle crocette!»

Le due navi che da sei ore correvano con velocitàstraordinariasi trovavano già nei pericolosi paraggi dello stretto dellaFlorida.

In quell'ampio canalepercorso dalla corrente del GulfStreamsi trovano moltissime isole ed isolette ed anche grandi banchi disabbiai quali rendevano la navigazione difficilissima. Ve ne son disseminatidappertuttoformando come un'immensa barrierala quale descrive un ampiosemicerchio attorno alle coste meridionali della Florida e lascia solamentepochi passaggi.

Già le scogliere di Double Headed e quelle di Elbom eranocomparse ad oriente delle due navimostrando minacciosamente le loro sponderocciosedirupate e difese da file di scoglietticontro i quali si frangevacon molto impetola grande corrente del Golfo.

Morganavendo osservato che l'Alambra aveva cercatodi accostarsi a quegli isolottiper un momento aveva avuto il sospetto chedisperando di sfuggire alla cacciail suo comandante avesse avuto l'intenzionedi fracassare la nave in mezzo a quelle rocce o che vi cercasse qualchepassaggio pericolosoper mandare in secco la Folgore. Lo spagnuoloperòdopo di aver costeggiato per due o tre gomene le isolette di Elbomavevarimessa la prora verso il norddirigendosi verso le isole dei Pini.

Quella manovranon seguita dal furbo filibustiereavevapermesso alla Folgore di guadagnare duecento metri sulla nave avversaria.Non era gran cosapure non era nemmeno una distanza disprezzabilepoichè colvantaggio acquistato durante quelle otto ore di caccia accanitala filibustierasi trovava già a portata di cannone.

«Fra qualche ora le palle dei nostri pezzi da cacciacadranno sulla coperta dell'Alambra» disse Morgana cui nullasfuggiva. «Noi saluteremo l'alba bombardando la spagnuola.»

«Ed io non vedo più i fanali della fregatasignore»disse Wan Stiller.

«Li avrà spenti per ingannarci.»

«Lo credetesignor Morgan?»

«Il duca non ci lascerà; te lo assicuro. Quel volpone sisarà già accorto d'aver da fare con noi e non ci lascerà tranquilli.»

«E glielo daremoè vero signore?

«Ecco che siamo a tiro della spagnuola: artiglieriprontiai vostri pezzi!... La musica comincia!»

«Purchè le nostre palle non uccidano i nostrisignore.»

«Non temereamburghese» disse Morgan. «I nostricannonieri hanno già ricevuto l'ordine di non far fuoco che control'alberatura. Arrestata la naveandremo all'abbordaggio.»

«E tanto più presto l'abborderemo meglio sarà per noi»disse l'amburgheseil quale osservava il cielo con inquietudine.

«Il tempo accenna a cambiaresignoree le burrasche cheimperversano in questi paraggi fanno paura ai più audaci marinai.»

«Me ne sono accorto» rispose Morgan. «Il mare accenna amontare ed il vento tende a girare all'est. Nell'Atlantico deve fare tempesta.»

I due lupi di mare non s'ingannavano. Oltrepassate le isoledi Headedle due navi cominciarono ad incontrare le prime ondate che venivanodall'oceano. Trovando resistenza nella corrente del golfola qualecome sidissesbocca nell'Atlantico seguendo le coste meridionali della Floridaqueimarosi rimbalzavano furiosamenteprovocando controondate pericolose. Anche ilvento cominciò ad aumentaresibilando fra l'attrezzaturae sbatacchiandofortemente le vele. Con un salto improvviso era girato dal sud all'estprendendo le due navi di traverso ed abbattendole sul tribordo in causadell'immensa superficie di tela spiegata. Non vi era un momento da perdere.Morganche non voleva compromettere la sua navefece chiudere i pappafichi e icontropappafichiammainare coltellacci e scopamari e prendere terzaruoli sullevele basse. La corvetta d'altronde aveva eseguita l'identica manovraanzi permaggior precauzione aveva imbrogliate anche le due rande.

«Facciamo attenzione» disse Morgan al pilotache avevaripreso il suo posto alla ribolla del timone. «Qui si sta giuocando non solo lanostra pelle bensì anche la Folgore: Se ci coglie la tempesta in mezzo atutte queste scoglierenon so come potremo cavarcela.»

«Signore» disse Wan Stiller- l'Alambra si gettafra le isole.

«Mille morti!... Dove vuole condurci quella dannata nave?»gridò Morgan.

«E rivedo i fanali della fregatasignore.»

«Ancora!»

In quel momento due lampi balenarono sulla coperta dell'Alambrae si udì in alto il rauco sibilo dei proiettili.

Pochi istanti dopoin lontananzarimbombò cupamente unadetonazione.

«È la fregata che risponde» disse Morgantorcendosirabbiosamente la barba. «Se fra un'ora non abbordiamo l'Alambra per noisarà finita.»

 

 

 

Capitolo XXVI

 

La vendetta di Wan Guld

 

Se la nave spagnuola si trovava a mal partitoessendo ormaisotto il tiro della filibustieranemmeno i corsari si trovavano in un letto dirose. Coll'uragano che s'avanzava rapidamente dall'Atlanticocolle rocceleisolegli isolotti ed i banchi che si succedevano senza interruzione a destraa sinistra e dinanzie con quelle due navi così vicinecorrevano pericolo ditrovarsi da un momento all'altro in condizioni estremamente pericolose. Lacorvetta poteva arrestarsifar fronte al nemico che la inseguiva e tenerfors'anche duro fino all'arrivo della fregatala quale ormai aveva segnalata lasua presenza con quegli spari. Le ondeche ingrossavano a vista d'occhio e chediventavano sempre più impetuose presso le isoledovevano favorirlarendendodifficile l'abbordaggio. Morgan aveva subito compreso il pericolo ed indovinatol'audace disegno del comandante spagnuolo.

Salì sulle griselle dell'albero maestrospingendosi finosulle crocette e guardò attentamente verso il sud. In quella direzione giàlampeggiava ed il tuono rombava cupamentepropagandosi fra le procellose nubi.I fanali della fregata scintillavano sul fosco orizzontema non si potevagiudicare con esattezza a quale distanza si trovava la nave.

«Aspettiamo un lampo» mormorò. «Poi prenderemo unadecisione.»

Attese alcuni minutitenendosi stretto alle funi perresistere alla furia del vento ed alle scosse che subiva l'alberofinchè ungran lampo che divise le nubi come una immensa scimitarrafacendo scintillareil mare fino agli estremi limiti dell'orizzontegli permise di distinguere lafregata.

«È a otto miglia per lo meno» disse. «Prima che sia quiimpiegherà un'orae in sessanta minuti si possono fare molte cose.»

Discese rapidamentesi slanciò sul ponte di comando edimboccato il porta-voce per dominare meglio il fragore delle ondetuonò:

«Fuoco di bordata!... Pronti per l'abbordaggio!»

Un grido di gioia irruppe da tutti i pettia quel comandolungamente atteso. In un baleno tutti i filibustieri presero i loro posti dicombattimentomentre gli artiglieri puntavano i loro pezzi.

La corvetta allora non si trovava che a sei o settecentometri dalla Folgore e stava per virare di bordoonde evitare l'isola delPiccolo Pino che le si mostrava a tribordo.

Subito i due grossi cannoni da caccia della filibustieraavvamparono con un accordo ammirabileprendendo la nave avversaria di traversoe sfondando le murate di babordo e di tribordo.

«Più altonell'alberatura! - gridò Morgan che alla luced'un lampo aveva potuto constatare gli effetti di quella prima scarica.

La corvettasolamente danneggiata nella sua opera mortavirò di bordo quasi sul posto e rispose con una bordata dei suoi quattro pezzidi tribordocolpendo la filibustiera presso la linea di galleggiamento.

«Ah! Si risponde vigorosamente!» esclamò Morgan.

L'uraganoquasi fosse geloso di quel combattimentoentravain lizza a sua volta con grande sfoggio di lampi e di tuoni. Il ventoscatenatosi quasi improvvisamentecominciava a ruggire tremendamentespingendoaddosso alle navi vere trombe d'acqua. Corsari e spagnuoli però pareva che nonsi preoccupassero gran che dell'uragano. Erano intenti a rovinarsi le navi perpoi distruggersi da vicino. In mezzo ai tuoni assordantifra le onde chescuotevano sempre più impetuosamente le naviin mezzo all'acqua che cadeva atorrenti sulle toldecombattevano con rabbia estremacannoneggiandosifuriosamente.

La corvettainferiore per artiglieriesi difendevadisperatamentema aveva la peggio. I pezzi da caccia della filibusteriaabilmente maneggiatila coprivano di ferrosfondandole i madierifracassandole le murate e le imbarcazionicrivellandole il cassero ed ilcastello di prora e recidendole pennonivele e cavi in gran numero.

I filibustieriansiosi di abbordarlanon le lasciavano unmomento di treguaed infuriavano maggiormenterisoluti ad impadronirseneprima che giungesse la fregata del duca fiammingo.

Dieci minuti dopo con una bordata le fracassavano l'alberomaestroarrestandola nel bel mezzo della sua corsa. La caduta di quel colossospaccato quasi alla base da una palla da trentaseispostò bruscamente il suoequilibriofacendola inclinare sul tribordo. Era il momento atteso da Morgan.

«All'abbordaggio!» gridò. «Fuori i para-bordi!»

Mentre i marinai gettavano lungo i fianchi delle enormi palledi canape intrecciato per ammorzare l'urtoMorgan formò la colonna d'assaltocoi fucilieri e con parte degli artigliericoncentrandola sul castello di prorae sul cassero. La corvettanon più guidataandava attraverso alle ondeminacciando di arenarsi sui banchi dell'isola del Piccolo Pino. Il suoequipaggio non aveva però rinunciato alla difesa e continuava a sparare i pezzidella batteria.

«Attenti!» gridò ad un tratto Morganche aveva presa laribolla del timone. «Fermi in gambe!»

La Folgorequantunque fortemente scrollata dalleondes'avvicinava alla povera corvettala quale ormai si trovava impotente asfuggirle. Alle scariche degli spagnuoli rispondevano i due cannoni da cacciadella coperta i quali tiravano a mitragliaspazzando la nave da prora a poppa.

Ad un tratto avvenne un urto spaventevole. La Folgore avevacacciato il suo bompresso fra le sartie di trinchetto della nave nemicapoisospinta dall'ondal'aveva investita con tale violenza da fracassarle parecchimadieri di babordo.

Mentre i gabbieri lanciavano i grappini d'abbordaggio perstringere le due navi ed evitare nuovi urtiMorgan alla testa dei fucilieri siera già slanciato sulla tolda dell'Alambraurlando:

«Arrendetevi!»

Gli spagnuoli irrompevano allora in copertasalendo dallebatterie. All'intimazione del filibustiererispondono con un urlo di guerra:

«Viva la Spagna!...»

«Avanti!» grida Morgan.

I filibustieri accorrono da tutte le parti. Scendono dalcasserosi slanciano dal castello di prorasi calano dai paterazzi e dallesartiepiombano dai pennoni di trinchetto e di maestra. In mezzo alla pioggiache si rovescia sulle due navifra gli urtii cozzi violentii muggitiorrendi delle onde e gli scrosci assordanti delle folgoris'impegna una lottaatroce. L'acqua si mescola al sangue e scorre fra i piedi dei combattentisfuggendo a stento fra i crepacci delle murate.

L'urto dei filibustieri è stato così impetuosodacostringere gli spagnuoliassai inferiori di numeroa ripiegarsi confusamenteverso il castello di prora dove hanno piazzato un cannone.

Mentre i suoi uomini si preparano ad espugnare quel postoMorganseguito dall'amburghese e da alcuni fidisi slancia verso il casserolasciato libero dal nemico.

Con pochi colpi di scure sfonda la porta del quadro e siprecipita giù dalla scalagridando:

«Cavaliere!... Signor di Ventimiglia!...»

Una voce a lui ben nota echeggia dietro la porta d'unacabina.

«Per centomila diavoli! Siete voisignor Morgan?»

«Carmaux!» esclamò l'amburghesescagliandosi contro laporta con tale furia da sfondarla di colpo.

«Adagioamici» grida Carmaux.

«Dov'è il capitano?» chiese Morgan.

«Nella cabina vicina assieme a Moko.»

«Liberi?»

«Legatisignore.»

Mentre alcuni marinai liberavano CarmauxMorgan e gli altrisfondavano la porta della cabina attigua. Il Corsaro e Moko giacevano al suolostrettamente legati ed attaccati ad un grosso anello di ferro. Il signor diVentimiglia aveva mandato un grido:

«I miei uomini!...»

«Prestocavaliere» disse Morgan. «Stiamo per venireassaliti da una fregata!»

«E questa nave?»

«È ormai conquistata.»

«E la mia Folgore?»

«Può ancora sostenere una seconda lotta.»

«Datemi una spada!»

«Eccovi la miasignore» disse Morgan.

«Venite!... Mostreremo agli spagnuoli come sanno combatterei filibustieri!»

Il signor di Ventimiglia si slanciò sulla scala balzando sulcassero.

«A meuomini del mare!» tuonò.

Un urlo uscito da cento petti vi rispose:

«Viva il capitano!»

La battaglia era finita a bordo della corvetta. Glispagnuoliimpotenti a resistere al formidabile assalto dei filibustieris'erano arresi deponendo le armi.

Se la nave era stata conquistatail pericolo non era peròcessato per la Folgore. La fregata del duca s'avanzava minacciosasormontando le onde che l'assalivano da tutte le parti. Quella massa enormecolla sua immensa alberaturafaceva impressione alla livida luce dei lampi.

Il Corsaro Nero non era però uomo da lasciar tempo ai suoiuomini d'impressionarsi.

«Abbandonate la corvetta!» tuonò.

«Ed i prigionieri?» gridarono alcuni marinai.

«Abbandonateli al loro destino: la nave sta per rompersisulle scogliere.»

«In ritirata!» gridò Morgan.

I filibustieri non esitano più. Gettano in mare le armicedute dagli spagnuoliinchiodano i pezzi d'artiglieria onde renderliinservibilispezzano a colpi di scure la ribolla del timone etagliati igrappini d'abbordaggiosi rovesciano a bordo della Folgore.

«Ai bracci delle manovre!» grida il Corsaro. «Pronti avirare!»

La Folgore abbandona la corvetta nel momento in cui lapoppa di questa va a infrangersi contro una scogliera.

«Ai vostri pezzi!» comanda il Corsaro.

La filibustieratornata al ventosi slancia verso la costasettentrionale dell'isola per fuggire nel canale che bagna le coste dellaFloridama il Corsaro s'accorse che ormai era troppo tardi per eseguire quellamanovra.

La fregata aveva già superata la punta del Pino e piombavaaddosso alla povera filibustierafavorita dal vento e anche dalle onde.

«Signore» disse Morganche si teneva presso il Corsaro.«È impossibile prendere il largo.»

«Lo vedo» rispose il signor di Ventimigliacon vocecalma. «Chi comanda quella nave?»

«Il ducasignore.»

«L'assassino dei miei fratelli?...»

«Luicavaliere.»

«Ed io stavo per fuggire mentre quest'uomo viene adassalirmi!... Uomini del mare!... Vendetta pel Corsaro Rosso e pel Verde!...L'uomo che li ha uccisi sta dinanzi a noi!... All'abbordaggio!...All'abbordaggio!...»

«Sìvendetta o la morte!» urlarono i filibustieri.

«E sia» disse Morgan. «Con questi uomini possiamocompiere qualunque miracolo.»

Il Corsaro Nero s'era messo alla ribolla del timone con afianco Wan StillerCarmaux ed il negro.

Fermo incrollabile fra i furiosi rollii della nave che leondediventate spaventevoliscuotevano orribilmentefra i lampii tuoni ed ifischi del ventoil Corsaro guidava impavido la Folgore.

I suoi occhiogni volta che un lampo rompeva l'oscuritàsidilatavano e si fissavano sul cassero della nave nemicacercando avidamente ilsuo mortale nemico. Egli sentiva per istinto che il vecchio fiammingo dovevatrovarsi làal timonea guidare la fregata in mezzo alla tempesta e che anchelui lo cercava.

I filibustieri lo guardavano con un misto d'ammirazione e diterrore superstizioso. Capivano vagamente che qualche cosa di tremendo stava peraccadere fra quei due formidabili avversarii.

Già la Folgore era giunta a cinquecento passi dallafregatasenza che nè da una parte nè dall'altra fosse stata sparata una solacannonataquando fra le due navi si videro due immense ondate luminose.Correvano l'una contro l'altracolle creste scintillanti. Pareva che in mezzo aloro guizzassero getti di piombo fuso o di zolfo liquefatto. Nel vederle ungrido di terrore era echeggiato fra l'equipaggio della filibustiera. AncheMorgan era diventato pallidissimo.

«I due corsari sono rimontati a galla!» esclamò Carmauxfacendosi il segno della croce. «Essi vengono ad assistere alla morte del loroassassino.»

«Ed alla nostra» mormorò Wan Stiller.

Le due ondate si erano incontrate proprio dinanzi alla Folgoreaccavallandosi confusamente col fragore del tuonopoi si erano scioltescorrendo lungo i fianchi della nave come due immensi torrenti di fuoco.

Nel medesimo istante un lampo accecante aveva rottal'oscuritàilluminando la filibustiera e la grossa fregata.

Il Corsaro Nero ed il duca fiammingo si erano veduti.Entrambi guidavano le loro navi; entrambi avevano il medesimo sguardo terribile.Quella livida luce non era durata che tre secondima erano bastati perchè idue formidabili avversarii si guardassero e forse si comprendessero.

Due grida erano subito partite su ambi i vascelli.

«Fuoco!» aveva gridato il Corsaro.

«Fuoco!» aveva urlato il fiammingo.

Le due navi avvamparono simultaneamente. La lotta eracominciata fra quell'orribile rimescolamento d'acqualotta tremendasenzaquartiere. La grossa fregata sembra un vulcano. Le sue batteriepiene dicannonivomitano senza posa torrenti di palle e di granate e scagliano uraganidi mitragliama anche la filibustiera non dorme: ogni volta che l'onda lainalzai suoi cannoni tuonano con fracasso orrendo e le sue palle non vannotutte perdute.

I marosi fanno trabalzare le due navile scuotono comepiumele sollevano o le precipitano negli avvallamenti o balzano a bordospazzando la coperta e minacciando di sfracellare contro le murate gli uominiche sono al servizio dei pezzi di coperta.

L'acqua entra per gli sportelli ed invade le batteriecorrendo fra le gambe degli artiglierima cosa importa? Le due navi nons'arrestanoanzi corrono l'una incontro all'altraimpazienti di distruggersi edi abbandonare i loro rottami alle onde. Il Corsaro Nero ed il vecchio fiammingole guidano e quei due uomini hanno già giurato di mandare tutti a piccopur dimettere fine al loro terribile odio. Le loro vocidel pari possentirisuonanosenza posa fra gli urli della tempesta e lo scrosciare delle artiglierie.

«Fuoco!...»

«Fuoco!...»

Ad ogni lampo che rompe le tenebresi scambiano uno sguardosaturo d'odio. Essi si cercano semprecome se avessero paura di non vedersipiù allo stesso posto. Ma noanche il vecchio fiammingo non desidera piùevitare il suo rivaleanzi anche lui lo cerca. Lo si rivede sempre al timonecoi capelli bianchi sciolti al ventocogli occhi in fiammesaldo come ilCorsarocolle mani raggrinzate attorno al frenello della ribolla.

«Lo vedi?» chiese Carmaux all'amburghesedopo un nuovolampo.

«Sì» rispose Wan Stiller.

«Non abbandoniamo il Corsaro.»

«Noamico Stillerqualunque cosa succedanoi non lolasceremoe se quel sinistro vecchio giunge fino a noi la pagherà cara.Moko!»

«Cosa vuole il compare bianco?» chiese il negro.

«Veglia sul padrone.»

«Non lo abbandonerò nemmeno durante l'abbordaggio.»

«Guardati dal duca.

Intanto le due navi continuavano la loro pazza corsacannoneggiandosi furiosamente. Le palle cadevano fitte dappertuttosfondando lemurate ed i madierispezzando pennonitroncando corde e fulminando artiglieried archibugieri.

La grossa fregatapiù pesante e meno maneggiabilesisbandava spaventosamenteminacciando ad ogni istante di sommergersi; la Folgoreinvece volteggiava sulle creste dei marosi come un immenso uccello marinotuonando sempre con lena crescente. Già due volte aveva scaricati i suoicannoni di babordo spazzando il ponte della fregata e facendo dei grandi vuotifra gli archibugieri radunati in coperta per l'abbordaggio. Le aveva spezzato ilbompressosconquassato il castello di prora e danneggiato gravemente anche ilcasseronon ricevendo in cambio che poche palle. A cento passi però le duenaviinalzate contemporaneamente da un'ondata gigantescasi erano scaricateaddosso due tremende bordate. L'effetto era stato disastroso per entrambe.L'albero di trinchetto della filibustieraspaccato all'altezza della coffaerarovinato in coperta trascinando nella caduta anche l'alberetto di maestra esbandando spaventosamente la nave.

La fregata invece era stata rasata come un pontone.

Urla terribili avevano accolto quelle scariche. Era la fineper entrambe le navi.

«Non ci rimane che morire sul ponte del nemico» avevadetto Carmaux. «Qui finisce il Corsaro Nero.»

Carmaux s'ingannava: non era ancora finita. Il signor diVentimiglia con un colpo di timone aveva rialzata la sua naveed approfittandod'una raffica furiosa l'aveva spinta addosso alla fregata che si trovavanell'impossibilità di governare.

Fra le urla di terrore degli spagnuoli e gli ultimi sparidelle artiglieriela sua voce risuonò potente ancora:

«Uomini del mare!... All'abbordaggio!»

Un'onda solleva la filibustiera e l'avventa contro la navenemica. La proraaffilata come uno sperone ed a prova di scogliopenetra nelfianco sinistro della fregataproducendole uno squarcio immenso e vi rimaneincastrata.

Il Corsaro aveva già abbandonato il timone e si erascagliato verso prora colla spada in pugnourlando:

«A meuomini del mare!»

I filibustieri accorrevano da tutte le partiurlando comedemonii.

Senza pensare che la fregatarotta quasi in due dallosperone della Folgoresta per inabissarsisi rovesciano confusamenteaddosso agli spagnuolitrincerati fra gli alberi ed i pennoni caduti incoperta. Fra le onde che spazzano ormai i pontimuggendo e rompendosi fra gliattrezzi e le gambe dei combattenti e gli scrolli e trabalzi che subiscono ledue navis'impegna una lotta omerica a colpi di spadadi sciaboladi scure edi pistola.

Gli spagnuolisapendosi ormai perdutivogliono venderealmeno cara la vita. Due volte più numerosi dei corsarioppongono una fieraresistenza.

Morgan alla testa di trenta o quaranta uomini prende glispagnuoli di fianco per cercare di giungere sul casserodove spera di trovareil ducama anche da quella parte trova una resistenza così accanita da doverripiegarsi sulla Folgore. Ad un trattoquando la Folgore s'eragià staccata e l'acqua irrompevacol fragore del tuonoattraverso l'immensosquarcio della fregatauna voce tuonante urla:

«Morirete tutti!»

I combattenti s'arrestano un momento. Tutti guardano versopoppa.

Làritto sul casseropresso la ribolla del timonecoicapelli scarmigliatila lunga barba bianca scompigliatascorgono il duca. Inuna mano stringe una pistola e nell'altra una fiaccola accesa che il ventoravviva.

«Morirete tutti!» ripete il vecchio con voce terribile.«La nave salta!»

Il Corsaro aveva fatto atto di scagliarsi innanzi perraggiungere il suo mortale nemico e cacciargli la spada nel cuore. Mokoprontocome un lampol'aveva afferrato fra le robuste bracciasollevandolo come unapiuma.

«A meCarmaux- grida.

Mentre il terrore inchioda i combattenti sulle tavole chestanno per aprirsi sotto la spinta della polverierabalza sopra la murata e siprecipita in mare senza abbandonare il padrone.

Due uomini sono piombati dietro di lui: Carmaux el'amburghese.

Mentre un'ondata enorme li spinge al largorotolandoli frala spumauna luce accecante rompe le tenebreseguìta da un orribile rimbomboche si ripercuote lungamente sul mare.

Quando il Corsaro ed i suoi compagni tornano a gallalafregatasventratasminuzzata dallo scoppio della polverieraera scomparsanegli abissi del canale della Florida.

Ad una grande distanza invecela Folgorecompletamentedisalberata e fiammeggianteandava attraverso le ondetrasportata versol'Atlantico dalla corrente del Gulf Stream.

 

 

 

Capitolo XXVII

 

I naufraghi

 

Passato il primo istante di stupore ediciamolo purediterroreil negro e Carmaux si erano messi in cerca d'un rottame onde non veniretravolti dalle onde che li assalivano da tutte le partiora spingendoli in altoed ora precipitandoli pazzamente nei baratri.

Attorno a loro danzavano disordinatamente tronconi d'alberopennoni a cui erano ancora appese velepezzi di fasciamedi muratedi ponticassebarili e cordami appesi a bancaccea gruea traversea bastingaggi.Non vi era che da scegliere.

Vedendo passare a breve distanza un pezzo di cassero capacedi accogliere non quattro ma anche venti personeil negro e Carmaux loabbordaronoissandovisi sopra. Il Corsaro e Wan Stiller si dibattevano a brevedistanzanuotando faticosamente fra le onde incalzanti.

«Prendete questa fune!» gridò Carmauxgettando loro unpezzo di paterazzo che era ancora attaccato al rottame. «Tenete saldo!»

La cordalanciata destramentecadde fra i due nuotatori.Afferrarla strettamente e raggiungere la zattera fu l'affare di pochi istantipel Corsaro e pel suo compagno.

«Quisignore» disse Carmauxaiutando il cavaliere. «Suquesto rottame noi potremo forse resistere fino al termine dell'uragano.»

Il Corsaroappena in salvoaveva subito guardato versol'est. Pareva tranquilloperò i suoi occhi tradivano una viva ansietà che nonriusciva a nascondere.

«Cercate la Folgoreè vero capitano?» chieseCarmaux che gli si era coricato a fiancotenendosi stretto al paterazzo.

«Sì» rispose il signor di Ventimigliacon un sospiro.«Cosa sarà accaduto della mia nave?»

«L'ho veduta sparire in direzione dell'Atlantico.»

«Era senz'alberiè vero?»

«Sìcapitano. L'esplosione deve aver sradicato anchel'albero maestro.»

«Allora è perduta» disse il signor di Ventimigliaconvoce sorda.

«Il fuoco era anche scoppiato a bordo.»

«Allora la si dovrebbe vedere.»

«Io credosignoreche qualche isola o qualche scogliera cela nasconda.»

«Non so cosa darei perchè si salvasse. Avete veduto Morgannel momento in cui la fregata stava per saltare?»

«Era stato respinto a bordo della Folgore» disseWan Stiller.

«Sei certo di ciò?»

«Sìcapitano. L'ho veduto io sul castello di proramentrerincuorava i suoi uomini a ritentare l'assalto.»

«Se egli è sfuggito allo scoppioforse la Folgore potràancora salvarsi» disse il Corsaro.

«Se potesse almeno tornare qui e raccoglierci!» disseCarmaux. «Egli deve averci veduti saltare in mare.»

«Non contiamo su di lui in questo momento» rispose ilsignor di Ventimiglia.

Appoggiato a Mokos'era rizzato sulle ginocchia e scrutavaattentamente l'orizzontespingendo gli sguardi sul tenebroso Atlantico.

Cercava fra quelle onde il corpo del duca o tentava discoprire la sua Folgore? Probabilmente l'uno e l'altra.

Anche Carmaux e Wan Stillerche si tenevano disperatamenteaggrappati alla gomena legata fra le due estremità del rottameinterrogavanoansiosamente l'orizzonte. Alla vivida luce dei lampi essi vedevano le isole e lescoglierema la Folgore pareva che fosse scomparsa fra quelle ondemostruose che avevano già inghiottita la gigantesca nave spagnuola e tuttiquelli che la montavano.

«Non si scorge nulla» disse ad un tratto Carmauxcon unsospiro. «Devono essere morti tutti.»

«Il duca ha venduta cara la sua vita» disse l'amburghese.«Quell'uomo doveva essere fatale ai filibustieri.»

«Ma egli dorme finalmente in queste acquedove pure sitrovano le sue vittime e ti dico io che non tornerà più a galla. I fratellidel capitano hanno avuto la loro vendetta.»

«Che uomo terribile peròCarmaux! Mi pare di vederloancoraritto sull'alto casserocogli occhi sfolgoranti d'odioi suoi lunghicapelli bianchi sciolti al ventocolla fiaccola in mano!»

«Un momento che non scorderò mai in tutta la mia vitaamburghese.»

«E quell'orribile rimbombo!... L'ho ancora nel cervello!»

In quel momento si udì il Corsaro a gridare:

«Là!... Là!... Guardate!... La Folgore

Carmaux e Wan Stiller erano balzati in piedi come spinti dauna molla.

Sul tenebroso orizzontema ad una grande distanzasiscorgeva distintamente una fiamma gigantesca che ardeva al di sopra d'una nave.Ora pareva che toccasse le tempestose nubi ed ora che scendesse in fondo agliabissi del mare. Apparivascomparivapoi tornava a mostrarsi più vivapiùscintillante di prima lanciando in aria nembi di scintille e nuvoloni di fumo ariflessi sanguigni.

Il Corsaro la seguiva attentamente cogli sguardicoilineamenti alterati da una emozione profondatendendo le braccia verso di essacome se avesse voluto afferrarla.

«La mia nave!... La mia Folgore!» mormoravacon voce rotta da un singhiozzo. «Essa si perde... Morgansalvala!»

La filibustiera s'allontanava sempre con vertiginosarapidità lasciandosi indietro una lunga colonna di scintille. Il vento e leonde la trascinavano nell'Atlantico per inghiottirla forse più tardi.

Per alcuni minuti ancora i filibustieri poterono scorgerlapoi nave e fiamme scomparvero bruscamente dietro le isole che si estendevano inquella direzione.

«Tuoni d'Amburgo!» esclamò Wan Stillerasciugandosialcune gocce di freddo sudore che gl'imperlavano la fronte. «È finita!...»

«Chi sa che non riesca ancora a salvarsi» disse Carmaux.

«Andrà a rompersi fra le isole o verrà inghiottitadall'Atlantico.»

«Non disperiamo ancoraamburghese. I nostri uomini non sonodi quelli che si perdono d'animo e non si lasceranno assorbire dalle onde senzalotta.»

«Taci!...»

«Cosa odi?»

In lontananza eransi udite alcune detonazioni. Era la Folgoreche chiamava soccorso od erano scoppiati dei barili di polvere?

«Signore» disse Carmaux. «Cosa succede a bordo dellanostra nave?»

Il Corsaro non rispose. Erasi coricato sul rottamecollatesta stretta fra le manicome se avesse voluto nascondere l'emozione che glialterava il viso.

«Egli piange la sua nave» disse Carmaux a Wan Stiller.

«Sì» rispose l'amburghese.

«Quale disastro!... Non poteva esser più completo!...»

«Lasciamo i morti e pensiamo a noiCarmaux. Corriamo ungrave pericolo.»

«Lo soamburghese.»

«Se non usciamo da queste scoglierele onde sfracellerannoil rottame e noi insieme.»

«Non possiamo tentare nulla?»

«Hai veduta la costa?»

«Sìpoco faalla luce d'un lampo.»

«Non deve essere molto lontanaè vero Carmaux?»

«Cinque o sei miglia.»

«Riusciremo ad approdare?»

«Vedo che le isole dei Pini sono già scomparse. Ciò vuoldire che le onde ed il vento ci spingono verso terra.»

Il rottame intanto trabalzava disordinatamente fra le ondeche lo assalivano da tutte le parti. S'alzava ora da una parte ed oradall'altraimprimendo ai disgraziati naufraghi delle scosse così bruschedasbatterli l'uno contro l'altro o s'abbassava improvvisamente negli avvallamentidei marosiper poi rimontare e librarsi sulle creste spumeggianti.

Alcuni momenti un'onda si sfasciava sulla coperta col fragoredel tuonosubissando i filibustieri e minacciando di strapparli dalla corda edi sfracellarli.

Fortunatamente erano usciti dal labirinto d'isolesicchènon correvanoalmeno pel momentoil pericolo di venire scagliati controqualche punta rocciosa e uccisi di colpo: però anche in quel vasto canaleformato dalle coste meridionali della Florida e le isole dei Pinida SombreroAlligatore ed altreil mare si manteneva tempestosissimo. Ai primi alboriCarmaux e Wan Stiller avevano già nuovamente veduta quella terra che per lororappresentavaalmeno momentaneamentela salvezza: non era molto lontana edessendo bassapareva non presentare pericolianche investendovi contro.

Il sole cominciava a mostrarsi attraverso gli squarci dellenubi. Di quando in quando qualche raggio guizzava rapidamente fra uno squarciodei vaporiilluminando quelle montagne d'acqua rotolanti sul fondo sabbioso deibanchi.

«Signore» disse ad un tratto Carmauxtrascinandosi versoil Corsaroil quale stava sdraiato a fianco del gigantesco negro. «Siamopresso la costa.»

Il signor di Ventimiglia si era alzatoguardando la costache si delineava a meno di ottocento metrispiegandosi dall'est all'ovest.

«Non vi è nulla da fare» disse. «Lasciamo che le onde cispingano.»

«Sarà tremendo l'urto?»

«La spiaggia è bassaCarmaux. Tenetevi pronti a gettarviin acqua appena il rottame toccherà i banchi.»

«Sarà la terra ferma quella o qualche grande isola?»chiese Wan Stiller.

«È la Florida» rispose il Corsaro. «Le isole le abbiamogià lasciate al sud.»

«Allora avremo da fare coi selvaggi. Mi hanno detto che vene sono molti e ferocissimi su quella terra» disse Carmaux.

«Procureremo di evitarli.»

«Ecco i primi banchi» disse Mokoil quale essendo il piùalto di tuttipoteva vederli meglio degli altri.

«Non abbandonate la gomena se prima non vi do il comando»disse il Corsaro. «Quando toccheremo lasciatevi trasportare dalle onde.»

«Tuoni d'Amburgo!» esclamò Wan Stilleril quale sisentiva accapponare la pelle nel vedere quei marosi rompersi con furore controla spiaggia. «Mi par già di sentirmi fracassare fra le scogliere!»

«Attenti!» gridò il Corsaro. «Tenetevi stretti!»

Un'onda aveva preso il rottame e l'aveva sollevatospingendolo bruscamente innanzi. La zattera s'inclinò spaventosamente finoquasi a rovesciarsiscrollando poderosamente i disgraziati naufraghipoi scesein un avvallamento con rapidità prodigiosarollando e beccheggiandodisperatamente.

Si udì uno schiantopoi avvenne un urto così violento chei quattro filibustieri si sentirono balzare in alto. Un pezzo di rottame si erastaccatoma il restante non si era sfasciato. Anzipreso da una seconda e piùenorme ondatafu slanciato nuovamente innanzi.

«Pronti a lasciar la gomena!» gridò il Corsaro.

«Ci siamo già?» chiese Carmauxche si sentiva affogaredalla spuma.

«Via tutti!»

L'onda che passava li portò viamentre la zattera sisfasciava con fracasso su un bassofondo o su una scogliera che fosse.

I quattro filibustieri furono travolti fra la spumarotolatifra le sabbie del lidopestatisbattutipoi con un'ultima spinta lanciatisulla spiaggia.

«Fuggite!» gridò il Corsarovedendo un'altra onda correreaddosso alla riva.

Carmaux ed i suoi compagniquantunque zoppicandosalironodi corsa il pendìo e andarono a cadere dinanzi ad alcuni alberifuori diportata dai colpi di mare.

«Per centomila vascelli!» esclamò Carmauxcon voce rotta.«Tutto ciò si chiama aver fortuna!... Vedremo in seguito se la buona stellacontinuerà a proteggerci.»

 

 

 

Capitolo XXVIII

 

Le coste della Florida

 

La Floridasulle cui rive i venti e le onde avevano spinto iquattro filibustieriè una grande penisola chestaccandosi dal continentedell'America Settentrionalesi prolunga per trecento e ottanta miglia fra ilmare delle Antille e l'Atlantico.

Anche oggidì è una delle meno note ed una delle menopopolate dell'Unione Americananon avendo ancora raggiunto i centomilaabitanti; a quell'epoca poi era un paese assolutamente selvaggioche inspiravaterrore ai navigantiquantunque gli spagnuoli fossero riusciti a fondare alcunecittà lungo le coste orientali ed occidentali. Al settentrione ed al centro laFlorida è tuttora un'immensa forestainterrotta solamente da piccole catene dimontagne che si prolungano verso il nord-ovest; a mezzodì invece non vi èaltro che una immensa palude bagnata ora dalle acque dell'oceano ed ora dallepiogge invernali che non trovano scolo.

L'aspetto di quelle terre sature d'acquacoperte da forestedi pini e di cipressiè così triste che finora nessun colono ha osatospingersi a mezzodì del lago di Okeechobee. Sono passati circa quattrocentoanni dalla scoperta di quella penisolaeppure quella parte che viene bagnatadal mare e dalla corrente del Gulf Stream è ancora disabitata. Le febbri cheimperano al disotto di quelle tristi e cupe foreste hanno costretto l'europeo el'americano di razza bianca a fuggire verso regioni più salubri e piùsoleggiate.

La scoperta di questa terra la si deve ad una stranaleggenda. Ponce de Leonuno dei più intraprendenti avventurieri spagnuoliaveva udito a raccontare dagli indiani di S. Domingo e di Porto Ricco che in unapenisolasituata a settentrione della Perla delle Antillesi trovava una fontemiracolosa che aveva l'incredibile proprietà... di ringiovanire le persone!

L'avventurierogià molto innanzi negli anni e pieno diacciacchipresta fede alla mirabolante leggenda e decide di andare allascoperta della fonte. Organizza una spedizione enel 1512salpa per quelmisterioso paesedeciso anche a conquistarlo. Le ricchezze favolose scopertenel Messiconel Perù e nella Venezuela non dovevano mancare anche in quellaterra.

Il credulo spagnuolo naviga adunque verso settentrione escopre la regione desiderataalla quale impone il nome di Floridaper labellezza meravigliosa dei fiori che ne coprivano le sponde.

Interroga gli indiani che trova accampati in quelle paludi ericevuta conferma dell'esistenza della miracolosa fontesi slancia audacementenell'internoscoprendo così il continente americanoma non certamente l'acquache doveva ridonargli la perduta gioventù. Dopo Ponce de Leonritornato piùvecchio di prima e completamente sfinito dalle fatichesuccede nel 1515 Vasquesd'Aylienma gl'indianiaccortisi che mirava alla conquista delle loro terregli trucidano parte degli equipaggi e lo costringono ad imbarcarsi più che infretta.

Nel 1517 Naevaeyuno dei conquistatori del Messicoavendoudito parlare delle prodigiose ricchezze della Floridaesistite soltanto nelcervello esaltato di alcuni avventurieriinvade quelle terre alla testa diseicento uomini e cade con tutti i suoivinto dalle frecce e dalle mazze diquegli arditi indiani. Tre soli sfuggono al massacro e riesconodopo una marciadelle più straordinariea giungere nel Messicoattraversando successivamenteil Missisipìla Luigiana ed il Texas.

A questo secondo disastro ne succede un terzo. Gli spagnuolipunto scoraggiatiorganizzano una nuova spedizione che viene affidata aFernando de Sotouno dei più intrepidi compagni di Pizzarroil famosoconquistatore del Perù. Si componeva di dodici navi montate da mille e duecentouominicon duecento cavalliparecchi pezzi d'artiglieria e venti preti chedovevano incaricarsi della civilizzazione degl'indiani.

Quella numerosa truppala più forte che si fosse vedutafino alloraspinta dalla sete dell'oro penetra nell'internopercorrebattagliando incessantemente la Georgiale Carolinel'Alabamail Misuri eritorna nella Florida senza capomorto di febbre nell'Arkansase ridotta asoli duecento uomini morenti di fame!

Non fu che nel 1565 che gli spagnuolisotto la condotta diMendez de Avilail fondatore di S. Agostino - che è anche oggidì una delleprincipali città di quella regione- riuscirono a stabilirsi definitivamentenella Florida previo consenso di quei fieri indianii cui discendenti dovevanopiù tardi dare tanto filo da torcere anche agli Stati Uniti.

 

Il Corsaro ed i suoi compagnisottrattisi all'assalto delleondesi erano lasciati cadere dinanzi ad un gruppo di pini altissimidiaspetto funebreche si torcevanogemendo lugubrementesotto gli ultimi soffidell'uragano.

Erano così sfiniti da quella lunga lottadurata più diquattro oreda non potersi più reggere in piedi. Erano inoltre affamati eassetatiessendo rimasti quasi sempre immersi nell'acqua salata.

«Mille tuoni!» esclamò Carmauxche si tastava i fianchiper accertarsi che le sue costole non avevano ceduto. «Mi sembra ancoraimpossibile di essere vivo. Scampare prima alle cannonatepoi all'esplosionequindi alla tempesta! È troppa fortuna in fede mia.»

«Purchè non siamo al principio delle nostre tribolazioni!»disse Wan Stiller.

«L'importante per ora è di essere giunti qui vivi e senzamembra rottemio caro amburghese.»

«E senz'armiè vero?»

«Io ho il mio coltello ed il capitano non ha perduta la suamisericordia.»

«Anche noi abbiamo i nostri coltelli» dissero l'amburgheseed il negro.

«Allora non abbiamo più da tremare.»

«Vedremo però cosa farai col tuo coltello quandoincontreremo gl'indiani» disse l'amburghese. «Sai che queste tribù hanno unapassione spiccata per le costolette umane?»

«Lo dici per spaventarmi?»

«NoCarmaux. Mi hanno detto che è stato su queste spiaggeche gl'indiani hanno mangiato il capitano Penna Bianca ed il suo equipaggio. Loconoscevi tu?»

«Per bacco! Un valoroso che non aveva paura nemmeno deldiavolo!»

«E che è finito sulla graticola come un rombo o come unabistecca.»

«Allora bisogna cercare di tenerci lontani da quei messeriche non hanno rispetto per le polpe dei bianchi.»

«E neanche di quelle dei negri» disse l'amburgheseridendo.

«Lasciamo in pace gli indiani e andiamo a procurarci lacolazione» aggiunse Carmaux.

«Sotto questi alberi possiamo trovare forse qualche cosa.Compare sacco di carbonevuoi che andiamo a vedere? Wan Stiller rimarràintanto a guardia del capitano.»

«Andiamo» disse il negroarmandosi d'un grosso ramod'albero privo di fronde.

Mentre si preparavano a frugare la foresta che si estendevadinanzi a loroil Corsaro Nero era salito su d'una roccia che si elevava peruna decina di metri e di là scrutava attentamente il marespingendo glisguardi verso l'est. Senza dubbio cercava ancora di scoprire la sua nave chel'uragano aveva spinta nell'Atlantico; vana speranza peròpoichè le onde edil vento dovevano ormai averla trascinata molto lontana e forse di giàfracassata in mezzo alle isole.

«Veglia su di lui» disse Carmaux all'amburghese. «Poverocapitano! Temo che non rivedrà più mai la sua valorosa nave. Vienicomparesacco di carbone. Se troveremo qualche orso lo accopperemo a legnate.

Il filibustiere che non perdeva mai il suo buon umorenemmeno nelle più gravi circostanzesi armò d'un nodoso randello e si cacciòrisolutamente nella foresta seguito dal negro. Quella parte della Florida eracoperta da pini maestosialti quarantacinquanta e talvolta perfino sessantametricon foglie grandissimed'un verde pallidolunghe più di mezzo metro ela corteccia del tronco bigia e lamellata.

Queste pianteche sono innumerevoli nelle parti meridionalidella Floridacrescono per lo più su terreni argillosibianchicompatti edimpenetrabili all'acqua e coperti da strati di frutte già decomposteaccumulatesi da secoli e secoli e sui qualicamminandosi saltella e sirimbalza.

Crescendo questi vegetali ad una certa distanza gli uni daglialtriCarmaux ed il suo compagno non erano costretti a cercarsi i passaggi.Tutt'al più si vedevano costretti a scivolare in mezzo alle radici enormi chespuntavano da ogni partenon trovando posto in quel suolo impenetrabile.

Al di sotto di quei giganti non si vedevano nè cespuglinèaltre piante da fusto. Si estendevano solamente zone di un'erba dura ed amarache le stesse capre rifiutano e che si chiama olgahola e strati di lenziespecie di funghi bellissimilucentia riflessi argentei e madreperlaceimolto pericolosi a mangiarsi. Carmaux ed il suo compagnodopo di essersiinoltrati nella foresta per tre o quattrocento metrisi erano arrestati perascoltare.

Sui più alti rami di quei giganteschi vegetali si vedevanovolteggiare dei volatili e si udivano dei pispigli e dei trillima sottonessun rumore e nessun animale.

«Vedi nullacompare sacco di carbone?» chiese Carmaux alnegro.

«Non vedo che degli scoiattoli volanti» rispose ilgiganteil quale osservava attentamente i tronchi dei pini. «Sono eccellentima troppo difficili a prendersi.»

«Toh!» esclamò Carmaux. «Che in questo paese vi sianodegli uccelli che volano non mi stupiscema degli scoiattoli che hanno le alila mi pare grossa.»

«Tu puoi vederlicompare. Guarda quel pino che si elevasopra tutti gli altri. Non li vedi?»

Carmaux guardò la pianta che il negro gl'indicava e dovetteconvenire che il compare sacco di carbone non aveva inventato assolutamentenulla. Fra i rami del gigantesco vegetale vi erano infatti numerosi scoiattolii quali si divertivano a fare delle vere volate sugli alberi vicini.

Non erano più grossi dei topi comunicolla pellegrigio-argentea sopra e bianca sottocon orecchie piccolissime e nereil musoroseo e la coda bellissima e molto folta. Quegli agili animaletti avevano suifianchi una specie di membrana che si univa ai piedi posteriori e che aprendosipermetteva loro di spiccare dei salti di quaranta o cinquanta passi.

Più che volare però pareva che guizzassero come i pesci.

«Non ho mai veduto nulla di simile» disse Carmauxilquale seguivacon stuporequelle volate incredibili. «Peccato che non abbiamoun fucile.»

«Rinunciamo a quella colazionecompare» disse il negro.«Non è fatta per noi.»

«Troveremo di meglio?»

«Taci!»

«Hai udito qualche orso?»

«Il grido di un'aquila.»

«Non saranno i nostri bastoni che l'accopperannocompare.»

«È il grido di un'aquila pescatricecompare bianco.»

«E che cosa vuoi concludere?»

«Che troveremo nel nido la nostra colazione.»

«Una frittata?»

«E forse dei buoni pesci.»

«E non ci caveranno gli occhi le tue aquile?»

«Si aspetta che vadano a pescare. Vienicompareso dovehanno il nido.»

Il negro che guardava in ariaspiando le cime dei pinisimise a strisciare in mezzo alle radici che serpeggiavano in tutte le direzioni eandò a fermarsi dinanzi ad un'altissima pianta di specie diversache crescevaquasi isolata in mezzo ad una piccola radura.

Era uno dei noci neripiante queste che raggiungono delledimensioni enormimolto ricche di fronde e che producono una specie di mandorladi qualità mediocre. Danno un legno neropregiatissimo per costruzioni ericercato dagli ebanisti.

Su uno dei più grossi rami si vedeva una specie di palco cheaveva una larghezza di sei piedi su una lunghezza di ottoformato con ramiabilmente intrecciati e cogli interstizii chiusi da muschi e da foglie secche.

Alla base dell'albero vi erano molti avanzi di pescicorrottii quali esalavano odori pestilenziali che facevano arricciare il nasoal buon Carmaux.

«È quello il nido delle tue aquile?» chiese questi alnegro.

«Sì» rispose il gigante.

«Non vedo i proprietarii.»

«Ecco il maschio che arriva; ritorna dalla pesca.»

Un volatile di dimensioni straordinarie volteggiava aldisopra dei pinidescrivendo degli ampii giri che a poco a poco siristringevano.

Era un'aquila che misurava almeno tre metri in lunghezza e lecui ali spiegate toccavano insieme i sette e fors'anche gli otto.

Aveva il dorso nero e la testa e la coda bianca e mostravadelle unghie poderose. Fra il becco teneva un grosso pesce ancora vivopoichèlo si vedeva dibattersi e contorcersi disperatamente.

«Che uccellaccio!» esclamò Carmaux.

«E molto pericoloso» aggiunse il negro. «Le aquilepescatrici non hanno paura degli uomini e li assalgono intrepidamente.»

«Non vorrei far conoscenza con quel beccocompare sacco dicarbone.»

«Aspetteremo che il volatile se ne sia andato.»

«Che abbia i piccini nel nido?»

«Sì» rispose il negro. «Non vedi qui questi gusci d'uovocolor del caffè?»

«E d'una bella grossezza anche.»

«Questi gusci indicano che i piccoli sono nati.»

L'aquila dopo d'aver volteggiato qualche po' sopra i pinicome se avesse voluto accertarsi che non vi erano nemici nei dintornieracalata sul nido. Il negroche ascoltava attentamenteudì in alto delle gridaroche indicanti la presenza degli aquilotti. Il maschio aveva abbandonato lorola preda ed i piccoli facevano festa al genitore.

«Preparati a scalare l'albero» disse a Carmaux. «Setardiamo non troveremo più nulla di quel bel pesce.»

L'aquila era tornata ad alzarsi. Girò ancora qualche po'sopra l'alberopoi partì velocemente in direzione del mare.

I due filibustieri con un salto s'aggrapparono ai ramiinferiori della piantapoi aiutandosi l'un l'altroraggiunsero rapidamente ilnido. Quella piattaformacostruita così robustamente da poter reggere anche unuomo senza pericolo che si sfondasseera piena di avanzi di pesci e di penne edera occupata da due aquilotti grossi già quanto due bei capponi. In mezzo aquegli avanzioltre il pesce appena abbandonato dal maschiove n'erano altridue della specie delle palamitepesanti alcuni chilogrammi.

I due piccoli vedendo apparire il negro si erano slanciaticoraggiosamente verso di lui gridando e cercando di colpirlo negli occhimaMoko non si era dato subito gran pensiero di loro. Consegnò a Carmaux i pescidicendogli:

«Scendi subitopossiamo venire sorpresi.»

Stava per accoppare con due pugni gli aquilottiquando videuna grand'ombra proiettarsi sul nidoquindi udì un grido furioso.

Alzò gli occhi e vide piombarsi addosso un'aquila didimensioni maggiori della prima. Era la femminala quale forse vegliava sullacima di qualche pinomentre il maschio erasi recato alla pesca.

«Compare!» gridòestraendo rapidamente il coltello.«Lascia andare i pesci e seguimi.»

Abbandonò il nido e si lasciò scivolare fino allabiforcazione dei ramionde appoggiarsi al tronco e non correre il pericolo divenire gettato giù da qualche colpo d'ala. Carmaux l'aveva prontamente seguitodopo d'aver gettati i pesci a terra.

L'aquila si era scagliata contro l'albero tentando di passarefra i rami e di gettarsi addosso ai due filibustieri. La smisurata lunghezzadelle sue ali non glielo permetteva troppo facilmente. Gridava fortearruffavale penne e batteva vivamente il lungo becco giallastro e uncinato.

Carmaux e Moko vibravano colpi di coltello alla ciecacercando di aprirgli il petto o di troncarle un'ala.

L'uccellacciovisto che non poteva assalirli di frontegirò attorno all'albero e trovato un varco fra i ramivi si cacciò dentroaggrappandosi disperatamente al tronco: con un colpo di becco lacerò la giubbadi Carmaux e con un colpo d'ala per poco non precipitò a terra il negro.

«Addossocompare!» gridò Carmauxil quale si erariparato prontamente dietro un ramo.

Appoggiandosi solidamente al troncoil negro colla sinistraafferrò l'inferocito volatile per un'ala e coll'altra le vibrò una coltellataferendolo in mezzo al petto.

Stava per replicare il colpoquando l'aquila con una scossadisperata si liberò dalla strettainalzandosi fino al nido.

Delle gocce di sangue cadevano attraverso le fessure dellapiattaformascorrendo lungo il tronco dell'albero.

«Fuggiamo!» gridò Moko. «Il maschio sta forse perarrivare.»

«Ed io non ho alcun desiderio d'incontrarlo» disseCarmaux.

Aggrappandosi ai ramiil bianco ed il negro toccarono ilsuolo senza essere stati oltre disturbati dall'aquilala quale gridava a pienagola per attirare l'attenzione del compagno.

Raccolti i pesci se la diedero a gambecacciandosi nellaparte più folta della pineta e nascondendosi in mezzo ad un folto cespuglio.

«Dannati uccellacci!» esclamò Carmauxasciugandosi ilsudore che gli bagnava la fronte. - Non avrei mai creduto che due uomini comenoi dovessero fuggire dinanzi a loro.

«Ora bastatorniamo al campo.»

«Sìma facciamo il giro della spiaggia per provvederci dimolluschi.»

«Andiamo purecompare.»

Erano appena usciti dal cespuglioquando il negro si fermòesclamando allegramente: «Compareavremo anche le frutta!»

«Perdinci!» esclamò Carmaux. «Ma tu hai degli occhid'aquila. Un po' che andiamo innanzi tu sei capace di scoprire anche deibiscotti.»

«Se non dei veri biscotti possiamo trovare qualche cosa cheli surroghi.»

«Dove sono queste tue frutta?»

«Guarda quell'albero.»

Sul margine della pineta sorgeva un gruppo di arbusti cheparevano appartenere alla famiglia delle magnoliei cui rami portavano deglisplendidi fiori purpurei a riflessi nerastrifoggiati a coppamolto grandi enel cui interno si vedevano mazzetti di frutta grosse come cetriuoli.

Erano delle enormi grandiflorepiante che crescono in grannumero nelle terre umide della Florida meridionale e le cui fruttarefrigerantie di gusto discretosono ricercate dagli indiani.

«Sono quelle le frutta che prometti?» chiese Carmaux.

«Sìcompare.»

«Andiamo a farne raccolta.»

Diedero il sacco agli arbusti efatta un'ampia provvista diquei cetriuoliuscirono dalla foresta avanzandosi lungo il lido. Carmauxcheoltre ad essere affamato era anche molto assetatosucchiava avidamente lefruttapure confessando che se erano ricche d'acqua non avevano molto sapore.

Il mare a poco a poco s'era calmato. Solamente di quando inquando una grossa ondata veniva a rompersicon molto fragorecontro laspiaggia spruzzando di spuma perfino gli ultimi alberi della foresta.

In mezzo a quei cavalloni si vedevano apparire e scomparirenumerosi rottamiavanzi della misera fregata fatta scoppiare dal duca. Vi eranopezzi di pennonidi fasciamedi muratedi puntalie di corbetti. Non siscorgevano però nè barili nè casse.

«Tutti rottami inutili» disse Carmauxche si era fermatoad osservarli. «Vi fosse almeno qualche barile di biscotti o di carne salata!»

«Andiamocompare» disse il negro. «Vedo Wan Stiller edil padrone ritti sullo scoglio: aspettano la nostra colazione.»

Si rimisero in cammino seguendo la spiaggia sabbiosacosparsa di alghe strappate dal fondo del mare dalle ondate.

Già non distavano che poche centinaia di passidall'accampamentoquando tutto d'un tratto videro dinanzi a loro la sabbiamuoversipoi gonfiarsiquindi aprirsi lasciando il passo ad un'orribile bestiala quale si avventò contro di loro mandando un muggito spaventevole.

Carmaux era stato rovesciato al suolomentre il negro avevaavuto il tempo di balzare indietrourlando:

«Guardaticompare!... È un diavolo di mare!»

 

 

 

Capitolo XXIX

 

Fra le foreste

 

Quel mostro che si teneva in agguato fra le sabbie e che Mokoaveva asserito essere un diavolo di marenome datogli dagli abitanti dellecoste del Messico e conservato anche oggidì dai coloni della Floridaera ungrosso pesce della specie dei cefalopodidi forme appiattite come quelle dellerazzelargo e lungo quanto la vela d'una navepesante almeno un migliaio dichilogrammi e d'aspetto ributtante. La sua pelle era irta di punte uncinateassai robustela sua testa era armata di un paio di corna simili a quelle deitori e la sua codamolto lunga e che si dice sia velenosaera lunga etagliente come la lama d'una lancia.

Questi mostrifortunatamente rari al giorno d'oggisitengono celati fra le sabbietenendo la boccache è larga quanto quella d'unfornoa fior di terra e sempre apertapronta ad inghiottire tutto ciò cheloro si presenta.

Carmauxquantunque si fosse sentito gelare il sangue aquell'improvvisa apparizionenon aveva perduta la testa. Vedendo a pochi passila bocca del mostrocon un fulmineo volteggio s'era slanciato due metri piùindietrorotolando fra le gambe del negro.

«Fuggiamocompare!» gridò il negro.

In quel momento il Corsaro e l'amburgheseattirati dalleloro gridagiungevano correndo. Il primo aveva impugnata la sua misericordia edil secondo il coltello. Vedendo il mostroil Corsaro si era fermato dicendo:

«Non accostatevi!... È velenoso!

«Mettiamolo almeno in fuga» disse Wan Stillerraccogliendo un macigno che le onde avevano rotolato fino là e scagliandolocontro il mostro.

I quattro filibustieri vedendo altri sassi dispersi per laspiaggiasi misero a raccoglierli e cominciarono a pestare il diavolo di mareil quale impotente a far fronte a tanta tempestacercava di guadagnare l'acqua.Muggiva come un toro in furoreagitava le corna e batteva la coda rovesciandoaddosso ai suoi persecutori ammassi di fango.

Finalmente con un ultimo sforzo potè raggiungere il mare etuffarvisi lasciando alla superficie un cerchio di sangue.

«Va' a trovare tuo compare Belzebù!» gridò Carmauxlanciando un ultimo masso. «Mi ha fatto provare una tale emozioneche per poconon ho perduto l'appetito.»

Tornarono al loro accampamentopresso lo scoglio che avevaservito d'osservatorio al Corsaromettendosi all'ombra di alcuni pini altissimiche crescevano fra splendidi cespi di coreopsidi gialle col discoporporinodi anemoni di varii colori e gruppetti di violette selvatiche.Raccolsero della legna morta ed avendo conservati i loro acciarinicon delmuschio ben secco accesero un bel fuocomettendo ad arrostire i pesci rubatialle aquile pescatrici.

Un quarto d'ora dopo i quattro filibustieri davano l'assaltoall'arrosto non lasciando che le spine.

«Ed oradiscorriamo» disse Carmaux volgendosi verso ilcapitano. «Suppongo che non avremo il desiderio d'immobilizzarci eternamentefra queste sabbiein attesa del passaggio d'una nave.»

«Che rimanendo qui non avremo alcuna probabilità disalvezza» rispose il Corsaro.

«Avete qualche idea?»

«Io so che la baia di Ponce de Leon è qualche voltafrequentata da pescatori cubani che vanno a cacciare i lamantini. Andremo dunquelà ad aspettarli.»

«Dubitocapitanoche prendano a bordo dei loro legni deifilibustieri. Se lo faranno sarà per consegnarci poi alle autorità dell'Avanao di Matanzas.»

«Chi potrà riconoscere in noi dei filibustieri? Noi tuttiparliamo bene lo spagnuolo e possiamo fingerci naufraghi di quella nazione.»

«È verocapitano» disse Carmaux.

«E se invece si costruisse una zattera coi rottami che leonde spingono alla spiaggia e si andasse in cerca della Folgore» chieseWan Stiller. «Può essersi arenata presso le isole dei Pini.»

«Non pensiamo alla mia nave» disse il Corsarocon unsospiro. «L'uragano deve averla spinta nell'Atlantico e le onde forse l'hannoinghiottita. Il mio nemico è mortoma quale perdita per me!... Morgan e tuttii miei marinai valevano bene la vita di quel traditore. Orsùnon parlate maipiù della mia nave e lasciate che la sanguinante ferita si rimargini.»

«È lontana quella baiacapitano?» chiese Carmaux.

«In una dozzina di giorni vi potremo giungere.»

«E gl'indiani?... Non cadremo nelle loro unghie?»

«Forse desidererei incontrarliquantunque si dica che sianoferocissimi» disse il Corsarocon voce cupa.

«Incontrare quei fieri uomini! - esclamò Wan Stillerconispavento. - Guardiamoci da lorocapitano.

«Tu dunque hai dimenticata la notte nella quale io uccisi ilfiammingo Sandorf?» chiese il Corsaro.

«Sì» disse Carmaux. «Il fiammingo aveva detto cheHonorata Wan Guld era naufragata su queste coste. Si direbbe che il destino ciabbia guidati appositamente qui.»

«Noi appureremo se Sandorf ha detto la verità» disse ilCorsaro«nè lasceremo questi paraggi senza aver chiarita la cosa.»

Ciò detto si era alzato di scattocol viso sconvolto da undolore intensoe si era messo a passeggiare agitatamente lungo la spiaggia.Pareva che egli cercasse di soffocare dei singhiozzi che gli facevano nodo allagola.

«Povero capitano» disse Carmauxcon voce commossa. «Eglil'ama ancora.»

«Sì» disse Wan Stiller. «Da quella notte fatale in cuil'ha abbandonata alle onde su quella scialuppanon è stato più lui.»

Il Corsaro era ritornato dicendo con voce breve:

«Partiamo!»

I tre marinai si erano alzatiraccogliendo i loro nodosibastoni e alcune frutta che avevano conservate per levarsi la setenel caso chenon trovassero acqua dolce. Il Corsaro si era levato dalla fascia una bussolettad'oro che portava appesa ad una catenella e aveva consultata la direzione.

«Taglieremo la penisola delle Sabbie» disse.«Risparmieremo un lungo quanto inutile giro.»

L'immensa foresta stava dinnanzi a loroformata da piniimmensi e da frassini. Non volendo subito attraversarla si misero a costeggiarlaper tenersipiù che era possibilein vicinanza del mare. Il lido si prestavaper una marcia rapidaessendo piano e cosparso di fuchi i quali impedivano cheil piede affondasse nelle sabbie. Per di più offriva anche di che cibarsiessendovi numerosi crostacei e sopratutto molte ostriche. Moltissimi uccellimarini volteggiavano sopra le dune gridando a piena golasenza manifestarealcun timore per la presenza dei filibustieri. Si vedevano bande di rincopiquei disgraziati volatili che per la strana disposizione dei loro becchi sonocostretti a volare a fior d'acquaaspettando pazientemente che i pesciolinivadano da loro stessi a gettarsi nella gola sempre aperta; truppe di corvi dimaregrossi come galli e così feroci ed audaci da gettarsi addosso a tutte lebestie ferite che riescono a trovare; poi parecchie coppie di fetontichiamatianche paglie in codaavendo due lunghe piume o calami pendentie di sterneossia rondini di mare.

«Ahi! La cena sarà dura da guadagnare» diceva sospirando.«Con questi bastoni non faremo mai nulla.»

Dopo un'ora di marciai naufraghi giungevano su di unaspiaggia coperta da un fitto strato di fuchi. Vedendo quegli ammassi di algheCarmaux si era fermato pensando al diavolo di mare.

«Che si nascondano qui sotto di quegli orribili mostri?»disse.

«Non sono così comuni come credi» rispose il Corsaro.

I quattro filibustieri si erano inoltrati su quegli ammassidi fuchiquando udirono sotto i loro piedi varie detonazioni.

«Cosa succede?» chiese Carmaux. «Si direbbe che in mezzo aqueste alghe siano nascoste delle castagnole. Tac!... Tif!... Tum!... Che bellamusica.»

«Sono vesciche di mare» disse il Corsaro. «NoninquietartiCarmaux.»

Il capitano non si era ingannato. Quelle vesciche sono deiveri molluschi della specie delle fisalie e dei discolabiappartenentiall'ordine degli acefali ossia dei senza testache la marea spinge ingran numero sulle spiagge assieme alle alghe fluttuanti sulla superficie delmare. Decomponendosisi riempiscono d'aria e sotto la pressione dei piediscoppiano con molto rumore. Se poi si toccano colle manisembrano formati dimaterie ardenti lasciando sulle dita delle bruciature molto dolorose.Attraversato quell'ampio strato di fuchi senza aver incontrato nessun altrodiavolo di marei naufraghi giunsero là dove volavano le sterne. Con grandestupore di Carmauxquei volatili invece di fuggire piombarono addosso ainaufraghi assordandoli con grida acute e volteggiando in tutti i sensisenzadimostrare alcuna paura.

Le sterne sono d'una audacia incredibile e non si possonoscacciare nemmeno a fucilate. Tutt'al più si alzano dopo i primi sparipoitornano a volare attorno ai cacciatori senza dimostrare alcuna paura.

Carmaux si era subito provato ad abbattere quelle che glipassavano vicine a colpi di bastonema per quanto studio vi mettesse percuotevanel vuotopoichè se le sterne sono imprudentihanno anche un volo cosìfulmineo che riesce difficile il colpirle.

«Ti stancheresti inutilmentecompare» disse Mokoilquale rideva a crepapellevedendo il filibustiere roteare il bastone come unindemoniato.

«È vero» disse Carmaux. «Pare impossibileeppure nonriesco a prenderne neppure una.»

«E mi pare che ti deridano» disse Wan Stiller.

«Sìle briccone! Ci vendicheremo sui loro nidi.»

«Guardacomparela spiaggia è seminata di uova.»

Per un tratto immenso si vedevano delle piccole buche informa di coppescavate nella sabbiacontenenti ognuna due o tre uovagiallo-verdastrea puntini bruni e rossi e grosse quasi quanto quelle dellegalline: Ve n'erano tante da fare una frittata per duecento e più persone.

I filibustierimalgrado le proteste assordanti dei volatilisi misero a saccheggiare i nidivuotando rapidamente le uova fresche e gettandoin mare quelle ormai troppo vecchie. Carmaux sopratutto ne fece una talescorpacciatada affermare di poter far a menoper quel giornodella cena. Dauomo prudenteperòsi riempì tutte le tascheinvitando i compagni a farealtrettanto.

«Ci daranno forza» diceva.

Terminata la raccoltail Corsarovedendo che la spiaggiascendeva verso il sudsi volse verso la forestaonde evitare l'immenso girodella penisola delle Sabbie.

«Peccato» disse Carmaux. «Almeno la spiaggia ci davadelle uova.»

«Ma nemmeno un bicchiere d'acqua» disse Wan Stiller.

«Hai ragionecamerata» disse Carmaux. «E aggiungo anziche ne berrei volentieri una sorsata.»

«Nella foresta non mancherà» disse Moko.

Il Corsaroorientatosi colla sua bussolasi cacciò sottogli alberiprocedendo di buon passo.

Quella foresta era di una bellezza meravigliosa. Sottol'ombra dei pini bellissimidisposti quasi simmetricamentecresceva unaseconda foresta formata per lo più da cespi di splendidi rododendri alti quasidieci metricon rami grossi quanto la coscia d'un uomocoperti di fioriporporini e da ammassi di passiflorepiante arrampicantiche crescono in formadi festoni ed i cui fiori purpurei con stami a pistilli bianchi rappresentanotutti gli istrumenti della Passione. Vi si vedono infatti il martelloi chiodiil ferro della lancia e perfino la corona di spine. Il profumo poi che esalanoè soavissimo. In mezzo a quelle piante numerosi uccelli cicalavano: colombidalla testa biancagrossi quanto i nostricolle piume del petto e del collod'uno splendido verde dorato e le gambe rosse ma molto lunghe; tringhespeciedi allodole con gambe pure lunghissimevolatili molto apprezzati per lasquisitezza delle loro carni e pappagalluzzi verdi e gialli molto chiassosi.

«Che siamo condannati a vivere di uova?» chiese a Moko.«La cosa finirà col diventare noiosa. Cosa ne dicicompare sacco dicarbone?»

«Troveremo qualche cosa di più solido» rispose il negro.«Vi sono anche dei grossi animali in questa regione.»

«E quali?»

«Degli orsiper esempio.»

«Bella figura che faremo coi nostri bastoni! Preferisco chestiano lontani per ora.»

«Non mancano i lupi.»

«Preferirei mangiare dei canicompare.»

«Sei difficile da accontentare» disse il negroridendo.«Vi sono però anche molti serpenti a sonagli velenosissimidegli alligatorineridei caimani e degli indiani mangiatori di uomini bianchi.»

Superata la foresta di pinierano entrati in una secondaformata esclusivamente di palme bellissimealte trenta o quaranta piedicoronate da lunghe foglie palmate che ricadevano elegantemente con spate di unsuperbo violetto iridiscentelistate di porpora. Mille profumi inebbrianticircolavano sotto quella forestaesalanti dai fiori azzurri delle pontedeiredalle coreopsidi gialledalle passifore e dalle tigridiele qualispiegavano al sole i loro bellissimi fiori a coppascarlatti e occhiuti come lacoda d'un pavone ed il pelo della tigre americana.

«Splendida!» aveva esclamato quell'incorreggibilechiacchierone di Carmaux. «Non ho mai veduto una foresta così bella!»

«Ma senz'acqua» disse l'amburghese.

«Ne troveremo perfino troppa e fra non molto» disse ilCorsaro. «Tutta la Florida meridionale è una palude. Aspetta che abbiamoattraversata questa zona boscosa e non ti lamenterai più della mancanzad'acqua.»

Come il Corsaro aveva predettotre ore dopo essi giungevanoin mezzo a terreni paludosi interrotti da stagni d'acque nere e putridedove sivedevano dei serpenti alligatorineri come l'ebanoassai grossi e colla testaappiattita.

Degli uccelli acquatici volavano al di sopra degli stagnitantali verdiibis biancheanitre fischiantie sulle rivesemi-nascoste frai cannetisi vedevano anche non poche coppie di quei barocchi uccellacci tutticollo e gambecoi becchi stortichiamati fenicotteri o fiammantiavendo lecandide ali orlate di una splendida tinta rosea. Quegli stagni erano ilprincipio delle immense paludi che occupano almeno la terza parte di quellavasta penisolaspingendosi fino al tetro lago di Okeechobeecupe solitudinipopolate solo da melanconici cipressi e da pinicon acque nere e stagnantisede delle livide febbriofficina della morte.

«Che brutto paese!» esclamò Carmauxil quale si eraarrestato. «Si direbbe che noi stiamo per attraversare un immenso cimitero.»

«Ci accampiamo quipadrone?» chiese Moko «Il sole sta pertramontare e più innanzi vedo una gran palude.»

«Fermiamoci» disse il Corsaro. «Finchè dura un po' diluce andrete in cerca della cena.»

A breve distanza scorreva un rigagnoletto d'acqua limpida. Sidissetaronopoi con dei rami di pino improvvisarono un ricovero onde ripararsidall'umidità della notte che è pericolosissima in quelle regioni.

Mentre Wan Stiller accendeva il fuoco per tener lontani iserpenti che dovevano essere numerosi in quei luoghiCarmaux ed il negro sispinsero verso la gran palude che si scorgeva attraverso i pini. Dopo d'avercosteggiato alcuni stagnigiunsero sulle rive della palude o meglio del lagofermandosi presso ad alcuni coni di fangoalti un piedeallineati in mezzoalle canne.

«Che cosa sono?» chiese Carmaux con stupore. «Dei nidi diuccelli?»

«Non indovinicompare?» chiese Mokoil quale si guardavaintorno con una certa apprensione.

«No davverocompare sacco di carbone.»

«Sono nidi di caimani.»

«Fulmini!...»

«Vieni a vederlifinchè i caimani sono lontani.»

Carmaux ed il negro s'avvicinaronoosservandolicuriosamente. Eranocome si dissedei coni non più alti d'un terzo di metrocomposti di ramicellidi muschi intrecciati e di fango.

Quelle piccole costruzioni sembravano piene di terra benbattutama raschiatalaMoko mise allo scoperto una decina di uovagrossequanto quelle di un'ocaun po' più allungate peròcol guscio bianchissimorugoso e tutto a disegni.

«E da queste uova nascono quei bestioni!» esclamò Carmauxcon stupore. «E quante ve ne sono in questi nidi?»

«Ordinariamente trenta.»

«E non le covano le caimane?»

«S'incarica il calore solare di schiuderle.»

«Buttiamole nella palude.»

«Badacomparesono mangiabili.»

«Puah!...

«Le lascio a tecompare. Io non mangerò mai simili uova.»

«Troveremo forse qualche cosa di meglio. Toh!...»

«Ehi!... Chi suona il tamburo?... Degl'indiani forse?»

Verso la palude si udiva un rullìo molto forte che parevaprovenisse da un vero tamburo. A volte però cessava per cambiarsi in un mugghiorauco simile a quello del toro.

«Che cosa succede?» chiese Carmaux che si guardava intornocon inquietudine.

«Ascolta benecompare» disse il negro con vocetranquilla. «Da dove ti pare che venga questo rullìo?»

«Per la mia morte! Si direbbe che il tamburo si trovi sottole acque di questa palude.»

«Si compareperchè chi suona si trova precisamentesott'acqua.»

«Allora è un pesce...»

«Tamburo» disse Moko. «Vienicompare; noi loprenderemo.»

«Toh!... e questo sibilo!... L'odi?»

«Sìcompare. È un pesce pompiere che si gonfia.»

«Prenderemo anche quello?»

«È velenoso.»

«Alla larga!...»

«Zitto e seguimi.»

Il negro aveva raccolto da terra un lungo ramo di pinoperfettamente diritto e spoglio di ramie all'estremità vi aveva legato il suolungo ed acuminato coltelloformando una specie di lancia che poteva servireanchebene o maleda fiocina.

Si portò in mezzo ai canneti che coprivano le rive dellapalude e si curvò sull'acqua. A pochi passi cresceva una aristolochiapiantaacquatica irta di foglie ovalicon fiori lividi in forma di sifone ed il troncodella grossezza d'una bottesorretta da un gran numero di grosse radici.

Era precisamente presso quella pianta che si udiva a rullareil tamburo.

«Sta nascosto lì sotto» disse il negro a Carmauxche loaveva seguito.

«Speri di prenderlo?»

«Non mi sfuggirà.»

Il negrocon un'agilità e destrezza straordinarie in unuomo così gigantescobalzò sul tronco dell'aristolochia e scrutòattentamente le piante acquatiche.

Pareva che presso le radici succedesse qualche lottasubacquea. Le larghe foglie si torcevanoi rami oscillavano violentemente e deifiotti di spuma salivano dal fondorompendosi alla superficie.

«Che il pesce tamburo sia stato assalito?» mormorò ilnegro. «Prendiamolo prima che qualcuno ce lo mangi.»

Vedendo l'acqua a gonfiarsiimmerse rapidamente la lancia.Una piccola ondata si ruppe fra le radici della aristolochiapoi una specie dicilindro sorse improvvisamentesferzando vivamente l'acqua.

Il negrolesto come un gattoaveva afferrato quel corpostringendolo con ambe le mani.

Si provò a tirarema non ostante la sua forza prodigiosanon ne venne a capoessendo quel cilindro estremamente liscio.

«Aiutami Carmaux!» gridò.

Il filibustiere era già balzato fra le radici della piantatenendo in mano una cordicella.

In un baleno fece un nodo scorsoio e strinse quella specied'anguilla al disopra delle pinne.

«Ohe! Issa!» gridò poi.

I due uomini si misero a tirare con quanta forza avevano. Ilpescenon ostante i suoi contorcimentisalivaperò pareva che fosseestremamente pesante o che rimorchiasse qualche cosa. Era una anguillagrossissimadi venticinque o trenta chilogrammicol dorso bruno ed il ventreargenteocolla mascella inferiore adorna di dieci o dodici barbiglioni che glidavano un aspetto assai strano.

E non era sola. Attaccato fortementetrascinava con sèanche un altro abitante delle acquemolto più grosso e più pesanteformatoda una scatola ossea coperta da una specie di corazza cornea ed irta di spine.

«Cosa abbiamo pescato?» chiese Carmauxafferrando collasinistra il coltello.

«Lascialo andareCarmaux» disse Moko. «È un pescetabacchiera.»

«Che ha abboccato il tamburo?»

«Sìcompare.»

Con un colpo ben aggiustato costrinse quello strano crostaceoa lasciare l'anguilla che era stata già tirata fra le radici.

«Come era brutto!» esclamò Carmaux.

«E non mangiabilecompare» disse il negro. «Quei pescinon hanno che un po' di carne filamentosa ed un fegato enorme ed oleoso.»

«Accontentiamoci del tamburo.»

Stavano per balzare verso la rivaquando un grido di terroresfuggì ad entrambi.

«Mille tuoni!» esclamò Carmauximpallidendo. «Siamofritti!»

 

 

Capitolo XXX

 

Il baribal

 

A quindici passi da lorofermo presso un pino enormestavauno di quegli orsi neri chiamati baribaldi dimensioni enormi.

Era uno dei più bei campioni della speciecol pelame cortoispidolucentissimoche diventava fulvo solamente ai lati del muso.

Era lungo più di due metrialto uno dalla zampa alla spallae grossissimo. Questi orsianche oggidì sono abbastanza numerosi non solonelle foreste della Floridabensì anche in quelle delle regioni piùsettentrionali degli Stati Unitidove fanno dei grandi guastidevastando icampi e decimando anche gli armentiessendo ad un tempo erbivori e carnivori.

Carmaux e Mokoscorgendo quel nemico inaspettatoda cuinulla di buono potevano aspettarsisi erano ritirati frettolosamente sul troncodell'aristolochiaguardandolo con diffidenza.

«Compare!»

«Carmaux!»

«Ecco una sorpresa che non m'aspettavo!»

«E che ci farà sudare freddocompare» disse Moko.

«E non ce ne siamo nemmeno accorti! Se l'avessimo vedutovenire almeno saremmo fuggiti.»

«Per pocoCarmaux. Questi orsi neri corrono velocemente enon si trovano imbarazzati a raggiungere un uomo.»

«Cosa facciamo?»

«Aspettiamocompare.»

«Che l'orso se ne vada?»

«Non trovo altro mezzo migliore.»

L'orso pareva che si divertisse davvero della paura dei duefilibustieri. Piantato sulle sue zampe deretanecome un gatto che aspetta ilmomento opportuno di gettarsi sul sorcioguardava coi suoi occhietti maliziosie mobilissimi i due poveri pescatorisbadigliando in modo da slogarsi lemascelle. Pel momento però non dimostrava intenzioni ostilianzi sembrava chenon avesse alcun desiderio di abbandonare il suo posto per accostare i duefilibustieri.

«Tuoni!» esclamò Carmauxche cominciava a perdere lapazienza. «Mi pare che sia una faccenda molto lunga. Sono molto pericolosiquesti orsi?»

«Hanno delle unghie d'acciaio e posseggono una forzaprodigiosa. Coi nostri coltelli non verremo a capo di nulla.

«Diavolo!» esclamò Carmauxgrattandosi furiosamente latesta. «Il capitano comincerà a inquietarsi della nostra prolungata assenza.Un'idea!»

«Gettala fuori compare» disse il negro.

«Proviamo ad imbarcarci?

«Ad imbarcarci!» esclamò Carmauxguardandolo con stupore.«Hai scoperta qualche scialuppa tu?»

«Nocomparema dico che si potrebbero tagliare le radicidi questa pianta e far servire il tronco da barca.»

«Tu sei un geniocompare sacco di carbone! A me forse nonsarebbe mai venuta una simile idea! Mio caro orsaccio questa volta tigabbiamo!»

«Al lavoro compare.»

«Sono prontoMoko.»

L'aristolochia che serviva loro di rifugiocome si disseaveva il tronco grosso quanto una bottesostenuto da parecchie radici piantatenel fondo della palude e che emergevano da tutte le parti. Bastava reciderle perfar cadere la pianta e servirsene come d'una zatteramolto incomoda è veromasufficiente per sostenere quei due uomini.

Carmaux ed il negro si misero quindi a recidere quelleradicimaneggiando abilmente i coltelli. Ne avevano troncate più di mezzequando videro l'orso abbandonare il suo posto e scendere lentamente verso lariva.

«Ehicompareviene!» esclamò Carmaux.

«L'orso?»

«Pare che sia curioso di sapere cosa facciamo.»

«O che abbia intenzione di assalirci?»

Il baribalvinto forse dalla curiositàs'apriva ilpasso fra i canneti che ingombravano la rivaaccostandosi al luogo occupato daidue filibustieri. Non sembrava però che fosse di cattivo umorepoichè diquando in quando s'arrestava come se fosse indeciso fra l'andare innanzi ed iltornare indietro.

Giunto a quindici o venti passi dalla rivasi alzò sullezampe deretane per meglio vedere a quale genere di lavoro si erano dedicati idue filibustieripoi di certo sodisfatto tornò ad accovacciarsicontinuando asbadigliare.

«Moko» disse Carmauxche riprendeva animo. «Mi nasce undubbio.»

«Qualecompare?»

«Che il nostro orso abbia più paura di noi!»

«Sono pazienti e difficilmente assalgono per primi. Egli sache noi non possiamo rimanere eternamente qui e ci aspetta sulla riva. Non tifidaresono feroci.»

«Lega intanto l'anguilla ad un ramo. Attentocompareiltronco sta per cadere in acqua.»

L'aristolochiapriva ormai di quasi tutte le sue radicisicurvava lentamente sull'acqua. Ad un'ultima scossa del negro cadde del tuttosprofondandosi quasi tuttama poi tornò subito a galla.

Il negro e Carmaux s'erano messi a cavalcioni del troncotenendosi aggrappati ai rami.

Udendo quel tonfo l'orso si era alzatoma invece diprecipitarsi verso la riva era fuggito verso la foresta a tutte gambe.

«Ehicompare» gridò Carmaux. «Te lo dicevo io che il tuoferocissimo orso aveva più paura di noi! È scappato vigliaccamente come se gliavessimo sparato contro una cannonata.»

«Che non sia un'astuzia per aspettarci a terra?»

«Ti dico che il tuo orso è un poltrone e che se lo incontrogli romperò le reni a bastonate» disse Carmaux. «Andiamo a terracompareetorniamo al campo ad arrostire la nostra anguilla.»

Con pochi colpi di piede spinsero il tronco verso la riva esbarcarono. Carmaux raccolse il suo bastonesi gettò in ispalla il pescetamburo e si diresse verso il bosco seguito dal negro. Dobbiamo però confessareche procedeva con molta precauzioneguardandosi intorno con sospetto e chenonostante le sue rodomontateaveva ancora indosso un po' di paura e nessunavoglia di rivedere l'orso. Giunto sul margine della pineta si arrestò perascoltarepoi non udendo alcun rumore si rimise in cammino dicendo:

«Se n'è proprio andato.»

«Non fidiamocicompare. Forse ci spia e si tiene pronto apiombarci addosso» disse Moko.

Stava per cacciarsi sotto gli alberiquando un grido stranolo inchiodò al suolo. In mezzo alle pianteuna voce che pareva quasi umanaaveva gridato ripetutamente:

«Dum-ka-duj!... Dum-ka-duj!...

«Compare!» esclamò. «Gl'indiani!...»

«Dove li vedi?» chiese il negro.

«Non li vedo ma li odo. Ascolta. Dum-ka-duj!...Dum-ka-duj!... Che sia il grido di guerra degli antropofaghi?»

«Sìdel botauro-mokoko» rispose il negroridendo.

«Chi è questo signore?»

«Un magnifico arrosto da preferirsi al pesce tamburo. Vienicomparenoi lo prenderemo.»

«Ma chi?»

«Il botauro-mokoko. Zitto e seguimi.»

Quelle strane grida erano uscite da un cespuglio formato daun gruppo di pontedeire.

Il negro s'arrestò guardando attentamente fra il fogliamepoialzato bruscamente il bastone foggiato a lancialo scagliò abilmentedinanzi a sè.

Il dum-ka-duj cessò improvvisamente.

«Preso?» chiese Carmaux.

«Eccolo!» rispose Moko che si era slanciato in mezzo aicespugli. «È più pesante di quanto credevo.»

Il volatile che aveva così abilmente trafitto colla lanciaera alto più di due piedi. Aveva le penne bruno-nerastre rigateil beccogiallo e acutissimo e gli occhi molto dilatati.

«Bell'uccello!» esclamò Carmaux.

«E sopratutto squisito» disse Moko«quantunque viva dipesci.»

«E un pescatore?»

«Ed anche un gran cacciatorepoichè si pasce anche dipiccoli uccelli che divora interi.»

«Allora...»

«Vuoi dire compare?»

Invece di rispondere Carmaux aveva fatto un salto indietroimpugnando il suo nodoso bastone.

«Cos'hai?» chiese il negro.

«Mi è parso d'aver veduto l'orso.»

«Dove?»

«In mezzo a quei cespugli.»

«Ancora quell'animalaccio!»

«Moko!»

«Compare!»

«Battiamocela.»

«E le legnate che volevi dargli?»

«Sarà per un'altra volta» disse Carmaux.

Raccolsero il botauro-mokoko e se la diedero a gambetrottando come due cavalli spronati a sangue. Dopo un quarto d'oraansanti etrafelatigiungevano all'accampamento.

«Siete inseguiti?» chiese il Corsarobalzando in piedicolla misericordia in pugno.

«Abbiamo veduto un orsocapitano» disse Carmaux.

«Vi segue?»

«Pare che si sia fermato.»

«Allora abbiamo tutto il tempo per cenare» risposetranquillamente il Corsaro.

Vi era già una bella distesa di carboni ardenti. Carmauxtagliò il pesce tamburone infilò un pezzo di tre o quattro chilogrammi inuna bacchetta verde e lo mise sul fuocogirandolo lentamente onde siarrosolasse per bene.

Venti minuti dopo i quattro corsari davano l'assaltoall'arrostolodandone la squisitezza e la delicatezza.

«Giacchè non si vededormiamo» disse il Corsaro. «Chimonta il primo quarto di guardia?»

«Carmaux» disse Moko. «Egli già non ha paura degliorsi.»

«E te lo mostreròcompare sacco di carbone» rispose ilfilibustierepiccato. «Lascia che si mostri e vedrai che cosa sono capace difare.»

«Allora affidiamo a te le nostre costolette» dissel'amburghese. «Buona guardiacamerata.»

Mentre i suoi compagni si cacciavano sotto la capannucciaCarmaux si sedette presso il fuocotenendo a fianco la lancia del negro. Nelbosco e verso la palude si udivano certi rumori che non rassicuravano molto ilbravo filibustierenon pratico di quelle regioni. Di quando in quando ilsilenzio veniva rotto da lontani muggiti che parevano mandati da torima cheinvece erano dovuti ai caimani della palude; poi si udivano sotto i cespuglidelle grida ora acute ed ora rauchepoi più lontano il triste ululato diqualche lupo vagante in cerca di preda. Di quando in quando invece rane eranocchi improvvisavano concerti assordanti che coprivano tutti quei diversirumori.

Carmaux ascoltava attentamente e si guardava intorno. Nontemeva nè i lupi nè i caimanii primi troppo codardi per assalire in piccolonumero l'accampamento ed i secondi troppo lontani: aveva solamente paura di quelmaledetto orso.

«Si direbbe che io ho perduto il mio coraggio» mormorava.«Eppure ho infilzato un bel numero di nemicimeglio armati e forse piùpericolosi di quel bestione.»

Si era alzato per fare il giro della capannucciaquando abreve distanza udì un urlo che gli gelò il sangue nelle vene.

«L'orso!» esclamò. «Che si sia cacciato nel cervellacciol'idea di volermi mangiare? Siamo in quattromio caroe ti faremo ballarerompendoti il groppone a legnate.»

Scivolò sotto la capannuccia e svegliò Moko e Wan Stiller.

«Sucamerati» disse. «L'orso viene.»

«Dov'è?» chiese l'amburgheseraccogliendo un pesanterandello semi-acceso.

«Non deve essere lontano» rispose Carmaux. «Odi?»

Un secondo urlopiù potente del primoruppe il silenziodella notte.

«È l'orsoè vero Moko?» chiese Carmaux.

«Sì» rispose il negro.

«Andiamo a scovarlo» disse Wan Stiller.

«Eccolo!» esclamò Moko.

Un orsoprobabilmente l'istesso che si era mostrato pressola palude e che poi li aveva seguitiera uscito da una macchia di pontedeiree si dirigeva verso l'accampamentodondolando comicamente la massicciatestaccia.

I tre filibustieri si erano riparati dietro al fuococoprendo contemporaneamente la capanna.

«L'ha proprio con noi» disse l'amburghese.

«Svegliamo il capitano» disse Carmaux.

«È inutile» rispose il Corsarocomparendo dietro diloro.

«Lo vedete?» chiese Carmaux.

«Sìe mi pare che sia ben grosso. Potrà offrirci deglieccellenti prosciutti.»

L'orso accortosi che gli avversarii erano nuovamenteaumentati di numerosi era fermato a cento metri dall'accampamentoguardandocon diffidenza il fuoco che ardeva vicino alla capannuccia.

I quattro filibustieri si mantenevano immobilicollasperanza di deciderlo ad avvicinarsi. Tutto d'un tratto però il plantigradofece un brusco voltafaccia e partì al galoppo scomparendo in direzione dellapalude.

«Lo avevo detto io che era un pauroso» disse Carmaux. «Sisarà finalmente persuaso che è meglio se ne stia lontano.»

I suoi compagni stettero qualche po' seduti attorno al fuocopoiconvinti che il bestione avesse definitivamente rinunciato alle sue ideebellicoseripresero l'interrotto sonno.

La notte trascorse senz'altri allarmiquantunque due o trelupi si fossero avvicinati all'accampamento urlando a più riprese lugubremente.All'alba i quattro filibustieri riprendevano la marcia costeggiando la grandepalude la quale si prolungava verso l'ovest.

 

 

 

Capitolo XXXI

 

Gli antropofaghi della Florida

 

Per tre giorni i filibustieri s'avanzarono attraverso aforeste di pini e di cipressicosteggiando vaste paludi dalle acque nere efangosepullulanti di caimani e di serpenti alligatoripoi al quartocompletamente privi di viverinon avendo incontrato alcun animale da uccideresi arrestavano sulle rive di un fiume che serpeggiava in mezzo ad una boscaglia.Da dodici ore non avevano mangiato che poche manate di tupelasspecie diprugnepiuttosto grossedi forma oblungaeccellenti a mangiarsima nonsufficientemente nutritivespecialmente per uomini che marciavano dall'alba altramonto.

«Ci fermeremo qui tutta la giornata» disse il Corsarovedendo che i suoi uomini non potevano più reggersi in piedi. - La baia giànon deve essere molto lontana.

«E noi ci metteremo in caccia» disse Carmauxal negro.«Questo fiume non deve essere sprovvisto di pesci.»

«Non allontanatevi troppo» disse il Corsaroil qualeaiutato dall'amburghesestava costruendo una capannuccia.

«Non batteremo che i dintorni» rispose Carmaux. «Vienicomparee speriamo di ritornare carichi di selvaggina e di pesci.»

Presero i loro randellivi attaccarono i loro pugnali ondeservirsene come lance e si misero a costeggiare il fiume battendo le folte erbeed i cespugli colla speranza di far uscire qualche tartaruga.

La foresta che si estendeva sulle due rive non era formataesclusivamente di pini e di cipressi. Qua e là si vedevano macchie d'alberi dacetriuolispecie di magnolie dal tronco liscio e alte più di trenta metriconfoglie larghissime e una grande quantità di fiori d'una tintabianco-turchiniccia che espandevano un soave profumo di violetta. Vengonochiamati alberi da cetriuoliperchè le frutta ne hanno la forma e anche lagrossezza. Sono però rossi a completa maturazione e vengono adoperati permetterli in infusionerimedio eccellente per combattere le febbriintermittenti.

Si vedevano pure macchie di sassifraghi dal legno neroilfogliame d'un verde appannatodi aspetto tristedi noci nerepiante d'aspettomaestosoaltissimefrondosee di rododendri formanti cespi alti dieci metricon rami grossi quanto la coscia d'un uomo e coperti di fiori porporini e dimagnolie che espandevano profumi così acuti da stordire.

Numerosi uccelli si levavano da tutte le parti all'appariredei due filibustierima fuggivano così rapidamente da rendere vano ognitentativo per abbatterli. Fenicotteritantali verdiibis biancheanitrepalombi dalla testa bianca volteggiavano in mezzo alle piantementre lungo lerive del fiume si vedevano fuggire dei bellissimi galli dal collareuno deivolatili più ricercati per la squisitezza delle sue carni e che si paganocarissimi dai ghiottoni americani e non poche galline sultanecol becco e gliocchi rossila gola ed il petto purpureile ali e la coda turchine e verdi edil groppone bianco.

«Guarda quelle gallinelle» disse il negroindicandoparecchie coppie di uccelli somiglianti alle nostre pernicigrige di piume.«Sono eccellenticompare.»

«E quell'uccellaccio làtutto gambeche ha le pennebruno-rossicce e la testa picchiettata di bianco? Come si chiama?»

«È un curlamchiamato anche becco a lancetta.»

«E perchècompare sacco di carbone?»

«Perchè il suo becco è così duro ed aguzzo da somigliaread una lama d'acciaio. L'uccello se ne serve per tenere testa ai cani e anche aicacciatori.»

«E quell'altro che rade le acque del fiume e che ha le penneverdi dorate sopra e bianche sotto e la coda mezza nera e mezza rossa?»

«È un jacamaruna specie di tordo marinomoltosquisito.»

«E quella bestia làaccovacciata sulla riva del fiume?Cosa credi che sia compare?»

«Un orso lavatore.»

«Tuoni!... Un altro orso!» esclamò Carmauxfacendo unsalto.

«Non pericoloso peròcompare. Guardalo bene.»

Quell'animaleche il negro aveva chiamato un orso lavatorenon era più grosso di un cane barbone. Aveva il muso molto appuntito comequello dei sorcila coda lunga e ricca di peli come quella d'una volpeilpelame grigio-giallognolo a screziature nere.

Questi orsipoichè appartengono alla famiglia deiplantigradiquantunque non rassomiglino nè ai nerinè ai griginè aibrunisi chiamano anche raccoon o procioni e sono affatto inoffensivi.Abitano le foreste ricche d'acqua e sono per lo più notturniperò non è raroincontrarli anche di giorno. La loro unica occupazione è la pesca. Passanodelle lunghe ore sulle rive dei fiumi e degli stagnicercando pescimolluschigamberi e larveche mettono poi da parteavendo l'abitudine di non mangiare ilcibo se prima non lo hanno ben lavato e parecchie volte.

L'animale scoperto da Carmauxstava appunto preparandosi lacolazione.

Aveva ammucchiati parecchi piccoli pescidei ranocchi e deigamberi e colle zampe anteriori li manipolava lavandoli nella corrente.

«E quell'animaletto lo chiami un orso!» esclamò Carmauxscoppiando in una risata.

«Lo ècompare» rispose Moko.

«È mangiabile?»

«I negri hanno una vera passione per la carne di queglianimali.»

«Allora cerchiamo di catturarlo.»

«È quello che volevo proporti.»

Carmaux ed il negro si misero a strisciare in quelladirezionetenendosi sottovento onde l'orso non li fiutasse.

L'animale era però così occupato a lavare i cibida nonaccorgersi del grave pericolo che correva.

Dieci minuti dopo Carmaux ed il compagno giungevano aquindici passinascondendosi dietro un cespo di pontedeire.

«Tiri?» chiese Carmaux.

«E non lo sbaglierò» rispose il negroalzando la lancia.

Già stava per scagliare l'armaquando si udì in aria unleggero sibilo. Una freccia era partita da una macchia di rododendri ed eraandata a colpire il povero orso lavatore alla golaattraversandogliela da partea parte.

Carmaux e Moko erano balzati in piediesclamando:

«Gl'indiani!»

Quasi nell'istesso momento quattro pelli-rossedi staturaaltasemi-nudicolla testa adorna di piume e armati di archi e di mazzepesantissimebalzarono fuori dal cespugliofermandosi dinanzi ai duefilibustieristupiti da quella improvvisa comparsa.

«Carmaux!»

«Moko!»

«Fuggiamo!»

«Gambecompare.»

Stavano per prendere la corsaquando altri cinque indianiarmati come i primicomparvero dietro ai due filibustieritagliando loro laritirata.

«Che gli uomini bianchi si fermino» disse uno di quegliindiani in cattivo spagnuolo.

«Mokosiamo presi» disse Carmauxarrestandosi.

«Prepariamoci a vendere cara la pelle» rispose il negroimpugnando la lancia.

«Ci faremo uccidere inutilmente.»

«Che gli uomini bianchi depongano le armi» disse l'indianoche aveva parlato e che doveva essere il capo del drappelloa giudicarlo dalletre penne d'aquila che portava infisse nella capigliatura. «Se non obbediscononoi li uccideremo.»

Invece di deporre la lanciaMoko con un moto fulmineo sigettò contro il secondo drappello colla speranza di aprirsi il passo e dislanciarsi nella foresta. Gl'indianiche forse si aspettavano quella mossainun baleno strinsero la loro linea e scagliatisi sul fuggiasco lo atterraronostrappandogli la lancia.

Sei o sette mazze si alzarono su di luimentre il capoindiano diceva con voce minacciosa: «Arrenditi o sei morto!»

Ogni resistenza sarebbe stata vanaanzi pericolosapoichègl'indiani parevano disposti ad eseguire la minaccia. Il negro che si preparavaa difendersi disperatamente coi pugnisi lasciò legare senza opporreresistenzaonde non uccidessero anche Carmauxil quale ormai si era arreso.

«Compare» disse questi al negro. «È meglio non farsiammazzare pel momento; la speranza di poter sfuggire a questi birboni non èancora perduta. Fingiamo di rassegnarci a servire loro da cena o da colazione.»

«Ed il capitano?»

«Non facciamo comprendere agl'indiani che abbiamo deicompagni. Il Corsaro e l'amburghese non potrebbero opporre maggior resistenza dinoi.»

Mentre si scambiavano queste parolele pelli-rosseradunatepresso la riva del fiumepareva che tenessero consiglio.

Discutevano animatamentesi curvavano al suolo come seesaminassero le tracce lasciate sul terreno dai due prigionieripoi giravanoattorno ai cespugli ed alle macchiequindi tornavano a radunarsi parlando avoce bassa.

«Moko» disse Carmauxche non li perdeva di vista. «Mipare che sospettino che noi abbiamo dei compagni.»

«È verocompare» rispose il negro.

«Che riescano a sorprendere anche il capitano?»

«Lo temocompare. I nostri compagni sono accampati a brevedistanza da qui e forse hanno acceso il fuoco in attesa della colazione. Il fumoli tradirà.»

«Brutto affare se dovessero venire presi anch'essi» disseCarmaux. «Sarebbe la nostra rovina.»

In quel momento il capo indiano si avvicinò a lorodicendosempre in un pessimo spagnuolo:

«Voi non siete soli.»

«T'ingannicapo» rispose Carmaux. «Noi non abbiamo alcuncompagno.»

«L'uomo bianco cerca di sviare le nostre ricerchema non viriuscirà. Noi abbiamo veduto del fumo alzarsi in mezzo agli alberi.»

«Qualche indiano avrà acceso la legna per cucinarsi lacolazione.»

«Qui non vi è che la nostra tribù» disse il capo. «Quelfuoco è stato acceso dai tuoi compagni.»

«Allora va a cercarli.»

«È quello che faremouomo bianco. Voglio però saperequanti sono.»

«Molti ed hanno delle armi che tuonano e che mandanofuoco.»

«Gli uomini rossi conoscono le armi degli spagnuoli e non letemono- disse il capo con fierezza. - I nostri avi ci hanno insegnato adaffrontarle.»

Fece legare i prigionieri al tronco d'un alberomise aguardia di loro due guerrieri di statura quasi gigantescaarmati dipesantissime mazzepoi si inoltrò sotto gli alberi seguito da tutti gli altriindiani.

«Tuoni d'inferno!» esclamò Carmauxdigrignando i denti.«Anche il capitano è perduto!...»

«Temocompareche non ci rimanga da vivere che poche ore.Gli spagnuolicolle loro crudeltàhanno resi quest'indiani feroci e perciònon ci risparmieranno.»

«La morte non mi fa pauracompare. Vorrei però sapere inquale modo ce la daranno. Si dice che tormentino atrocemente i prigionieri primadi spedirli all'altro mondo.»

«L'ho udito a raccontare anch'io» rispose Moko.

«Proviamo ad interrogare questi due indianise cicomprendono.»

«Ditemiuomini rossicosa vuol farne il capo di noi?»chiese Carmauxvolgendosi verso i due giganti che si erano seduti pressol'albero.

«Vi mangeremo» rispose uno dei due indianicon un sorrisoatroce.

«Canaglie!» gridò Carmauxcon voce spezzata. «Ci voletemangiare!...»

«Tutti i prigionieri si arrostiscono.»

«Compare!» esclamò Carmauxmentre un freddo sudore glibagnava la fronte. «Se non troviamo un mezzo per fuggire per noi è finita.»

Il negro non rispose. Si era curvato per quanto glielopermettevano i legami e pareva che ascoltasse con estrema ansietà.

«Hai udito qualche grido?»

«Mi pare.»

«Che abbiano già sorpreso il capitano?»

«Tuoni!»

Un clamore assordante si era alzato in mezzo ai pini ed aicipressi che si estendevano lungo il fiume.

«Assaltano il campo!» esclamò Carmaux con angoscia.

Le grida erano subito cessate. L'assalto doveva essere statocosì improvviso da evitare qualsiasi resistenza da parte del Corsaro Nero edell'amburghese.

I due guardiani si erano alzati e guardavano sotto glialberi.

«Vengono?» chiese loro Carmaux.

«I vostri compagni sono presi» rispose uno dei duegiganti.

Diceva il vero poichè alcuni istanti dopo si viderocomparire gl'indiani i quali trascinavano i due filibustieri.

Il Corsaro e anche l'amburghese avevano le vesti a branimanon pareva che avessero ricevute ferite. Certamente dopo una breve resistenza sierano arresi per non farsi accoppare a mazzate.

«Capitano!» gridò Carmauxcon voce strozzata.

«Anche tuCarmaux!» esclamò il signor di Ventimiglia.«Mi ero immaginato che eravate stati presi.»

«Siamo nelle mani degli antropofaghisignore!»

I due filibustieri furono legati con fibre vegetali e gettatidinanzi all'albero a cui stavano attaccati Carmaux ed il negro. Il capo indianovenne ad accoccolarsi dinanzi a loromentre i suoi uomini stavano tagliando deirami per improvvisare forse delle barelle.

«Sei tu il capo di questi uomini?» chiesevolgendosi versoil Corsaro.

«Sì» rispose questi.

«Come vi trovate qui? Gli uomini dalla pelle bianca nonhanno mai abitato queste foreste.»

«Siamo naufragati.»

«Si è rotta una di quelle grandi case galleggianti?»

«Si è sfasciata sulle scogliere.»

Gli sguardi del capo ebbero un lampo di cupidigia.»

«Tu mi dirai dove si è spezzata. Io so che quelle grandicase galleggianti contengono sempre delle ricchezze.»

«Le onde hanno spazzato via ogni cosa» rispose il Corsaro.

«Tu cerchi d'ingannarmi.»

«A quale scopo?»

«Per raccogliere tu quelle ricchezzema non le avraiperchè noi ti mangeremo.»

«Saremo un po' duri» disse il Corsaro con ironia.

«Andiamo» disse il capoalzandosi.

I suoi guerrieri avevano preparate le barelle formate conrami di pino legati con liane. Presero i quattro prigionieri e ve li coricaronosopra.

Il drappellopreceduto da quattro esploratorisi mise inmarcia dirigendosi verso l'ovestossia in direzione del mare.

«Capitano» disse Carmauxil quale veniva dietro alCorsaro. «Che sia proprio finita per noi?»

«Tutto è nelle mani di DioCarmaux. Se la nostra ultimaora è giuntasapremo morire da forti.

«Siamo sfuggiti all'esplosione ed alle ire del mare perfinire nel ventre di questi ributtanti antropofaghi! Sarebbe stato meglio che ciavessero divorati gli squali.»

«Morire in un modo o nell'altro è tutt'unoCarmaux.Anch'io avrei preferito cadere sul ponte della mia navefra il rombo delleartiglierie e le grida di guerra degli equipaggi... ma bah!... Si compia il miodestino.»

Intanto gl'indiani marciavano rapidamentecosteggiando lariva sinistra del fiume che era quasi sgombra di cespugli. Solamente di quandoin quando dei macchioni di palme e di plataniavvolti fra un caos di cobee arrampicantiche formavano dei grandi festoni con ghirlande di fiori vivacisi spingevanofino sulla rivacostringendo le pelli-rosse ad aprirsi il passo a gran colpi dimazza. A mezzogiorno il drappello si arrestava sul margine di un laghettoformato dal fiume. Arrostirono l'orso lavatore che non avevano dimenticatoaggiungendovi alcuni conigli che avevano uccisi lungo la via e delle prugne di tupelas.

I prigionieri non furono dimenticatianzi ebbero unaporzione molto abbondante.

«Hanno paura che dimagriamo» disse Carmauxcon un comicosospiro. «Potessi diventare magro come un'aringa!»

«Non guadagneresti molto» disse Wan Stiller. «Questiindiani sarebbero capaci d'ingrassarti a forza.»

«Come le anitre del mio paese.»

«Io però non ho ancora perduta la speranza di fuggire.»disse il corsaro

«Sognate la liberazione?» chiese Wan Stiller.

«La tenteremo.»

«In quale modo? Questi indiani non mi sembrano cosìsciocchi da permetterci di andarcene.»

«Ti dico che qualche cosa noi faremo.»

«Avete qualche pianocapitano?»

«Forse» rispose il Corsaro. «Sapete che ho nascosta la misericordia

«Comevoi non l'avete data agli indiani?» chiesero Carmauxe Wan Stiller.

«Noho avuto il tempo di cacciarmela sotto il panciotto.»

«Cosa potrete fare con quell'arma?» chiese Carmaux.

«Potrà servirci a tagliare le corde innanzi a tutto»rispose il Corsaro.

«Non vale una pistolacapitano.»

«Può esserci ugualmente utilemio bravo Carmaux. Una manorobusta che la sappia adoperare non si troverà imbarazzata a uccidere unasentinella. Amicinon disperiamo ancora. Questa sera sapremo se vi saràqualche probabilità di prendere il largo.»

La loro conversazione fu interrotta dagli indiani. Terminatoil pastos'erano rialzati ricollocando i prigionieri sulle barelle.

Fatto il giro del laghettoil drappello si cacciò sotto unafolta pinetai cui tronchi però permettevano il passaggio senza doverricorrere alle mazzenon essendo circondati da cespugli. Il capo pareva cheavesse molta fretta di giungere al villaggio poichè incitava sovente iportatori delle barelle ad allungare il passo. Un po' prima del tramonto ildrappello giungeva improvvisamente sulla riva del mare. La costa in quel luogoformava un'ampia insenatura difesa da alcune file di scogliere e sulla spiaggiasi vedevano numerose canoe scavate nei tronchi di pinoadorne a prora di testedi coccodrillo. All'estremità della baia i prigionieri scorsero due dozzine dicapanne allineate su una doppia filaformate con tronchi e coperte di fogliesecche.

«Il tuo villaggio?» chiese il Corsaro al capo che glicamminava a fianco.

«Dei nostri pescatori» rispose l'indiano. «Il grossodella tribù abita sui fianchi di quella montagna.»

Il Corsaro alzò gli occhi e vide dietro il bosco di piniergersi una collina coperta di fitte piantesulle cui pendici si scorgevanonumerosi gruppi di capanne.

«È numerosa la tua tribù?» chiese il Corsaro.

«Numerosa e potente» rispose l'indiano con orgoglio.

«Allora vi sarà un re.»

Il capo lo guardòma non risposeanzi si allontanò permettersi alla testa del drappello.

Una mezz'ora dopo i guerrieri giungevano al piccolo villaggiodei pescatori. Parecchi indianiquasi interamente nudinon avendo che unpiccolo perizoma stretto ai fianchi e delle penne sulla testasi eranoprecipitati verso i prigionieri mandando grida minacciose ed agitando le mazzele lance e certi coltellacci di pietra molto affilati.

Il capo con un gesto li trattennepoi fece condurre iquattro prigionieri dinanzi ad una grande gabbia costruita con solidissimi ramidi noce hickorys e copertanella parte superioredi quell'erba dura eamara che pullula nelle terre salate della Florida e che viene chiamata algochloa.I quattro corsari furono spinti dentrofacendoli passare per una strettaaperturache fu poi subito chiusa con robuste traverse.

«Per ora rimarrete qui» disse il capovolgendosi verso ilCorsaro.

«E quando ci mangerete?»

«La vostra vita dipende dal genio del mare.»

«Chi è questo genio del mare?»

«Ciò non ti riguarda» rispose il capo volgendogli lespalle ed allontanandosi.

«Capitano» chiese Carmaux. «Chi sarà questo genio?»

«Non ne so più di te» rispose il signor di Ventimiglia.«Suppongo però che sia qualche grande capoil comandante supremo della tribùo qualche stregone.»

«Se avesse un po' di compassione per noi!»

«Non crearti delle illusioniCarmaux.»

«Allora non ci resta che tentare la fuga.»

«È quello che faremo più tardi. Non vi sono che duesentinelle a guardia della gabbia.»

«Purchè più tardi non vengano raddoppiate.»

«Lo si vedràCarmaux. Orsùcorichiamoci e fingiamo didormire. Più tardiquando tutti gli abitanti del villaggio dormirannoprofondamentetenteremo qualche cosa. Moko!»

«Padrone.»

«Tu che possiedi una forza prodigiosasaresti capace dispezzare queste sbarre?»

«Mi sembrano molto solidecapitanoperò spero diriuscirvi.»

«Senza rumore.»

«Mi ci proverò.»

«Carmauxtu devi tentare di rodere le tue corde.»

«I denti sono buonicapitanoe con un po' di pazienzataglierò i miei legami. Vedo che facendo qualche sforzo posso accostare le manialle labbra.»

«Benissimo!»

«E le sentinelle?» chiese Wan Stiller.

«Le sorprenderemo e le pugnaleremo.»

«E dopo? Avremo addosso tutti gli abitanti del villaggio.»

«Le scialuppe non sono lontane e fuggiremo subito in mare.Chiudete gli occhi ed aspettate il mio segnale.»

 

 

 

Capitolo XXXII

 

La fuga dei corsari

 

A poco a poco i rumori erano cessati nel villaggio deipescatori ed i fuochi accesi presso le capanne si erano spenti. Non si udivaaltro che il monotono e regolare fragore delle ondespinte dalla mareachevenivano ad infrangersi sulla sponda.

Gli indiani che dovevano aver pescato tutta la giornataagiudicare dalla straordinaria quantità di pesce messo a seccare su certegraticole di legno rizzate sulla rivasi erano addormentati ed il drappello deicacciatoriche aveva camminato dall'alba al tramontonon aveva tardato adimitarli.

Solamente le due sentinelle che erano state collocate pressola gabbiavegliavano ancorasedute presso un falò già quasi semispentomanon dovevano tardare a chiudere gli occhi. La loro conversazione languiva ed ilCorsaroche non le perdeva di vistasi era accorto che facevano sforzistraordinarii per non abbandonarsi in braccio a Morfeo.

Doveva essere la mezzanotte quando gli ultimi tizzoni delfalònon più ravvivatisi spensero completamente. Per alcuni minuti ancorale braci proiettarono verso la gabbia qualche po' di luce sanguignapoi anchequelle si coprirono di cenere e l'oscurità piombò in quel luogo.

Le due sentinelle si erano sdraiate l'una presso all'altra erussavano.

«È il momento» disse il Corsarodopo essersi assicuratoche nessun altro indiano vegliava attorno alla gabbia.

«Si sono addormentati?» chiese Carmaux.

«Non li odi a russare?»

«Purchè non fingano di dormirecapitano! Non mi fidoaffatto di questi indiani.»

«Rompi le cordeCarmaux.»

«Le ho rose così bene che si spezzeranno subitocapitano.»

«Allora affrettati.»

Il marinaio contrasse le braccia più che potèpoi le fecescattare allargandole di colpo. Le corde vegetaligià intaccate in varii puntidai suoi acuti dentisi spezzarono.

«Ecco fattocapitano» disse.

«Frugami nel petto» disse il signor di Ventimiglia. - Lamisericordia l'ho nascosta qui.

Il filibustiere cacciò una mano sotto il panciotto di setanera del Corsaro e trovò il pugnaleun'arma affilatissimad'una robustezzaeccezionaledi acciaio di Toledoil migliore che si conoscesse in quei tempi.

«Ora recidi le nostre corde» disse il signor diVentimiglia. «Adagionon far rumore.»

Carmauxdopo d'essersi assicurato che le sentinelle non sierano mosses'accostò ai suoi compagni e tagliò destramente i loro legami.

«Almeno potremo morire difendendoci» disse il Corsarostiracchiandosi le membra indolenzite da quelle legature.

«Cosa devo fare capitano?» chiese il negro.

«Levare due traverse della gabbia.»

Il negro ed il marinaio passarono dalla parte opposta ondeessere più lontani dalle due sentinelle ed intaccarono risolutamente una dellesbarre.

Il legno era durissimoessendo di noce neroma Moko avevail pugno solido ed il pugnale tagliava come un rasoio. Bastarono cinque minutiper recidere parte della traversa.

Afferrarono la sbarra e facendo forza insieme la staccarono.S'udì un leggero scricchiolìopoi più nulla.

«Fermi!» mormorò il Corsaro.

Quantunque il rumore fosse stato leggierissimouno dei dueindiani si era alzato brontolando.

I quattro filibustieri s'erano sdraiati prontamente l'unovicino all'altromettendosi a russare.

L'indianosospettoso come tutti i suoi compatriottirimossecoll'estremità della lancia i tizzonialzando qualche scintillapoi semprebrontolando fece il giro della gabbia e ritornò presso il compagno senzaessersi accorto che una sbarra era stata già levata.

Rimase qualche minuto rittoguardando la luna che alloracominciava ad alzarsi specchiandosi nel mare poirassicurato dal continuo eregolare russare dei prigionieritornò a sdraiarsi.

I quattro filibustieri rimasero per un buon quarto d'oraimmobilitemendo che il sospettoso indiano li spiassepoi s'alzaronosilenziosamente e Moko e Carmaux ripresero il lavoro intaccando la secondasbarra.

Onde evitare lo scricchiolìola recisero completamente allabase ed in alto e poi la fecero cadere.

«Capitanopossiamo andarcene» disse Carmauxcon un filodi voce.

Diedero un ultimo sguardo ai due indiani i quali non si eranopiù mossipoi uno alla volta abbandonarono la gabbia.

«Dove fuggiremo?» chiese Wan Stiller.

«Verso il mare» rispose il signor di Ventimiglia.«C'impadroniremo d'una scialuppa e prenderemo il largo.»

«Andiamo» disse Carmaux. «Ho la febbre indosso.»

Fecero il giro della gabbia e si slanciarono verso laspiaggia la quale non era lontana più di duecento passi.

Colà vi erano due dozzine di scialuppe o meglio di canoemolto pesanti essendo scavate nel tronco d'un albero e munite di pagaie colmanico corto e la pala assai larga.

I filibustieri unendo i loro sforzi ne spinsero una in acqua.Già stavano per balzarvi dentroquando si videro piombare addosso le duesentinelle.

Il primo arrivato si scagliò contro il negroalzando lamazza e gridando:

«Arrenditi o ti uccido!»

Il negro con una mossa fulminea evitò il colpo che dovevafracassargli il capo poiafferrato l'indiano attraverso il corpo lo sollevòcome che fosse una piuma e lo scagliò dieci passi lontano facendogli fare unsuperbo volteggio.

Il secondo indianospaventato dalla forza erculea delgigante e anche dalla misericordia che brillava nelle mani del Corsarofuggì verso il villaggio urlando a squarciagola.

«Prestoimbarchiamoci!» gridò il Corsaroslanciandosiverso la canoa.

I tre filibustieri l'avevano seguitoafferrando subito lepagaie.

Nel villaggio si udivano delle grida furiose e si vedevanoagitarsi delle ombre umane. Gl'indianiormai avvertiti della fuga deiprigionierisi preparavano a dare la caccia.

«Forzaamici- disse il Corsaro che si era pureimpadronito d'una pagaia. - Se fra mezz'ora non siamo fuori della baia verremoripresi.

La canoaspinta velocementesi era staccata dallaspiaggiadirigendosi verso le scogliere che difendevano la baia contro la furiadei marosi. I filibustieri arrancavano con lena disperatatendendo i muscolifino a farli quasi scoppiare. Soprattutto Mokoil cui vigore era colossaleimprimeva tali colpi alla sua pagaiada sbandare la canoa fino al bordosuperiore. Gl'indianipassato il primo momento di confusionesi eranorovesciati verso la spiaggiagettando in acqua cinque o sei imbarcazionifornite ognuna di sei remi.

Vedendo i fuggiaschi dirigersi verso le scoglierearrancarono celeremente verso l'uscita della baia per impedire loro di prendereil largo. Avendo maggior numero di remiquella manovra doveva riuscire senzatroppe difficoltà.

«Tuoni d'Amburgo!» esclamò Wan Stillerche si era accortodelle intenzioni dei nemici. «Fra poco avremo la via chiusa.»

«Vento d'inferno!» gridò Carmaux. «Stiamo per venirepresicapitano.»

Il Corsaro aveva abbandonato per un momento il remoguardando le scialuppe indianele quali stavano già per giungere all'uscitadella baia.

«Non possiamo più prendere il largo» disse.

«Cerchiamo di approdare su quella spiaggia» disse Carmauxindicando il lato sud della baia. «Vi sono alberi e cespugli e potremo forsefar perdere le nostre tracce.»

«Animo!... Date dentro ai remi!»

La canoa virò di bordo sul posto e riprese la corsamentregl'indianicredendo che i fuggiaschi volessero sforzare l'uscita della baiasistendevano fra le scogliere per chiudere il passo.

Accortisi però della intenzione dei filibustierilasciaronotre scialuppe a guardia del passaggio e colle altre si misero in caccia percatturarli prima che potessero toccare terra.

Erano troppo lontani per avere qualche speranza di riuscire.Il Corsaro approfittò subito del vantaggio per guidare la canoa dietro unascogliera onde sottrarla agli occhi degli indiani.

«Li costringeremo a dividersi» disse. «Forzaamici!...La riva è vicina!»

Con pochi colpi di remo superarono la distanza che liseparava dalla costa ed arenarono l'imbarcazione su di un banco di sabbia.

Essendo riparati dalla scoglieragiunsero inosservati sottoi primi alberipartendo a tutta corsa. Dove andavano? Non lo sapevanonè pelmomento si preoccupavano della direzione. A loro bastava di guadagnare via e dicercare un rifugio. La foresta era fittaessendo composta d'immensi noci neridi tapelasgrandissime piante colle foglie fittissime raggruppate inrosettedi enormi grandiflore e di ammassi di rododendri i quali formavano deicespi enormi e così folti da impedire quasi il passo.

I fuggiaschi percorsero un chilometro tutto d'un fiatoes'arrestarono dinanzi ad un noce colossaleil cui tronco era coperto da liane eda cobee ricadenti in festoni.

«Lassù» disse il Corsaro. «Il rifugio è trovato.»

Aggrappandosi alle liane ed alle cobeei quattrofilibustieri raggiunsero i rami superiorinascondendosi in mezzo al fittofogliame.

Gli indiani giungevano urlando come indemoniati. Avevanoacceso dei rami di pino e frugavano le macchieminacciandoimprecando edavventando dovunque colpi di lancia e di mazza. Essi passarono presso l'alberosenza nemmeno arrestarsi e scomparvero in mezzo alla forestasempre urlando etutto fracassando sul loro passaggio.

«Buon viaggio» disse loro Carmaux. «Vi auguro di nontornare più mai.»

«Non li aspetteremo di certo» disse Wan Stiller. «Cosa neditecapitano?»

«Che ce ne andremo» rispose il signor di Ventimiglia.

«Da qual parte?» chiese Carmaux.

«Verso la spiaggia.»

Stavano per abbandonare i rami ed aggrapparsi alle lianequando videro due forme massicce sbucare da un cespuglio ed accostarsirapidamente all'albero. Non regnando che una luce molto debole sotto lagigantesca piantaquantunque la luna brillasse in tutto il suo splendorelìper lì non seppero con quali esseri avevano da fare.

«Non mi pare che siano indiani» disse Carmauxil quale siera subito arrestato.

«Mi sembrano due orsi» disse Mokorabbrividendo.

«Vento d'inferno! Non ci mancherebbe altro! Dopo gl'indianigli orsi!»

«Vediamo» disse il capitanocurvandosi innanzi edaggrappandosi solidamente alle liane.

«Abbiamo da fare con due veri orsisignori» disse WanStilleril quale era disceso di qualche metro. «Mi pare anzi che abbianointenzione di dare la scalata all'albero.»

«Gli indiani devono averli spaventati e cercherannoanch'essi di rifugiarsi quassù» disse il Corsaro.

«O che vengano per mangiarci?» chiese Carmaux. «E nonabbiamo che un pugnale per difenderci!»

«La legna non manca qui. EhiMokospezza qualche grossoramo.»

Mentre il negro stava per obbedirei due orsidopo unabreve esitaziones'erano aggrappati alle lianecacciando i loro unghionisolidi come l'acciaionel tronco dell'albero.

Come si satutti gli orsieccettuati i bianchisono ottimiarrampicatori. Ordinariamente vivono a terrama quando le bacche cominciano ascarseggiare nei boschisalgono sugli alberi per divorarne le frutta. I dueorsi non dovevano quindi incontrare molte difficoltà per dare la scalata allanocetanto più che il tronco era coperto di piante arrampicanti le qualidovevano facilitare loro molto la salita.

«Capitano» esclamò Carmaux. «L'hanno proprio con noi!»

«Moko sei pronto?»

«Ho spezzato un grosso ramosignore» rispose il negro.«Gli orsi sentiranno se pesa!»

«Io ti aiuterò colla misericordia

«Eccoli» disse Wan Stillersalendo rapidamente emettendosi in salvo su di un grosso ramo.

I due orsi erano già giunti presso la prima biforcazione deirami. Udendo però quelle voci umane si erano arrestati come se fosseroindecisi.

Moko che si trovava a due metri da loroalzò il nodosobastoneed appioppò al più vicino una legnata da fracassargli di colpo laspina dorsale. Il povero animale mandò un urlo altissimo che fece rintronare laforestapoi allungò le zampe e rovinò pesantementeal suoloschiantandoquanti rami incontrò nella sua caduta. Il compagnospaventato daquell'accoglienzasi lasciò scivolare lungo il tronco e giunto al suolo fuggìprecipitosamentegrugnendo e soffiando. Quasi nel medesimo istante un drappellod'indiani sbucava fra i cespugli slanciandosi verso l'albero. Probabilmenteavevano udito l'urlo mandato dal plantigradocosì tremendamente conciato dalnegro e s'erano affrettati ad accorrere per vedere di che cosa si trattava.

Vedendo l'animale steso alla base dell'alberocominciarono asospettare che fra i rami si nascondessero degli uomini. Uno di essi accesealcuni pezzi di pino e li scagliò fra le fronde.

Uno andò proprio a cadere addosso a Carmauxstrappandogliuna esclamazione di dolore.

Urla feroci salutarono quel grido.

«Ah! Miserabile che sono!» esclamò Carmauxstrappandosi icapelli. «Vi ho perduti!...»

«Lo eravamo anche senza il tuo grido» disse il signor diVentimiglia. «Gl'indiani non se ne sarebbero andati senza esplorare l'albero.»

«Ora non ci rimane che arrenderci» disse Wan Stiller. - Lagraticola ci aspetta.

Una voce ben notaquella del capo che li aveva fattiprigionieri sulla riva del fiumegridò loro:

«Che gli uomini bianchi scendano! Ogni resistenza sarebbeinutile.

«Preferiamo morire combattendo» gridò il Corsarospingendosi verso il tronco dell'alberoper mettersi al riparo dalle frecce.

«Vi accordiamo salva la vita.»

«Sìpel momento.»

«Il genio del mare vi protegge.»

«Non ti credo» rispose Wan Stiller.

«Scendete!»

«No» disse il Corsaro.

«Allora vi affumicheremo e daremo fuoco all'albero» gridòil capo.

«E se fosse vero che il genio del mare ci protegge?» chieseMoko.

«Sarà il capo supremo della tribù o qualche stregone.»

«Signor capo» disse Carmaux. «Si potrebbe parlamentarecol genio del mare?»

«Gli uomini bianchi non devono vederlo» rispose l'indiano.

«Potremo intendercela meglio con lui.»

«Orsùfinitela o faccio incendiare tutte le piante checircondano l'hickorys

«Mi pare che non vi sia più nulla da fare qui» dissel'amburghese. «Questo selvaggio metterà in opera la minaccia.»

«Giacchè il genio del mare ci proteggearrendiamoci»disse il signor di Ventimiglia. «La misericordia l'ho nascosta e se ci sipresenterà l'occasione ritenteremo il colpo.»

«Ah!... Vedo la mia pelle in pericolo» sospirò Carmaux.

«E rimanendo quassù non la salverestivecchio mio» disseWan Stiller.

«Scendete?» gridò l'indiano che cominciava a perdere lapazienza.

«Eccoci» rispose il Corsaroaggrappandosi alle liane elasciandosi scivolare lungo il tronco.

Appena giunto a terra si sentì afferrare e stringere dadieci corde vegetaliin modo da non poter fare più alcun movimento. I suoicompagni non ebbero migliore trattamento.

«Ehsignor capo» disse Carmaux. «È in questo modo cheil genio del mare ci protegge?»

«Sì» rispose l'indiano con un feroce sorriso. «Aspettatela notte del Kium e vedrete cosa ne faremo di voi.»

«Ci mangereteè vero?»

«La tribù è impaziente di assaggiare la carne bianca e lanera.»

«Per sapere quale è la migliore?» chiese Wan Stiller.

«Te lo diremo quando ti avremo mangiato» rispose l'indianocon un atroce sorriso.

Fece gettare i prigionieri su quattro barelle improvvisatecon rami ed il drappello riprese la via del villaggioattraversando la foresta.

 

 

 

CAPITOLO XXXIII

 

La regina degli antropofaghi

 

Parecchi giorni erano trascorsi senza che alcun avvenimentofosse venuto ad interrompere l'angosciosa esistenza dei disgraziati corsari.Dopo la loro cattura erano stati nuovamente rinchiusi nella gabbia di legno laquale era stata rinforzata con nuove traverse ed affidata alla sorveglianza disei guerrieri armati di mazzedi archi e di coltellacci di pietracoll'incarico di trucidare i prigionieri al menomo tentativo di fuga.

Se erano rigorosamente guardati giorno e nottegl'indianiperò non li avevano nè trascuratinè importunati. Anzi per proteggerli dalsole avevano coperto parte della gabbia con rami e li avevano sempre nutritiabbondantemente con selvaggina arrostitafrutta e pesce. Un giorno il Corsaroche cominciava a trovare quell'agonia eccessivamente lunga e troppo angosciosavedendo il capo che li aveva ripresisi risolse d'interrogarlo per saperequanto sarebbe ancora durata.

«È tempo di finirla» disse. «Noi siamo convenientementeingrassati.»

L'indiano lo guardò senza risponderestupito forse daquello straordinario sangue freddo.

Poi dopo qualche esitazionedisse:

«È il genio del mare che non vuole ancora che vi simangi.»

«Mi dirai almeno quali sono le intenzioni del genio delmare.»

«Tutti le ignorano.»

«Sa chi noi siamo?»

«Ho detto a lui che voi siete uomini bianchi e l'ho veduto apiangere.»

«Il genio?»

«Sì» rispose l'indiano.

«Ama gli uomini bianchi?»

«È bianco anche lui.»

«Non potremo mai vederlo?»

«Sìfra pocoal tramonto.»

«Dove?...»

«Apparirà sulla cima di quella scogliera che si estendedinanzi alla baia. Oggi sacrificherà un caimano alle divinità del mare.»

«Ma cos'è questo genio? Un uomo od una donna?»

«Una donna.»

«Una donna!» esclamò il Corsaroimpallidendo.

«È la regina della tribù.»

Il Corsaro era rimasto come fulminato. Guardava l'indianocogli occhi smisuratamente dilatatimentre il suo pallore aumentava di momentoin momento ed il petto gli si sollevava affannosamente.

«Una donna!... Una donna!» ripetè con voce strozzata.«Quale dubbio!... Se fosse Honorata!... Gran Dio!... Mi avevano detto che eranaufragata su queste spiagge!... Capolascia che io la veda!...»

«È impossibile» rispose l'indiano. «Ella sta bagnandosiin mare.»

«Dimmi il suo nome!» gridò il Corsaroche era in preda atale esaltazione da far temere che impazzisse.

«Ti ho detto che si chiama il genio del mare.»

«Come è sbarcata qui?»

«L'abbiamo raccolta in mezzo alle ondefra i rottami d'unanave.»

«Quando?»

«Noi non sappiamo misurare il tempo. So che in quell'epocaavevamo combattuto contro le tribù del settentrione.»

«Conta le lune! - gridò il Corsarocon crescenteansietà.»

«Non le ricordo.»

«Dille alla tua regina che noi siamo corsari della Tortue.»

«Sìdopo il sacrificio» disse l'indiano.

«E che io sono il cavaliere di Ventimiglia.»

«Mi ricorderò di questo nome. Addiomi si aspetta sullascogliera.»

Ciò detto l'indiano s'allontanò a rapidi passidirigendosiverso la spiaggia dove già si vedevano numerose scialuppe cariche di selvaggipronti a prendere il largo.

Il signor di Ventimiglia si era voltato verso i suoicompagni. Era trasfigurato: al pallore cadaverico di poco prima era successo unrossore febbrilementre nei suoi occhi balenava una viva fiamma.

«Amici» disse con voce spezzata. «Ella è qui!...»

«Voi non ne avete ancora la certezzasignore» disseCarmaux.

«Ti dico che Honorata è qui!» gridò con esaltazione.

«Possibile che la duchessa fiamminga sia diventata la reginadegli antropofaghi?» esclamò Wan Stiller. «E se fosse invece un'altra?Qualche spagnuola sfuggita ad un naufragio?»

«Noil cuore mi dice che quella donna è la figlia di WanGuld.»

«Saremo salvi o saremo perduti?» si chiese Carmaux.

Il Corsaro non rispose. Aggrappato alle sbarre della gabbiaansanteaffannatocolla fronte imperlata d'un freddo sudoreguardava verso lascogliera sulla cui cima doveva fra poco apparire il genio del mare. Un tremitoconvulso agitava le sue membra.

La cerimonia del sacrificio era cominciata.

Una moltitudine d'indiani aveva invasa la spiaggiamentrenumerose scialuppe percorrevano la baia dirigendosi verso la scogliera.

Verso il mare si udivano dei canti strani e ad intervallirisuonavano dei colpi sordi che parevano mandati da un enorme tamburo.

La regina degli antropofaghicircondata dai capi e dai piùfamosi guerrieri della tribùdoveva aver cominciati i sacrifici destinati alledivinità del mare. Le rocce però impedivano ai corsari di vedere la stranacerimonia. Gl'indiani accalcati sulla spiaggia si erano inginocchiati e univanole loro voci a quelle che venivano dalla scogliera. Era un canto tristemonotonosenza scattiche rassomigliava al misurato rompersi delle onde controla costa.

Ad un tratto però si fece un gran silenzio. Tutti gl'indianisi erano sdraiati al suolocolla fronte appoggiata sulla sabbia.

Il sole era allora prossimo al tramonto. Scendeva in mare fradue nuvole color del fuocomandando i suoi ultimi raggi proprio sulla cimadella scogliera.

Tutto all'intorno le acque scintillavanocome se dei gettid'oro fuso si fossero mescolati o fossero sorti dalle profondità del mare.

Il Corsaro non distaccava gli sguardi dalla vetta sulla qualedoveva apparire la regina degli antropofaghi. Il cuore gli batteva così forteda rompergli il pettomentre stille di sudore gli solcavano il volto ritornatopallidissimo.

CarmauxWan Stiller e Mokopure in preda ad una vivaansietàsi erano collocati ai suoi fianchi.

«Guardatela!» esclamò improvvisamente Carmaux.

Sul fondo infuocato del cielo era comparsa una forma umana.Si teneva ritta sulla punta estrema della scoglieracolle braccia tese verso latribù che gremiva la spiaggia. La distanza che la separava dai filibustieri eratale da impedire a questi di poterla ravvisarema il cuore del Corsaro avevaprovato un sussulto. Qualche cosacome una specie di corona di metalloprobabilmente d'oroscintillava sulla testa della regina ed un ampio mantelloche pareva formato di piume variopintel'avvolgeva dalle spalle ai piedi. Anchealle bracciache sembravano nudescintillavano dei pezzi di metalloforse deibraccialetti o dei monili.

Le chiome erano sciolte e ondeggiavano leggiadramente attornoal volto della reginasotto i primi soffi della brezza notturna.

«La vedetesignore?» chiese Carmaux.

«Sì» rispose il Corsarocon voce soffocata.

«La riconoscete?»

«Ho un velo dinanzi agli occhi... ma il mio cuore batteforte e mi dice che quella donna è la stessa che io ho abbandonata sul maretempestoso dei Caraibi.»

In quell'istante una voce robustapotentequella del capoindianoecheggiò per l'aria:

«Guerrieri rossi!... La nostra regina proclama sacri gliuomini bianchifigli delle divinità marittime!... Sventura a chi li tocca!»

Il sole in quel momento scomparve e l'oscurità scese rapidacelando agli sguardi dei corsari la regina degli antropofaghi.

Il signor di Ventimiglia si era lasciato caderenascondendosi il viso fra le mani. Ai suoi compagni era sembrato di udire comeun sordo singhiozzo. Gl'indiani avevano abbandonata la spiaggia e anche lescialuppe erano approdate.

Passando dinanzi alla gabbiauominidonne e fanciullis'inchinavano come se i prigionieri fossero diventatidi punto in biancodellevere divinità. Il passaggio era già terminatoquando si vide comparire ilcaposeguito da quattro guerrieri che portavano dei rami resinosi accesi.

Con un colpo di mazza sfondò quattro sbarre epreso ilCorsaro per una manogli disse:

«Vieni! La regina ti attende.»

«Le hai detto il mio nome? - chiese il signor diVentimiglia.

«Sì.»

«Dimmi se ha i capelli biondi o neri.»

«Come l'oro.»

«Honorata!» esclamò il Corsarocomprimendosi il petto conambe le mani. «Andiamo!... Conducimi dalla regina!»

L'indiano attraversò il villaggio che pareva desertononscorgendosi alcun lume brillare nelle capanne nè udendosi alcun rumoresicacciò sotto la foresta che la luna cominciava ad illuminare e un quarto d'oradopo s'arrestava dinanzi ad una vasta abitazione la quale sorgeva in mezzo aduna macchia di magnolie.

Era una costruzione che non mancava d'una certa eleganzacolle pareti coperte di stuoie dipinte a vivaci coloricon una veranda che legirava tutto intorno ed un doppio tetto terminante a punta per ripararla megliodai cocenti raggi del sole.

Una lampadaavanzo certamente di qualche nave naufragata inquei paraggiilluminava vagamente l'internolasciando nella penombra buonaparte della vasta stanza.

Il Corsaropallido come un cencio lavatosi era arrestatosulla soglia. Gli pareva d'avere un denso velo dinanzi agli occhi.

«Entra» gli disse il capoil quale si era arrestato al difuori assieme ai quattro guerrieri. «La regina è qui!»

Una forma umanaavvolta in un ampio mantello di penne di jacamarverdi e oro a strisce fiammeggianticon in testa una corona d'orosi erastaccata dalla parete oppostaavanzandosi lentamente verso il Corsaro. Giunta atre passi da luiaprì il mantello gettando contemporaneamente indietrocon unrapido moto del capol'opulenta capigliatura bionda che le scendeva sullespalle e sul petto in pittoresco disordine. Era una splendida creatura di ventio ventidue annicolla pelle roseagli occhi grandiche mandavano vivi lampicon una bocca piccolissimache lasciava intravedere dei denti piccoli comegranelli di riso e scintillanti come perle. Aveva il corpo racchiuso in unaspecie di camicia di seta azzurrastretta ai fianchi da una cintura d'oro e lebraccia cariche di monili di gran valore ed in mezzo al petto portava l'emblemadel solein argento massiccio.

Il Corsaro era caduto in ginocchio dinanzi a leiesclamandocon voce soffocata:

«Honorata!... Perdono!»

La regina degli antropofaghio meglio la figlia di Wan Guldera rimasta immobile dinanzi a lui. Il seno però le si sollevavaimpetuosamentementre dei sordi singhiozzi le morivano sulle labbra.

«PerdonamiHonorata» ripetè il Corsarotendendo lebraccia.

La regina si curvò su di lui e lo rialzòmormorando convoce rotta:

«Sìt'ho perdonato... la notte istessa in cui tu miabbandonasti sul mare dei Caraibi... Tu vendicavi i tuoi fratelli.»

Poi scoppiò in piantonascondendo il bel volto sul pettodel fiero scorridore del mare.

«Cavaliere» mormorò. «T'amo ancora!»

Il Corsaro aveva mandato un grido di gioia suprema e si erastretta al cuore la giovane donna. Ad un tratto però si staccò da lei quasicon orrorecoprendosi il viso colle mani.

«Sorte fatale!» esclamò. «Parliamo cosìmentre fra me ete il triste destino che mi perseguita ha gettato tanto sangue!»

Honorata udendo quelle parole era indietreggiatamandando ungrido.

«Ah!» esclamò. «Mio padre è morto!»

«Sì» disse il Corsaro con voce cupa. «Egli dorme ilsonno eterno nei baratri del gran golfonella stessa tomba ove riposano i mieifratelli.»

«Me l'hai ucciso...» singhiozzò la povera giovane.

«È il destino che te l'ha ucciso» rispose il Corsaro.«Egli si è inabissato col suo vascellomentre cercava di trarmi nella grantomba umidadando fuoco alle polveri.»

«E tu sei sfuggito alla morte!»

«Dio non ha voluto che io morissi senza rivederti.»

«Perdono per mio padre!»

«Le anime dei miei fratelli sono placate» disse il Corsarocon voce funebre.

«E la tua?»

«La mia!... L'uomo che odiavo non vive più e oltre la tombanon sopravvive la vendetta. La mia missione è finita.»

«E anche l'amor tuo è mortocavaliere?» singhiozzòHonorata.

Un sordo gemito fu la risposta.

Ad un tratto il Corsaro prese la giovane per una manodicendole:

«Vieni!...»

«Dove vuoi condurmi?»

«Bisogna che veda il mare.»

La trasse fuori dalla casa e la condusse verso la forestainoltrandosi sotto i grandi alberi.

Il capo indiano ed i suoi guerrieriad un cenno dellareginasi erano arrestatimentre si disponevano a seguirla.

La notte era splendidauna delle più belle che il Corsaroavesse ammirato sotto i tropici. La luna splendeva in un cielo purissimosgombro di qualsiasi nubeproiettando i suoi raggi azzurrinisui giganteschipini e sui funebri cipressi della foresta.

L'aria era calmatiepidacarica di profumi deliziosi dellemagnoliedelle coreopsidi gialle e delle passiflore. Un silenzio quasiassolutopieno di pace e di misteroregnava al di sotto dei grandi vegetali.Solamente di quando in quandoin lontananzasi udiva il frangersi dell'ondamossa dalla marea.

Il Corsaro aveva cinta colla destra la sottile vita dellagiovane donnala quale da canto suo aveva posato il biondo capo sulla spalla dilui. Camminavano lentamentein silenzioora occultandosi sotto la fosca ombradei vegetali ed ora comparendo alla luce dell'astro notturno.

«Morire cosìfra il profumo dei fiori e la luna dinanziagli occhisotto queste ombre misteriose- disse ad un tratto Honorata.«Potessero in questo momento le mie palpebre chiudersi per sempre e nonriaprirsi più mai!»

«Sìla mortel'oblio!» rispose il signor di Ventimigliacon voce cupa.

Il mare cominciava ad apparire attraverso i tronchi deglialberi. Scintillava come una immensa lastra d'argento e tremolava vagamentesotto la spinta della marea. L'onda muggiva cupamentefrangendosi con crescentefragore.

Il Corsaro si era arrestato presso una gigantesca passiflorae guardava con una specie d'ansietà la brillante superficie del mare. Sisarebbe detto che in mezzo a quei flutti argentei cercasse di scoprire qualchecosa.

«Essi dormono laggiù» disse ad un tratto. «Forse aquest'ora sanno che noi siamo uniti e rimontano a galla per maledirci.»

«Cavaliere!» esclamò Honoratacon terrore. «Qualifollie!»

«Credi tu che l'odio sia spento nell'anima tormentata di tuopadre? Credi tu che il suo cadavere non si agiti sapendoci vicini? Ed i fratellimieiai quali avevo giurato l'esterminio di tutta la sua razza?»

«Sìessi rimontano a galla» proseguì il Corsaro chepareva fosse in preda ad una viva esaltazione. «Io li vedo salire dagli abissidel mare a guizzare attraverso le onde luminose. Essi vengono a imprecare controil nostro amoreessi vengono a rammentarmi i miei giuramentiessi vengono adirci che fra me e te vi sono quattro cadaveri... del sangue... dell'odio...

Dell'odio... Ed essi forse ignorano quanto io ti ho amata equanto io ti ho pianta. Honoratadopo quella notte fatale che ti abbandonaisolain mezzo alla tempestaaffidandoti alla misericordia di Dio!... GuardaliHonorataguardali... Ecco il Corsaro Verde... ecco il Rosso... ecco tuopadre... e anche l'altro mio fratello ucciso sulle terre di Fiandra...»

«Cavaliere!» esclamò la giovaneatterrita. «Ritorna inte!...»

«Vieni!... Vieni!... Voglio vederli!... Voglio dire loro cheio t'amo!... Che ti voglio mia sposa!... Che le loro anime ritornino negliabissi del Gran Golfo e che non risalgano più mai alla superficie.»

Il Corsaroche pareva avesse smarrita completamente laragionetrascinava Honorata verso la spiaggia. I suoi occhi mandavano stranibagliori e un tremito convulso agitava le sue membra.

La giovane regina degli antropofaghi si lasciava condurresenza opporre resistenzaquantunque comprendesse che il Corsaro correvaincontro alla morte.

Quando giunsero sulla spiaggiala luna stava per tramontarein mare. Un'immensa striscia d'argento si proiettava sull'acquala quale parevache tutto d'un tratto avesse acquistata una trasparenza insolita. Il Corsaro siera arrestatocurvo innanzicogli occhi smisuratamente dilatatifissi inquella striscia scintillante.

«Li vedo!... Li vedo!...» esclamò. «Ecco le quattro salmeche salgono dal fondo del mare e che si coricano sull'onda luminosa!... Essi ciguardano!... Vedo i loro occhi scintillare come carbonchi attraverso iflutti!... Non hai udito tu il gemito di mio fratello morto in Fiandra?»

«È la brezza notturna che sibila fra i cipressi» disse lagiovane.

«La brezza!...» esclamò il Corsaro come se non avessecompreso. «Noè vento che viene dalla Fiandra!... È l'urlo di mio fratelloassassinato ai piedi della rocca!...

E questo grido? L'hai udito tu!... È del Corsaro Verde!...Io l'ho udito la sera che abbandonavo il suo cadavere fra le onde del mar deiCaraibi!... E questo è il gemito del Corsaro Rosso!... Anche Carmaux e WanStiller l'hanno udito la notte nella quale io rapivo la sua salma dalla forca diGibraltar.

E questo rombo che mi rintrona gli orecchi?... È la fregatache salta!... La nave che tuo padre ha inabissato!...»

«Vienianche la nave rimonta a galla!... Forse risaliràanche la mia Folgore che l'Atlantico mi ha inghiottita!...»

Il Corsarosempre tenendo stretta al suo fianco la giovanedonnascendeva la spiaggia. Le onde mosse dalla marea si frangevano fra le suegambe e ricadevano gorgogliando e scintillando sotto gli ultimi bagliori dellaluna.

Aveva sollevata fra le robuste braccia la giovane regina e siavanzava fra i fluttigridando: «Vengo!... Fratelli!... Vengo!

Ad un tratto s'arrestò. Aveva già l'acqua alla cintura e leonde gli rimbalzavano fino alle spalle.

«Dove sono io?» si chiese. «Cosa sto per commettere?...Honorata!...»

La giovane l'aveva avvinghiato al collo ed i suoi biondicapelli s'erano attortigliati attorno al Corsaro.

«La vita o la morte?» gli chiese.

«L'amor tuo» rispose la giovane con un filo di voce.

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L'indomani CarmauxMokoWan Stiller e gli indianiperlustrando la spiaggiatrovavano sulla sabbia la corona ed il mantello dipiume della regina e la misericordia del Corsaro.

Contate le scialuppeavevano trovato che ne mancava una.

 

 

 

Conclusione

 

Tre mesi dopo gli avvenimenti narratiun legno corsarospinto dalla tempestaandava a rifugiarsi nella baia abitata dagliantropofaghi. Era montato da sessanta filibustieri guidati da Sharpun altroche doveva più tardi acquistare grande rinomanza fra gli scorridori del marecolla seconda impresa di Panama.

Avevano appena gettate le àncore quando videro staccarsidalla spiaggia una scialuppa montata da due bianchi e da un negro di staturaatletica.

Erano CarmauxWan Stiller e Moko.

Dopo la misteriosa scomparsa della regina e del Corsaronella loro qualità di divinità marittimeerano stati proclamati liberiaffidando anzi a loro il supremo comando della tribùe di quella libertàavevano subito approfittato per abbandonare i loro sudditi e rifugiarsi a bordodella nave corsara.

Fu da Sharpche avevano già conosciuto alla Tortuecheappreserocon stuporeche Morgan e la maggior parte dei suoi compagni eranoriusciti a salvarsi non soloma anche a ricondurre all'isola la Folgorequantunquemezza fracassata dall'esplosione prima e dalla tempesta poi. Tornati quindicigiorni dopo alla TortueCarmauxl'amburghese ed il negro poterono finalmenterivedere i loro compagni e Morgan che avevano creduti inghiottiti dall'Atlanticoed informarli della misteriosa scomparsa del signor di Ventimiglia e dellafiglia di Wan Guld.

Varie spedizioni furono tosto organizzate da GrammontdaLaurentda Wan Hornda Sharp e da Harrisi più famosi capi dellafilibusteria e dallo stesso Morgan. Navi furono mandate a perlustrare le costedella Florida e perfino alle isole Bahama ma con nessun risultato.

Il Corsaro Nero era scomparso senza lasciar traccia innessuna terra.

Solamente sei anni più tardiquando già Morgan eradiventato famoso colla sua ardita e fortunata spedizione di Panama e si eraritirato alla Giamaica a godersi le ricchezze immense accumulateda un capitanofiammingo che veniva dall'Europa gli veniva consegnato un piccolo scudo d'oroche portava nel mezzo gli stemmi del signor di Ventimiglia e di Wan Gulde cheasseriva essergli stato dato da un vecchio marinaio italiano.